Tecnica e storia

Omote e ura: dalla tsuba alla vita - Omote o ura?

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Nella spada giapponese si assume per principio che il lato omote sia quello visibile all'osservatore quando l'arma è portata alla cintura: quasi un biglietto da visita che il portatore della spada porge al suo prossimo. Di conseguenza, il lato più ornato della guardia viene portato all'esterno (omote), quello meno ornato all'interno (ura). Possono sorgere delicati problemi di interpretazione quando la guardia è del tipo sukashi (a traforo) e quindi senza ornamenti o riporti, e a volte perfettamente simmetrica sia dai due lati che nelle parti destra e sinistra. Può trattarsi di una voluta ambiguità decisa dall'artista o dal committente, a significare che nella vita è sempre difficile discernere la verità dalle apparenze, o per invitare l'osservatore a guardare più attentamente, a coglierla da indizi apparentemente non significativi.

Ma il maestro sottolinea una ulteriore affascinante complicazione: la maggior parte dei componenti e degli accessori della spada ha una posizione fissa non variabile; per esempio il lato omote di tutta la spada, quello visibile all'osservatore, è sempre il sinistro; quindi delle due guarnizioni (menuki) del manico, che non sono mai uguali nemmeno quando lo sembrano ad un primo esame superficiale, quella omote sarà sempre sul lato sinistro, e quella ura sul lato destro. L'asola nel fodero (kurigata) in cui passa il laccio (sageo) è sul lato omote essendo un ornamento spesso impreziosito da una decorazione (shitodome) ma il foro passante (mekugi hana) da dove si introduce il perno di fissaggio del manico (mekugi) da questo lato è celato dalla nastratura perchè considerato non gradevole alla vista. E così via.

Fa doppia eccezione la tsuba: il lato omote, maggiormente ornato, è quello rivolto verso la lama. E' quello che è visibile all'osservatore quando la lama è indossata alla cintura. Ma la tsuba è un elemento mobile non rigidamente fissato e strutturato in modo che possa essere montato indifferentemente in un senso o nell'altro. Come del resto fa ogni essere umano quando decide deliberatamente di essere aperto e sincero (mostrare al mondo il suo lato omote) oppure di lasciare un velo di mistero sui suoi pensieri (mostrando il lato ura); quando decide di essere allegro o di essere austero, quando decide di divertirsi e divertire, o di essere serio. Nell'ambito della cultura marziale non erano pochi i samurai che decidevano di esporre dal lato esterno l'aspetto più disadorno, più essenziale del loro essere, del loro abbigliamento, delle loro armi.

Il maestro non si ferma qui: chi ha imparato a comprendere a fondo il suo insegnamento sa bene che ci vorrà sempre portare a superare i nostri limiti, mai contentandosi di quanto acquisito, come è prerogativa di tutti i grandi maestri. E osserva che la scelta iniziale del lato da mostrare e del lato da tenere per se, può e talvolta deve essere abbandonata nel momento della verità. Quando la lama viene estratta dal fodero viene poi ribaltata in avanti per portarla in posizione di combattimento. Quello che era il lato omote della tsuba diventa il lato ura e naturalmente viceversa. Quello che veniva tenuto nascosto viene ora mostrato, e  l'immagine che porgevamo al mondo viene ritirata e rimane celata. Ma non basta ancora: il simbolo che prima rappresentava ura diventa sì omote nel momento del contronto per la vita e la morte. Ma in posizione inversa: quello che prima stava sopra ora sta sotto e viceversa. L'effetto, a volte drammaticamente evidente, di questo rovesciamento della posizione lo potete vedere nella tsuba raffigurata. Che presenta inoltre la caratteristica di mostrare un aspetto scabro e rude immediatamente contraddetto dall'accuratezza del riporto che copre il kogai hana in shibuichi (lega di argento) che la foto purtroppo non rende, La prima impressione di rusticità è smentita definitivamente non solo da un esame accurato ma anche dalla sensazione tattile: maneggiando questa tsuba si ha l'impressione di avere in mano della seta.

Quale grande occasione di riflessione ci viene offerta!  E certamente nessuno che abbia ascoltato attentamente le parole del maestro si contenterà di avere sulla sua lama una qualsiasi tsuba. Dovrà cercare la sua, acuendo tutti i suoi sensi per riconoscerla quando l'avrà incontrata.

La tsuba che reca il motivo del musubi è particolarmente ardua da trovare; va ricordato tra l'altro che  in Giappone per lungo tempo venne interdetto per motivi di sicurezza interna l'uso di qualunque veicolo su ruote, e quindi il simbolo della ruota di carro venne sostituito da quello della ruota di mulino ad acqua (suisha). Il comprensibile desiderio del maestro di esaminare di persona oggetti con la tematica del musubi solo occasionalmente può essere esaudito. Esamineremo alcune di queste guardie, con l'avvertenza che il mio grado di competenza si arresta poco oltre l'apprezzamento personale, non sono in alcun modo un esperto di kodogu (fornimenti della lama) o di nihonto.

Questa tsuba per wakizashi, scelta come simbolo del gruppo di sostegno del maestro, è con ogni probabilità una riproduzione, per quanto ben eseguita e riproducente fedelmente l'effetto rude e scabro che incontrava maggiormente i gusti degli uomini d'arme. Le tacche di adattamento visibili intorno al foro centrale ove passa la lama (hitsu hana) indicherebbero che la guardia è stata utilizzata per lungo tempo e su differenti lame, ma non è presente in alcun modo il segno ovale che avrebbe lasciato sulla zona circostante (seppadai) la guarnizione in metallo tenero (seppa) che separa la tsuba dal manico e dalla lama.

Il colore della patina non è del tutto naturale, inoltre le tacche presentano lo stesso grado di ossidazione del resto della superficie, mentre dovrebbero essersi preservate diversamente in quanto meno esposte all'aria. Il maestro Hosokawa dopo lunga riflessione ha confermato la diagnosi utilizzando un metodo empirico quanto affidabile se utilizzato da persona competente: annusando la superficie della tsuba ha assentito vigorosamente: un percettibile odore di zolfo confermava che l'oggetto era stato invecchiato artificialmente, probabilmente col composto conosciuto in occidente come "fegato di zolfo" (solfuro di potassio, che ha effetti variabili col grado di diluizione, col solvente utilizzato, che è normalmente l'ammoniaca, e col metallo o lega cui è applicato).

Occorre ricordare per completezza che il prezzo di una tsuba eseguita oggigiorno con le tecniche tradizionali è spesso superiore a quello di molte tsuba d'epoca e anche gli esemplari riprodotti in serie a condizione che siano ben fatti non hanno prezzi inferiori ai 150€.

 

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