Miti, leggende, eroi
L'epopea samurai
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Quanto segue è un estratto della conferenza tenuta da Paolo Bottoni nel mese di febbraio 2015 presso il dojo Aikikai di Caserta, al termine di un seminario di aikido. Si tratta del testo che accompagna le immagini proiettate nel corso della conferenza e non esaurisce ovviamente tutto l'argomento, che viene sviluppato di volta in volta a seconda del pubblico cui è rivolto, delle loro domande e delle loro reazioni. Chi è interessato a repliche della conferenza può contattare Paolo Bottoni per Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..
Il termine samurai (侍) deriva dall'antico giapponese saburau (侍ふ) che ha il significato di scortare un nobile. Veniva utilizzato per i guerrieri che scortavano durante viaggi e spostamenti i nobili di grado uguale o inferiore al sesto (vediamo nella immagine alcune categorie di nobili di corte).
Col passare del tempo iniziò ad essere pronunciato saburai e infine samurai.
La prima apparizione di questo termine viene fatta risalire all'epoca Heian (平安時代- Heian jidai, 794-1185) nel Kokin Wakashū, opera letteraria composta tra il 905 e il 914.
Gli appartenenti alla nobiltà erano identificati dal termine kuge¸ i membri della classe guerriera, cui appartenevano i samurai, erano invece i buke (武家), termine da cui derivano poi bushi (武士), bushidô (武士道) ed altri ancora.
Nella immagine, proveniente da ricostruzioni storiche contemporanee, il nobile è impegnato nel gioco di corte definito emari, consistente in esercizi di destrezza con una palla.
Il guerriero, in abiti civili, è armato del tipico arco asimmetrico giapponese.
In seguito, in una lunga epoca di guerre di successione, due diverse fazioni della corte si appoggiano alle famiglie di aristocratici guerrieri dei Taira e dei Minamoto.
Questi ultimi arrivano infine a prevalere sul finire del XII secolo con la nomina di Minamoto no Yorimoto a shogun (将軍) ossia comandante in capo.
Il lungo ed ininterrotto periodo di guerra porta alla creazione di una nuova aristocrazia dedita prevalentemente alle armi, che governerà il paese lasciando alla corte imperiale funzioni puramente simboliche. Il governo della classe guerriera assume il nome di bafuku (幕府governo della tenda).
Nella immagine la battaglia navale di Dannoura, nello stretto che separa il Giappone dal continente, in cui il generale Minamoto no Yoshitsune debellò la flotta dei Taira.
In epoca Kamakura (Kamakura jidai - 鎌倉時代- 1185-1333) la parola samurai inizia ad identificare invece proprio prima quei nobili cui venissero di solito conferiti incarichi militari, e più tardi ogni personaggio che venisse selezionato o avesse scelto di incamminarsi sul kyuba no michi (弓馬の道 via dell'arco e del cavallo).
Quella che noi definiamo "via del guerriero" e che viene resa a fine 1800 da Inazo Nitobe con il termine bushidô.
Per distinguerlo dai combattenti di rango inferiore il cavaliere nipponico era infatti anche chiamato yumi tori (portatore di arco).
L'adozione generalizzata di un termine nuovo modifica spesso anche la percezione degli avvenimenti passati.
Uno dei personaggi che maggiormente viene identificato come archetipo del samurai infatti è il principe Minamoto no Yoshitsune (源義経, 1159-1189), che non potrebbe a rigore essere definito tale.
Sia perché vissuto in epoca precedente sia perché appartenente alla più alta nobiltà.
E' leggenda che il principe Minamoto Yoshimitsu (源義光 1045-1127), appartenente anche esso alla dinastia che prendeva in quel periodo il dominio del Giappone, abbia derivato dalla antica arte del tegoi una nuova disciplina chiamata Daitô ryu (大東流scuola di Daitô) dal nome del castello sede della sua residenza.
I suoi discendenti presero il nome di Takeda (武田) e si trasferirono nello han (藩provincia)del Kai (Yamanashi), che abbandonarono per Aizu (Fukushima) dopo la sconfitta del clan contro Oda Nobunaga nella battaglia di Nagashino (narrata nell'epilogo del film Kagemusha di Akira Kurosawa).
Nella stampa di Tsukioka Yoshitoshi (1879) vediamo Minamoto no Yoshimitsu intento a istruire Toyohara no Tokiaki nell'uso dello strumento musicale chiamato shô (non dissimile dal flauto di pan).
Agli inizi del XX secolo il depositario della scuola, Takeda Sokaku, trasmise le sue conoscenze a Ueshiba Morihei, che ne trasse ispirazione e i fondamenti tecnici per la creazione dell'aikidô (合気道).
I cambi dinastici o epocali era contrassegnati in Giappone dal nome della nuova capitale: il passaggio da una fase all'altra dell'esistenza, sia degli esseri umani che delle istituzioni, viene spesso esaltato nelle società tradizionali da un segno esterino tangibile del cambiamento: in Giappone si cambiava spesso nome, quando si cambiava il proprio percorso di vita. Le civiltà iniziavano un nuovo corso trasferendosi in un nuovo centro di potere..
Abbiamo così l'epoca Nara, Heian, Kamakura (inizio del dominio degli shogun) e Muromachi, (distretto di Kyoto ove risiedevano gli shogun della dinastia Ashikaga).
Dopo un lungo periodo di guerre civili nel 1603 inizia l'epoca Edô (Tokyo) che termina nel 1868 assieme all'epopea samurai.
Imperatori e shogun continuarono ad appoggiavarsi nel corso dei secoli precedenti ad una fitta rete di daimyô (大名 grande nome) e hatamoto (旗本 alfiere), termine preferito allo scortese shomyo (piccolo nome). Particolarmente agguerriti i feudi del sud che dovevano contrastare invasioni (mongoli) e pirateria (Corea e Cina).
Nelle dimore dei daimyo una parte chiamata samurai dokoro era riservata ai saburau mono al loro servizio.
Già il primo shogun Minamoto no Yoritomo formalizza l'istituzione del samurai dokoro, un organo collegiale preposto al governo dei guerrieri del feudo (gokenin), ponendone a capo Wada Yoshimori con Kajiwara Kagetoki come secondo.
Col tempo vengono affidati ai samurai dokoro anche compiti amministrativi e di polizia, oltre che di organizzazione militare.
I samurai combattenti furono più tardi divisi in tre classi:
gli shichū che potremmo definire di prima classe,
gli yoriai di seconda classe, addestrati all'uso di armi complesse come l'arco
gli ashigaru (足軽 piedi leggeri) di terza categoria, armati di mezza armatura e lancia che costituivano come dice il loro nome dei corpi di fanteria leggera.
La classe samurai era divenuta costantemente più influente durante le numerose guerre, rivolte e tentativi di invasione dal mare che turbarono l'epoca Kamakura.
In questa epoca si afferma anche il pensiero di numerose scuole buddiste, che influenzeranno l'etica samurai.
Nei monasteri si praticano spesso le arti marziali, ed i monaci guerrieri vengono chiamati yamabushi (山臥guerrieri della montagna).
Nel successivo periodo Nanbokuchô - Muromachi (1334–1573) queste correnti di pensiero continuano ad influenzare la cultura samurai.
Il tramonto del potere imperiale e degli shogun Ashikaga origina sul finire dell'epoca Muromachi una sanguinosa guerra di successione, durata quasi 100 anni e conosciuta col nome di Sengoku jidai (epoca degli stati combattenti).
A partire dal 1573 il relativamente breve periodo in cui i contendenti alla successione shogunale si confrontano in battaglia viene chiamato Azuchi-Momoyama jidai.
I protagonisti assoluti sono tre grandi guerrieri: Oda Nobunaga, Toyotomi Hidyoshi e Tokugawa Yeyasu.
Scomparsi i primi due, Tokugawa rimarrà incostrastato dominatore del Giappone ed inizierà la nuova dinastia shogunale che da lui prende nome.
Nell'ottobre del 1600 Tokugawa Yeyasu ottiene una decisiva vittoria contro i successori di Hideyoshi nella grande battaglia di Sekigahara.
Da quella data inizia l'Edô jidai, così chiamata dal nome della nuova capitale, l'attuale Tokyo.
La residenza imperiale rimane tuttavia a Kyoto.
Questa epoca, chiamata Tokugawa jidai, viene spesso definita come pax Tokugawa.
Lo shogunato Tokugawa programma infatti una lunga serie di provvedimenti per impedire il ripetersi dei conflitti.
L'enorme numero di samurai reso necessario dalle continue guerre diviene sovrabbondante in tempo di pace.
Ne nascono complessi conflitti sociali, che solo gradualmente trovano soluzione.
Questi provvedimenti ebbero enorme influenza soprattutto nei confronti della classe samurai, che doveva continuare nella sua vocazione guerriera ma anche inserirsi nella società civile.
L'aspetto stesso del samurai cambia: veste l'hakama, ha l'obbligo di portare due spade: la lunga lama (daitô) è ora la katana, non più il lungo tachi portato in battaglia, e la lama corta (shotô) è ora una daga denominata wakizashi e non più il pugnale (tantô).
Ai samurai al servizio di un feudo, riconoscibili dalla rasatura rituale del capo (chommage) vennero affidati compiti di amministrazione e gestione, di crescente importanza.
I feudatari erano infatti obbligati a continue e dispendiose assenze dal territorio per recarsi periodicamente ad Edô in udienza presso lo shogun, alla cui corte dovevano prestare servizio a turno, sottraendo loro il controllo del feudo che doveva ormai coinvolgere anche un numero crescente di samurai e non più solamente i nobili.
Al samurai vennero interdetti però altri lavori.
Contemporaneamente il samurai era costretto a comprendere le ragioni della propria vocazione guerriera non più o non solamente attraverso il combattimento, ma con una adeguata riflessione interna resa possibile da un addestramento ed una educazione mirati.
Nascono in questo periodo le prime norme rivolte a regolare la vita del samurai e a chiarirne gli scopi - personali e sociali - come il Buke Shohatto (武家諸法度) emanato nel 1615 da Tokugawa Hidetada e più volte rivisto per adattarlo ad una società che andava ancora cercando una forma stabile.
Questi alcuni dei precetti del Buke Shohatto:
La classe samurai deve votarsi ad attività appropriate all'aristocrazia guerriera, come lo studio dell'arco, della spada, dell'equitazione, della letteratura classica
...
10: Le convenzioni riguardo l'abbigliamento uniforme devono essere osservate
...
12: I samurai del feudo devono praticare la frugalità.
13: I Daimyō selezioneranno uomini competenti come amministratori e burocrati.
Appaiono anche i primi testi scritti dalle maggiori menti della classe samurai, come il Gorin no shô di Miyamoto Musashi (宮本武蔵 1584-1645) grande invitto guerriero che in oltre 60 duelli usò solo il bokken contro le lame degli avversari.
Il Fudochi del maestro zen Takuan Soho (沢庵宗彭, 1573-1645), lo Yojokun di Kaibara Ekiken (貝原益軒, 1630-1714), samurai, medico e scienziato, lo Yasenkanna del pensatore zen Hakuin Ekaku (白隠慧鶴, 1686–1768).
Le prime scuole di formazione al combattimento di cui si abbia notizia risalivano ad epoche precedenti: Tenshin Shoden Katori Shintô ryu (Iizasa Chōisai Ienao, 1450 circa), Kashima shinto ryu (Tsukahara Bokuden, 1530 circa), Yagyu Shinkage ryu (Kamizumi Nobutsuna, 1565 circa).
Questa non venne fondata da Yagyu Munetoshi, allievo e successore di Nobutsuna: aggiunse semplicemente il suo nome a quello della scuola.
La scuola acquistò comunque enorme prestigio e sotto la guida di Yagyu Munenori (1571-1646) venne prescelta come disciplina ufficiale dello shogunato Tokugawa, assieme all'altra prestigiosa scuola Ittô ryu. E' di Yagyu Munenori uno dei testi fondamentali della cultura samurai, l'Heihô Kadenshô (La spada che dà la vita).
E' evidente però che essendo nate in un periodo in cui si combatteva sul campo di battaglia, rivestiti di pesanti armature e con lance e spade pensate per combattimenti in campo aperto, queste discipline dovettero subire radicali trasformazioni in epoca Edô, durante la pax Tokugawa, in cui armi più leggere e maneggevoli avevano sostituito quelle precedenti.
Se durante i secoli precedenti il samurai era chiamato ad esercitare la sua arte soprattutto se non esclusivamente in battaglia, in epoca Edô la lama viene estratta prevalentemente nel corso di un duello o di un intervento a tutela dell'ordine pubblico.
Già sappiamo che il samurai è ora tenuto al porto di due armi da taglio: la katana, più corta e leggera del tachi utilizzato precedentemente, ed il wakizashi, daga più lunga del tantô (pugnale) adottato in precedenza.
Il corredo viene definito daishô (lunga-corta).
Nel periodo Kambun (a partire dal 1671) vengono definite le caratteristiche consigliate per queste armi.
Il tantô ha lama inferiore ad 1 shaku (piede, equivalente a 30,03 cm), il wakizashi tra 1 e 2 shaku (30-60 cm).
La katana, rappresentata nell'illustrazione, misura normalmente tra 2 e 2,5 shaku (60-75 cm).
Il tachi - che continua ad essere utilizzato ma prevalentemente come arma cerimoniale, oltrepassa questa misura.
Le armi del samurai conservano intatto attraverso i secoli il loro valore simbolico: il tachi è divenuto ormai in epoca Edô soprattutto arma di rappresentanza.
Il daimyô è costantemente seguito da un attendente che porta il suo tachi, tenendolo in posizione verticale ed impugnando il fodero con un panno, in segno di un rispetto e per non danneggiarne la preziosa lacca, che deve proteggere la lama dal clima umido del Giappone.
Ancora oggi lo yokozuna, il campione di sumo, è accompagnato al suo ingresso protocollare nel dohiô da un attendente che ne impugna il tachi.
La katana del samurai ne rispecchia la personalità e lo stile di vita.
Viene quindi richiesto cortesemente di esaminarla quando si valuta se prenderlo al proprio servizio quando libero da impegni (ronin: uomo onda).
Per alcuni la vita errante è una scelta di vita, per altri un passaggio necessario per comprendere la propria missione.
La vita erratica di questi samurai li pone infatti a contatto con diverse scuole di spada, permettendo loro una migliore visione d'assieme dei principi delll'arte.
Anche il corredo rispecchia la natura del samurai, che lo sceglie curando che sia coerente con la sua filosofia.
Questo wakizashi di epoca Kambun è montato in stile aikuchi, normalmente utilizzato per i tantô.
I menuki, borchie applicate al manico per migliorarne la presa, rappresentano corvi. Il kozuka, coltello di servizio inserito nel fodero, rappresenta simbolicamente un samurai, sotto le sembianze di un gufo che sopporta impassibilmente lo scherno dei corvi. Attenderà la notte per reagire, nel suo ambiente preferito, senza lasciarsi condizionare dagli avversari.
E' in questa epoca che si inizia a praticare l'arte della spada nelle corti delle dimore signorili.
La disposizione dei dojo tradizionali si mantiene ancora oggi fedele a questa tradizione.
In epoca moderna si tende a sottovalutare la valenza formativa delle antiche discipline (koryu) attribuendo loro soltanto quell'efficacia pratica che si vuole, perduta nelle discipline moderne.
Questo discorso va affrontato con cautela. Non ha alcun senso considerare ad esempio lo iaidô o battodô come una iscipline di combattimento, collocandosi esso in contesti avulsi dalla realtà.
Sappiamo infatti che il porto della katana era regolamentato, ed era espressamente vietato all'interno dei locali pubblici e delle abitazioni private.
In questa scena tratta da un film del maestro Kei Kumai vediamo infatti un brusco invito ad allontanarsi rivolto ad un samurai: gli viene porta la sua spada, senza rivolgergli alcuna parola ma facendogli inequivocabilmente capire che deve riprenderla ed uscire.
Se ne deve concludere che gli esercizi base di estrazione della spada dalla posizione di seiza tenuta normalmente all'interno degli edifici, privati o pubblici, non hanno pretese di realismo.
La vera ragione d'essere di queste discipline risiede in ambito superiore: nella necessità di forgiare lo spirito del guerriero obbligandolo a confrontarsi con se stesso prima di pretendere di affrontare qualunque avversario, che gli viene anzi momentaneamente - ma forse per sempre - sottratto.
L'equilibrio ultramillenario che ha reso possibile in Giappone ed anzi necessaria la nascita della cultura della spada ed il suo successivo fiorire, è destinato ad infrangersi.
Si avvicina Il tramonto dell'epopea samurai.
Alla metà del XIX secolo il volontario isolamento esterno deciso dai Tokugawa non appena preso il potere, nel 1600, venne interrotto con la forza, con l'arrivo di una flotta statunitense nella baia di Uraga, ad occidente di Edô, al comando dell'ammiraglio Perry.
Sotto la minaccia dei cannoni i rappresentanti dello shogun vennero costretti ad aprire le frontiere ed a firmare dei trattati comemrciali, ed immediatamente dopo a fare lo stesso con i rappresentanti di numerose altre potenze straniere.
I tradizionalisti, decisi a ricacciare gli stranieri ad ogni costo, reagirono immediatamente, con attentati e azioni di guerriglia.
Gli agguerriti feudi meridionali di Tosa, Choshu e Satsuma, oltretutto quelli maggiormente esposti alla aggressività delle potenze straniere, chiedono l'intervento dell'autorità imperiale per annullare le decisioni dello shogun.
Nel 1868 sale al trono il giovanissimo imperatore Meiji, che regnerà fino al 1912.
Sembra una facile preda per la dinastia Tokugawa, che ha consolidato il suo potere da oltre 250 anni.
Sarà invece lui a guidare il Giappone nel travagliato processo di trasformazione.
Nel periodo di torbidi che seguì l'ingresso con la forza delle potenze straniere in Giappone (Bakumatsu ran) si scontrarono le neonate e già in parte modernizzate forze imperiali e quelle delle shogun.
Tokugawa Yoshinobu fu costretto all'abdicazione nel 1868 dopo essere stato stretto d'assedio e vinto a Edô.
L'imperatore, ripreso nelle sue mani dopo un intervallo millenario il potere temporale, trasferì la sua residenza da Kyotô a Edô, che prese il nuovo nome di Tokyô (capitale dell'est).
Già pochi anni dopo, come mostra la fotodell'ufficiale a cavallo, risalente al 1876, l'esercito imperiale è completamente rimodellato sull'esempio di quelli occidentali.
La politica imperiale deve accettare però l'irrevocabilità dell'apertura al mondo esterno e la conseguente necessità di riformare completamente la nazione.
Nel 1876 viene emanato l'haitô rei, editto che vieta il porto delle due spade e l'acconciatura chommage tradizionale, abolendo la stessa classe samurai.
I tradizionalisti di Satsuma e Soshu che avevano prima combattuto per l'imperatore, sentendosi traditi, gli si rivoltarono in armi.
La "ribellione di Satsuma" venne guidata dal generale Saigō Takamori, che aveva comandato solamente pochi anni prima le truppe imperiali che risalivano dal sud per affrontare ad Edô quelle delle shogun.
Venne debellata definitivamente nella battaglia di Shiroyama, nell'autunno del 1877, in cui Takamori scomparve.
La battaglia pur inutile e perdente dei tradizionalisti ha lasciato profonda impressione nel popolo giapponese.
La figura di Saigo Takamori è paragonabile per popolarità a quella di Giuseppe Garibaldi nella storia e nella iconografia popolare italiana.
Ad Aizu un monumento ricorda i 19 adolescenti tradizionalisti Byakkotai (Corpo delle Tigri Bianche) che si uccisero credendo erroneamente perduta la fortezza che avevano il compito di difendere contro l'assalto delle truppe mperiali.
Assieme ad altri 3 reparti, ognuno dei quali intitolato ad uno degli animali mitici che presidiano i 4 punti cardinali, il Byakkotai fu reclutato tra i giovani samurai delle tre classi tradizionali di cui abbiamo parlato in precedenza.
Il reparto, composto da giovani tra i 16 ed i 17 di classe shichu, rimase isolato nel corso di uno scontro e credendo ormai caduta la fortezza, che sembrava avvolta dalle fiamme, decisero di compiere seppuku piuttosto che arrendersi.
Se i cambiamenti epocali dell'era Meiji comportano il definitivo tramonto dell'epopea samurai, costituiscono però l'ambiente in cui matura l'alba delle arti marziali moderne.
La velocità dei forzati cambiamenti ha forse aiutato il Giappone a percepire la gravità dell'imminente perdita del suo patrimonio millenario e a prendere provvedimenti.
La tradizione marziale nipponica in particolare viene tramandata attraverso una riorganizzazione dei koryu (古流). le antiche scuole e del kobudo (古武道) in genere.
La stampa di Karsukawa Shunsho (1775 circa) rappresenta il guerriero e poeta Sangi Hitoshi, figura semileggendaria del X secolo, intento a esprimere la sua ammirazione alla cortigiana Ukon.
Si è detto che queste antiche arti, definite di norma jutsu (術 metodo) erano volte soprattutto all'efficacia pratica.
Non si può concordare completamente ma è innegabile che le nuove arti elaborate a partire dall'epoca Meiji pongano maggiore enfasi sui valori formativi della cultura samurai, riducendone la componente aggressiva.
L'immagine, dai manga del grande Katsushika Hokusai, rappresenta la pratica in un dojo tradizionale di epoca Edô.
Nel 1895 il governo giapponese istituiva il Dai Nippon Butotu Kai, sotto il controllo del Ministero dell'Educazione.
SI trattava di un ente che aveva lo scopo di tramandare il patrimonio marziale del Giappone.
Gli interventi mirarono ad uniformare metodi di insegnamento, adattandoli ai nuovi tempi, organizzare attività di difusione e conservareo memoria del patrimonio del passato.
Sciolto nel dopoguerra dalle autorità di occupazione, il Dai Nippon Butotu Kai è stato ricostituito nel 1953 e riconosce al momento 12 discipline:
- aikidô,
- daitô ryu aikijujutsu,
- jôjutsu,
- judô,
- jujutsu,
- karate,
- kendo,
- kosshijutsu,
- kyujutsu,
- iaidô,
- Okinawa kobudô,
- sôjutsu.
Delle tante scuole di spada nei secoli passati, rispecchianti la fitta e spesso inpenetrabile suddivisione territoriale del Giappone feudale, sono rimaste soprattutto le più antiche ed importanti, modificate ed adattate ai tempi.
Accanto ad un certo numero di scuole minori, vennero incanalate nei due filoni del kendô (剣道), disciplina competitiva, e dello iaidô (居合道), disciplina formale.
Pur privilegiando l'uso della spada e di altre armi bianche, esistevano in Giappone anche numerose discipline a mano nuda.
Da alcune di esse nel 1882 Jigoro Kano (1860-1938) deriva un suo metodo che chiama judô (柔道 via della adattabilità).
Il judô si afferma in breve tempo, anche riportando la vittoria in numerosi tornei interstile organizzati dalle forze dell'ordine e dall'esercito per selezionare i propri istruttori.
E' la prima disciplina che qualifica se stessa non come metodo (術jutsu) ma come percorso di vita (道 dô).
L'immagine proviene dall'opera di esordio di Akira Kurosawa, Sugata Sanshiro, dedicata alla vita del primo leggendario campione del Kodokan, la scuola centrale del judô: Shiro Saigo.
Ci riallacciamo ora alla teoria della ripartizione delle discipline marziali in tre categorie, elaborata dal sottoscritto, di cui parliamo più diffusamente altrove:
- competitive,
- formali,
- relazionali.
Arti marziali competitive:
questo metodo, tipico ad esempio del judō e del kendō, prevede e richiede sistemi di verifica oggettiva incentrati su una competizione vincolata a regole e convenzioni e che certifichi l’esistenza di un vincitore e di un vinto.
Occorre dire che queste metodiche originariamente rimangono aliene dalla ricerca della vittoria a tutti i costi: ad una rigorosa preparazione quotidiana segue il momento di un confronto aperto e leale, privo di tatticismi, in cui si accettano con la medesima imperturbabilità sia la vittoria che la spesso necessaria sconfitta.
Sono purtroppo oggigiorno pesantemente inquinate dalla diffusione internazionale che ne ha causato uno sbilanciamento indiscutibile verso il raggiungimento del risultato a qualunque prezzo.
Arti marziali formali:
Sono rappresentate da quei metodi didattici ove si studia e si pratica a solo, senza controparte umana ma misurandosi con un kata (型 forma) da riprodurre al meglio.
E' una pratica indirizzata al miglioramento di se stesso, anche in previsione di ogni tipo di confronto, ma che rinuncia ad adattare la pratica a queste ipotesi conflittuali.
Nella immagine: il maestro di iaidô Nakayama Hakudô (1872-1958), considerato la figura maggiormente rappresentativa del Muso shinden ryu nel XX secolo.
Arti marziali relazionali:
in questo gruppo di arti, di cui probabilmente l’aikidō è quella maggiormente diffusa e conosciuta, si pratica costantemente assieme ai compagni, in coppia od in gruppo (kakarikeiko), alternandosi nelle parti di assalitore e difensore, che di norma prevale ma senza schiacciare od annientare la controparte.
Il praticante calibra il livello della sua azione sul livello di aggressività o pericolosità dell’attacco, mantenendo un atteggiamento mentale e corporeo di assoluta serenità.
Nella immagine: Tada Hiroshi sensei, 9. dan, direttore didattico dell'Aikikai d'Italia. Uke Zucco Domenico sensei, 7. dan.
Elaborata dal grande maestro Ueshiba Morihei a partire dal 1926 circa, ossia circa due generazioni dopo la nascita del judô, l'arte dell'aikidô è probabilmente la più nuova ma anche la più moderna delle discipline di derivazione marziale.
Abbiamo visto però come le sue lontane radici si spingano attraverso il Daitô ryu ed il tegoi fino alle origini stesse della cultura samurai.
Nel programma di Tada Hiroshi sensei è prescritto lo studio delle vite e del pensiero dei grandi guerrieri del passato, ad ulteriore prova del legame indissolubile che lega l'aikidô alla tradizione samurai.
Tra essi Isenokami Nobutsuna (1508-1577 circa):
Colpire con decisione e senza incertezze. Pulito.
Gesto raffinato, ampio e sicuro.
Essere determinati nella pratica.
Non avere tensioni nel corpo.
Avere le spalle rilassate e basse.
Saper muovere il corpo con cura.
Movimento dei piedi chiaro e leggero.
Spirito calmo e sicuro. Ampio.
Non avere dubbi ed esitazioni.
Avere una postura naturale.
Tempo del colpo chiaro e sicuro.
Avere uno spirito che non si irrigidisca.
Dopo Nobutsuna, vissuto immediatamente prima dell'epoca in cui fiorisce il pensiero samurai, un grande maestro vissuto nel crepuscolo di questa epopea: Yamaoka Tesshu (1836-1888).
Una catena ininterrotta che corre, attraverso azioni e pensieri, per oltre 1200 anni.
Non concentrarti
Nel colpire il tuo avversario
Muoviti naturalmente
Come raggi di luna che penetrano
In una capanna senza tetto
Grazie a tutti voi che siete arrivati a percorrere fino in fondo questa proposta di ricerca.
Che non si esaurisce naturalmente qui, ma vuole essere uno stimolo per ulteriori ricerche, sia personali che condotte all'interno di una comunità di percorso.
P.B.
NOTA: Le immagini che illustrano i costumi tipici dei samurai di epoca Edo provengono dalle opere dei maggiori maestri del cinema jidai giapponese: Akira Kurosawa (Kagemusha), il suo allievo Takashi Koizumi (Ame agaru), Kei Kumai (Il mare e l'amore), Kon Ichikawa (Dora heita), Nagisa Oshima (Gohatto).