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Il kekkai, questo sconosciuto.
Da alcuni anni Tada sensei a conclusione dei suoi seminari propone una forma di allenamento non precisamente denominata. In termini materiali si tratta di una tecnica in ushirowaza, ossia tesa ad affrontare una ipotesi di minaccia alle proprie spalle. Si pratica in kakari geiko, quindi affrontando più praticanti che si susseguono afferrando tori in ushiro ryotemochi (presa a un avambraccio con entrambe le mani). Le prese devono susseguirsi velocemente e senza interruzione mentre tori deve mantenere la propria postura e limitarsi a ruotare sistematicamente le braccia a ritmo più sostenuto possibile, proiettando ogni uke senza curarsi di controllarne l'azione, né visivamente né in altro modo. Il movimento di tori infatti prescinde in un certo senso dalla presenza o meno di uno o più uke.
Lo spigolatore di Palm
Nei primi anni del secolo, o se volete del millennio che figura ancora meglio, il sottoscritto si impossessò di uno dei primi smartphone, che per la verità all'epoca venivano definiti computer palmari. Da cui il nome dell'oggetto in questione: Palm. Dopo il Palm 600 ci furono il 630, il 680 e infine la piccola ditta che aveva inventato questo prodotto di successo venne fagocitata da un gigante del'informatica, HP. E sparirono... La ditta e il prodotto. La scomodità di trasferire quanto fatto sul Palm in altri dispositivi ha fatto sì che molto materiale giacesse nell'oblio, finché spigolando nell'archivio digitale mi sono imbattutto nella cartella col contenuto del Palm. Ed ecco cosa ne è uscito fuori.
Enzo Conte. L'aikido come arte della rappresentazione
Premessa
L’amico Paolo mi lusinga chiedendomi questo articolo. Rileggendolo a distanza di diversi anni mi sono reso conto di avere cambiato visione sull’aikido, senza per questo rinnegare il passato e meno che mai dolersene. Quella qui avanzata è un’idea estetica dell’aikido, non sfuggono all’occhio attento le influenze nietzschiane di La nascita della tragedia e forse il contrasto tra apollineo e dionisiaco. Ma, si dice, c’è un periodo nella vita nel quale siamo necessariamente seguaci del filosofo tedesco. Dal lato aikidoistico vi è un certo ascendente della ricerca del maestro Fujimoto del “Fare la tecnica più bella!”, uno studio finalizzato ad una forma di benessere psicologico: l’arte è anche catarsi. Le arti hanno infatti tecniche diverse ma tratti comuni, l’ispirazione che è l’inizio di ogni cosa e forse il fine che è la bellezza (a meno che essa non sia uno strumento per qualcos’altro). Oggi sono portato a vedere altri aspetti, forse, e sono parole del maestro Tada, l’aikido è un’arte per vivere. Sarà effetto dell’età?
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La via dell’Aikido? Una gita col proprio dojo.
Sappiamo che il dojo non è una normale palestra dove chi frequenta si allena secondo finalità proprie, magari seguito da un personal trainer che gli fornisce un programma individualizzato. Il dojo è una “famiglia” guidata dal maestro che, proponendo l’Aikido secondo la sua personale visione, porta le persone verso un obiettivo comune che nella mente di ogni maestro dovrebbe essere molto chiaro e ben definito, sia per quanto concerne la meta finale che per quanto concerne il percorso tecnico e didattico da seguire. Ma l’aspetto tecnico non è l’unico. Altrettanto importante è l’aspetto umano. Il maestro dovrà costantemente vigilare e guidare il gruppo affinché si crei un corretto intreccio di rapporti umani fra lui e gli allievi e gli allievi fra di loro.