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Rapsodia in agosto, Akira Kurosawa, 1991
Sachiko Murase, Mitsunori Isaki, Hidetaka Yoshioka, Tomoko Otakara. Mieko Suzuki, Higashi Igawa, Richard Gere
Nell'agosto 1945 una bomba atomica veniva sganciata dall'aviazione degli Stati Uniti contro le città di Hiroshima e Nagasaki, causando immediatamente centinaia di migliaia di vittime, negli anni successivi molte altre migliaia per l'effetto delle radiazioni.
L'impatto psicologico fu altrettanto devastante, nel mondo intero.
Sono numerosi gli artisti giapponesi che hanno dedicato le loro opere alla condanna dell'olocausto nucleare.
Lo stesso Kurosawa ne fa il tema centrale in Vivere nella paura e ne tratta anche nella opera precedente la Rapsodia d'agosto: Sogni.
La sceneggiatura proviene da una novella della scrittrice Kiyoko Murata, Nabe no naka (Nella pentola) che ottenne il premio Akutagawa nel 1987. E' stata pubblicata in inglese nella antologia Japanese Women Writers: Twentieth Century Short Fiction, Armony, New York, 1991. Murata, nata nel 1945 ossia l'anno del bombardamento di Nagasaki, ama scrivere storie di vecchie donne, che associa ai concetti di acqua e terra, ed ispirarsi ad oggetti che hanno colpito la sua immaginazione, come una pentola, per costruirvi intorno la storia.
La trama è lineare, ma interrotta da numerosi diversioni che Kurosawa introduce per permettere a chiunque, anche e soprattutto alle nuove generazioni, di rendersi conto delle motivazioni profonde che si nascondono dietro atteggiamenti a volte non immediatamente decifrabili della sua generazione. Del resto, lo vedremo dopo, la trama è solo un pretesto.
La protagonista, Kane (Sachiko Murase), è una donna ormai anziana, che ha perduto 46 anni prima il marito e gran parte della famiglia sotto il fuoco nucleare di Nagasaki.
Non si può fare a a meno di osservare che Kane ha grossomodo la stessa età di Kurosawa (81 anni al momento dell'uscita del film) e che la coincidenza non può essere considerata casuale.
Kane è Kurosawa. anche se un Kurosawa più istintivo - ma tutti lo diveniamo quando veniamo toccati nel profondo, meno intellettuale, meno "costruito" e forse più vero.
Nella prima parte dell'opera gli estremi si toccano: i nipoti di Kane, da sinistra Minako, Tateo, Shinjiro e Tami, stanno passando le vacanze nella casa tradizionale di campagna ove Kane vive sola, lontana dal frastuono della città di Nagasaki.
Tadao, il padre di Shinjiro e Tami, si trova alle Hawai dove è andato per conoscere un fratello di Kane, Suzujiro, che è si è rifatto vivo dopo molti anni da quando se ne era perduta ogni traccia e perfino la memoria. Era emigrato nel 1920, quando Kane era ancora una bambina, e la famiglia era numerosa come si usava a quei tempo: 11 figli, la stessa Kane ha difficoltà a ricordarsi tutti i suoi fratelli ed in particolare di quello.
Il gruppetto è riunito intorno ad un pacco di lettere: le prime notizie daille Hawai.
Suzujiro non ha più molto da vivere, e vorrebbe rivedere la sorella. Sono i figli di Kane, Tadao (Isashi Igawa) e la figlia (Toshie Negishi) a raccontare l'incontro.
E' subito chiaro che Kane non vuole andare. Non può. Non è solo per l'età: è legata indissolubilmente a Nagasaki da ricordi terribilmente dolorosi, impossibili da spezzare.
Non solo la morte del marito, che i figli non hanno potuto conoscere, ma anche quella quella di centinaia di migliaia di altri esseri umani, bruciati in un attimo dal fuoco atomico o scomparsi negli anni successivi dopo atroci sofferenze.
O ancora vivi, come lei. Ma con i segni della tragedia nel corpo e nell'anima, in qualche modo morti anche essi.