Testi complementari
L'aikido è una disciplina affascinante quanto complessa, non a caso è classificata da molti come una attività culturale più - o in più - che una disciplina per l'allenamento psicomotorio.
Per padroneggiarla a pieno non è quindi sufficiente consultare dei buoni testi sull'aikido, è necessario avere nozioni in svariati altri campi, ed adeguarle man mano che crescono il livello di preparazione e le aspirazioni.
E' bene accrescere il proprio livello di conoscenza delle fondamenta teoriche delle altre discipline marziali, approfondire la tematica della psicologia del confronto, apprendere i metodi basilari di condizionamento fisico o di mantenimento della condizione fisica ottimale anche nell'alternarsi delle stagioni e nel susseguirsi degli anni, e applicare sistematicamente quanto appreso in questi viaggi ideali fuori del proprio dojo.
T. Betti Berutto: Da cintura bianca a cintura nera
Da cintura bianca a cintura nera nelle arti marziali
Tommaso Betti Berutto
XXI Edizione, Giugno 2009, GP Edizioni
596 pagine, XVI in appendice
Tommaso Betti Berutto è stato uno dei più importanti pionieri nel mondo delle arti marziali in Italia. Iniziò la pratica del judo a Roma intorno al 1925 con Carlo Oletti, e non abbandonò mai l'arte nel corso della sua vita. Ad inizio degli anni 60 la sua notorietà internazionale lo rese protagonista di un episodio che doveva rivelarsi fondamentale nello sviluppo dell'aikido in Italia.
Lo ricorda così (in Aikido, giugno 1980) Danilo Chierchini, insegnante di judo arrivato negli anni 50 al titolo nazionale a squadre, e che fu negli anni 70 direttore del Dojo Centrale dell'Aikikai d'Italia, di cui divenne presidente negli anni 80.
Il telefono squillò a lungo nella notte e mi alzai per andare a rispondere trascinando le pantofole sul pavimento: era il maestro Betti che mi disse a bruciapelo: "Qui da me c'è un giovane giapponese appena arrivato da New York [si trattava dell'allora diciottenne Motokage Kawamukai], vorrebbe fare l'aikido e cerca una palestra. T'interessa? ... Così, alla maniera di certi romanzi gialli iniziò la vicenda dell'aikido in Italia, ai primi del 1964.
Naturalmente Chierchini non parla di inizio in senso assoluto", era al corrente delle precedenti esperienze avute da diversi insegnanti di judo con il maestro Tadashi Abe - che risiedeva in Francia - e dei corsi e raduni organizzati dal maestro Infranzi nella Campania. E nella stessa Roma in cui si svolge "l'azione" sia pure saltuariamente avevano insegnato l'arte il professor Mergé, che era stato allievo diretto di Ueshiba Morihei e poi dal 1957 Haru Onoda, che fu segretaria particolare dello stesso Ueshiba e che si sarebbe poi unita al gruppo Kawamukai - Chierchini. Era l'inizio di uno sviluppo più organizzato ed a livello nazionale, che avrebbe portato l'arte al grado di diffusione attuale.
In questo processo di formazione Betti Berutto sarebbe intervenuto ancora:
Fu in questi frangenti che riapparve il Maestro Betti, questa volta accompagnato dal Maestro Kobayashi arrivato fresco fresco dal Giappone per rendersi conto dello sviluppo dell'Aikido in Europa [in quella occasione il maestro Kobayashi tenne un seminario presso il Dojo dei Monopoli di Stato in Roma, e inoltrò all'Hombu Dojo di Tokyo parere favorevole per l'invio in Italia di un esperto di grande fama: il maestro Hiroshi Tada].
Betti Berutto fu quindi una figura fondamentale nella nascita dell'aikido in Italia, sia per la scuola che poi divenne poi Aikikai sotto la guida del maestro Tada che per quella facente capo al maestro Kobayashi, che attualmente si chiama Buikukai. Negli anni seguenti Betti Berutto, sempre residente a Roma, fu molto vicino soprattutto al nascente Aikikai d'Italia. Non mancava alcun embukai, e spesso faceva capolino nella rudimentale segreteria di allora per ottenere materiale da inserire nell'opera della sua vita: Da cintura bianca a cintura nera appunto, che ha attratto, affascinato ed istruito numerose generazioni di praticanti ed appassionati di arti marziali.
La prima edizione è infatti del 1956, l'ultima che abbiamo ora tra le mani è del 2009 ed è la ventunesima. Scomparso purtroppo da tempo il maestro Betti Berutto, fa piacere constatare che c'è chi ha voluto assumersi l'onere, ma anche l'onore, di continuare a dare vita a questa opera che sembra sfidare il tempo. Purtroppo le numerose riedizioni ne hanno inavvertitamente cancellato la memoria storica. Speriamo che sia possibile recuperarla e che la si possa pubblicare.
Nelle successive edizioni che si avvicendavano negli anni infatti il maestro inseriva il materiale che reperiva nel suo costante peregrinare da una associazione all'altra, aggiornandolo di volta in volta. Nelle edizioni degli anni 50 abbiamo di conseguenza una miniera di informazioni e foto riguardo le società, i praticanti, gli atleti e le competizioni di quegli anni. Materiale probabilmente ormai introvabile altrove, col conseguente rischio di smarrire inesorabilmente la memoria del passato. La stessa cosa si può dire naturalmente per le edizioni degli anni 60 e 70.
L'opera è esplicitamente dedicata al judo, l'amore che il maestro Betti Berutto ha coltivato sopra ogni altra cosa, ma lasciandosi ampi margini per studiare amorevolmente ogni altra forma di arte marziale e la cultura giapponese in genere. E' per questo un'opera che pur trattando prevalentemente di judo va consigliata senza riserve anche a chiunque si dedichi all'aikido o a qualunque altra disciplina, pur con l'avvertenza che le successive ricerche - che sarebbero state impossibili senza la dedizione e la costanza di Betti Berutto e degli altri pionieri, hanno spesso portato a risultati difformi da quelli raccolti da Betti in epoca ormai abbastanza remota.
Negli anni 80 la frequenza delle riedizioni dell'opera si ridusse fino ad annullarsi del tutto e l'assenza del maestro Betti Berutto agli embukai del Dojo Centrale cominciava a farsi allarmante. Lo feci notare a Chierchini ed al maestro Hosokawa: decisero immediatamente che dovevamo informarci ed eventualmente fare qualcosa. Chierchini venne a sapere che il maestro, già in età avanzata, aveva anche seri problemi alla vista ed era praticamente confinato in casa. Lo andammo a trovare una sera appena terminato l'allenamento: fu immensamente felice della nostra visita, e confessò di sentirsi completamente inutile, abbandonato da tante persone che lo riverivano, ossequiavano e soprattutto cercavano quando era ancora in grado di fare qualcosa per il suo prossimo.
Fu infatti sempre trascinato dal suo amore per l'arte marziale e per chiunque volesse dedicarvisi, impegnandosi per ogni causa e sempre col più completo disinteresse.
Il quel momento fummo anche noi, formalmente degli estranei, tra i pochi che andavano a cercare di lui, che sceglievano di volergli essere vicino. Di fronte al suo dolore sembrava ormai ben poca cosa presentargli il modesto omaggio che gli avevamo portato: l'iscrizione onoraria all'Aikikai d'Italia. Non il tesserino verde rilasciato a tutti gli iscritti, ma il libretto personale blu rilasciato col conseguimento dal 4. kyu, che si conserva per tutta la vita. Mi era infatti giunta voce che si fosse un giorno rammaricato di non avere mai avuto l'onore di essere iscritto all'Aikikai.
Si commosse. Assicurò che era un grande regalo, gradito sopra ogni altra cosa. Volemmo aggiungere sul libretto oltre a quella di Tada sensei anche la nostra firma: Chierchini, Presidente dell'Associazione, Hosokawa sensei, Vice Direttore Didattico e dojocho del Dojo Centrale, io come Segretario Nazionale. E lo facemmo tutti con trasporto particolare.
Non molto tempo dopo ci giunse la notizia che il maestro era scomparso. Dopo diversi anni ancora un conoscente mi informò che il suo immenso archivio era andato disperso, non trovandosi persone o associazioni che volessero interessarsene. Mi auguro che questo non sia vero, e che la riedizione del suo piccolo grande volume ne sia la prova.
Paolo Bottoni
Plèe: L'Arte Sublime ed Estrema dei Punti Vitali
L'Arte Sublime ed Estrema dei Punti Vitali
Herny Plée
Edizioni Mediterranee
BOLLINO ROSSO:
Discutibile operazione commerciale che non svela inesistenti segreti
In copertina vengono riportati i nomi di due autori, Fujita Saiko, Responsabile in capo del Centro Nazionale Giapponese di Ricerche sulle Tecniche Marziali Ancestrali, ed Henry Plée, 10° dan di karate e noto studioso francese di arti marziali.
Tuttavia la responsabilità di questo libro va secondo noi attribuita esclusivamente a Plée, per ragioni che spiegheremo più avanti. La recensione è stata condotta sul testo originale francese, potrebbero quindi esserci alcune discordanze con l'edizione italiana.
Fujita Seiko (secondo la trascrizione più corrente) nacque nel 1899 e scomparve in un incidente automobilistico (secondo altri per un tumore al fegato) nel gennaio 1966. Già qui sorgono numerosi dubbi: il libro è stato pubblicato nel 1998, ossia 32 anni dopo, e sulla controcopertina non appare alcun cenno significativo sulla vita di Fujita e sui suoi legami con Plée.
Viene indicato come 10° dan e 14° soke della scuola di ninjutsu Koga ryu - ed è già un dato che lascia perplessi in quanto è noto che i rappresentanti di una scuola non hanno grado - nonché come responsabile in capo del Centro Nazionale Giapponese di Ricerche sulle tecniche Guerriere Ancestrali. In realtà Fujita è stato un personaggio discusso nel mondo delle arti marziali: diciamo subito che sembra sia stato erede del ramo Wada del Koga ryu, non della scuola principale e che abbia deciso deliberatamente di non lasciare eredi, preferendo che la scuola scomparisse con lui. Aveva anche studiato diverse scuole di karate di Okinawa, questo potrebbe spiegare i contatti con Plée, o perlomeno come gli siano pervenuti alcuni documenti.
Nel frontespizio viene riportata la sua prefazione ad un documento militare del 1944 definito "top secret ... destinato agli istruttori dei corpi speciali dell'esercito giapponese", al seguente scopo:
"Si les points vitaux mentionnés sont touchés ou frappés selon les instructions données, et si l'on exécute les méthodes de réanimation telles qu'elles sont décrites, on obtiendra exactement les résultats indiqués."
Una spiegazione molto vaga, che è necessario approfondire. Ci troveremmo di fronte ad un documento derivato, secondo l'apparenza, dalle esperienze condotte da un gruppo i cui i componenti vennero processati per crimini contro l'umanità, avendo condotto esperimenti sui prigionieri di guerra al fine di testare l'efficacia dei suddetti punti vitali causandone il collasso fisico temporaneo o la morte, e di verificare la loro resistenza al dolore e i limiti di resistenza del corpo umano. Non sono possibili dubbi, si fa esplicito e compiaciuto riferimento nel libro alla unità 731 delle cui attività potete informarvi su Wikipedia. Ogni commento è superfluo.
In realtà le immagini che illustrano i suddetti punti vitali sembrano derivare piuttosto da una precedente opera di Fujita, apparsa nel 1934 circa, intitolata Kenpo Gokui Sakkatsu-Ho Mekai (Metodo Kenpo di armi di percussione e punti vitali. Alcuni hanno osservato che sono presenti anche disegni - di differente stile - che fanno esclusivo riferimento a tecniche utilizzate nel karate, ipotizzando che questi siano opera di Plée o comunque da lui selezionati.
Il libro si divide comunque in 4 parti: premessa storica, archivi "segreti" delle 32 scuole considerate più importanti, conclusioni tratte dal suddetto Centro di Ricerche, ed infine applicazioni pratiche.
Si tratta di un libro del grande formato chiamato nei paesi anglofoni "coffee & tea book", ossia da sfogliare senza alcun vero interesse prendendolo dal tavolino del soggiorno dove gli ospiti attendono il té con i pasticcini. E che quindi non può e non deve essere un testo approfondito ed impegnativo ma piuttosto un semplice passatempo da sfogliare distrattamente guardando soprattutto le illustrazioni.
Il testo ovviamente c'è ma iniziandone la lettura si scopre che ogni pagina promette mirabolanti rivelazioni che non arrivano mai, alternando le promesse con altrettanto mirabolanti autocertificazioni dell'eccezionalità delle informazioni fornite, per la prima volta, al mondo.
Le 366 pagine del libro passano lentamente: ad ogni riga si cerca invano di capire quando è che si arriva veramente al punto, finché non si arriva invece senza che si sia letta una sola informazione non diciamo interessante ma almeno concreta, - e data la materia trattata verrebbe da dire per fortuna - alla controcopertina. Dove appare, accanto a quello di Fujita, il ritratto di un Henry Plée compiaciuto ed inappuntabile, in alta tenuta giapponese, con l'aori ove appare in bella evidenca il mon di famiglia. Non sapevamo che in Francia esistessero i mon di famiglia, ma tant'è.
Avrete capito che con un certo genere di libri - e questo qui in particolare - non è il caso di andare troppo per il sottile.
Ci dicono che Henry Plée è personaggio autorevole e studioso di fama. Purtroppo non è certamente qui che lo dimostra e non è possibile giudicare un'opera basandosi esclusivamente sull'autorevolezza della firma: siamo tenuti a giudicare il contenuto e non l'autore.
Questo libro è, purtoppo, solamente una operazione commerciale di dubbio gusto e che non ha avuto finora, sperando che continui a non averne in futuro, alcun impatto nel mondo dei seri praticanti e studiosi di arti marziali.
Si indirizza probabilmente alle persone che si sono avvicinate da poco a questo affascinante mondo, facendo leva soprattutto sui loro più bassi istinti, con l'immancabile promessa di rivelare finalmente - in nome dell'arte - i segreti dell'arte rimasti tali per secoli. Ragione sufficiente per doverne parlare, anche se avremmo preferito francamente lasciarlo nel meritato oblio.
Kenji Tokitsu: Lo zen e la via del karate
Kenji Tokitsu
Lo zen e la via del karate
Per una teoria delle arti marziali
Sugarco, 1989
Se esistesse un premio Ignobel per i titoli, questo libro potrebbe essere un serio concorrente con buone possibilità di vittoria. Se non fosse che gli emuli della interminabile serie Lo zen e... si contano ormai a decine, la concorrenza è quindi spietata.
Il sottotitolo, Per una teoria delle arti marziali, fa comprendere però che il titolo è dovuto solamente all'ennesimo colpo di genio degli oscuri funzionari della casa editrice, essendo risaputo che zen e teoria sono due parole che non dovrebbero nemmeno mai apparire assieme nella stessa frase, non essendo di fatto compatibili. Il titolo originale è molto più semplicemente ed appropriatamente La voie du karate.
Kenji Tokitsu (1947) si è laureato in sociologia all'Università di Tokyo e da molti anni vive in Francia ove è attivo, oltre che nell'insegnamento del karate, anche nella pubblicazione di numerosi testi che si tengono in equilibrio tra l'accurata ricerca storica e la moderna ricerca sociologica, quasi sempre alla ricerca non del come si debbano praticare le arti marziali, ma del perché. E con quale retaggio e bagaglio culturale.
E' insomma una delle figure piú attive nel non facile compito di dare una solida base filosofica, morale e sociale al complesso mondo delle arti marziali.
Tokitsu non si limita qui a parlare di tecnica, non si limita a tracciare un profilo storico di questa o quella arte marziale. Si pone delle domande molto piú essenziali e molto piú difficili da evadere: perché l'uomo combatte, come si deve preparare al combattimento, come puó e deve preservare nel corso del combattimento i suoi principi morali?
Il percorso proposto nelle opere di Tokitsu è inusuale, e lascerà sicuramente sconcertati coloro che vanno a caccia di improbabili quanto frequentissimi testi del tipo Tutto il karate in 12 lezioni. Altrettanto certamente peró le arti marziali hanno molto bisogno di libri come questo, e di budoka che sappiano porsi determinate domande e cercarne le risposte.
Nel karate io cerco un'acquisizione culturale che si apra su una modalità di esistenza dell'uomo. Nell'intendimento della società giapponese feudale, la via delle arti marziali presiedeva alla totalità dell'esistenza. Io penso che ancor oggi vi si possa cercare uno dei mezzi per arricchire ed equilibrare la vita, ma penso anche che quest'ultima non possa più, nell'odierna società, fondarsi esclusivamente su quella via, che corrispondeva alla coerenza di un'epoca ormai remota. Un simile atteggiamento potrebbe portare solo a un misticismo passatista.
Sono racchiusi in questa frase della introduzione il senso della ricerca di Tokitsu, ed il senso di questo libro. Si può concordare o meno sulle sue posizioni od impostazioni, non sembra il caso di dubitare della serietà delle sue motivazioni e della sua ricerca. E ancora:
Io vedo dunque nel karate un modo per mettere in causa il nostro rapporto con i nostri stessi gesti e in senso lato con il nostro corpo. E solo quando, attraverso la pratica del budo, si è accresciuta l'intensità dell'esistenza di sé, può essere affrontato il combattimento ad alto livello. In questo tipo di lotta bisogna insieme cogliere l'altro e restare consapevoli di sé. La specificità di questo rapporto con se stessi e con l'altro nel combattimento budo è appunto quanto vorrei esplicitare.
Apparentemente questo aspetto del rapporto che Tokitsu cerca di stabilire attraverso le arti marziali con se, con il prossimo e con l'intero mondo in cui vive, esula dall'interesse di chi pratica una arte marziale non competitiva, di tipo quindi formale o relazionale se vogliamo seguire la terminologia da noi stessi proposta altrove.
In realtà l'obiezione va respinta senza riserva: il praticante di una arte marziale formale ha scelto di superare prima di uscire all'esterno il combattimento con se stesso, un combattimento che è nel suo stesso interesse mantenere su un alto livello. Chi segue una via relazionale, come l'aikido, ha accettato anche di procedere assieme a compagni occasionali, di volta in volta diversi, con ognuno dei quali è chiamato a percorrere assieme un tratto della via. Ed è anche questo un combattimento, e di livello non infimo.
Il piano dell'opera:
1 Che cos'è il karate?
2 Budo e karate goshin-do
3 La dimensione della tecnica del corpo
4 La dimensione di maai e yoshi *
5 La dimensione di yomi **
6 Cinque maestri di sciabole dell'epoca Edo
Dei maestri di spada menzionati, il termine sciabola è consueto nelle traduzioni dal francese ma lo riteniamo inappropriato, non vengono trattate le vite ma riportati e commentati alcuni brani significativi dei loro scritti sull'arte della spada. Itsusai Chozanshi, che viene trascritto altrove come Issai Chozanshi o anche Shissai Chozan, è il nome d'arte di Niwa Jurozaeomon Tadaaki, un uomo d'arme di cui si sa molto poco. Anche di Ito Ittosai, leggendario guerriero, si sa molto poco, e non ha lascito testimonianze scritte. Vengono riportati brani dagli Scritti sul maestro di spada Ito Ittosai di Kotoda Yahei, discendente del primo discepolo di Ittosai, Kotoda Toshinao.
Ryu: | Opere: | ||
Yagyu Munenori | (1571-1646) | Yagyu Shinkage ryu | Heihô kadensho |
Ito Ittosai | (1560 - 1653) | Itto ryu | |
Miyamoto Musashi | (1584-1645) | Ni Ten Ichi ryu | Gorin no sho |
Enmei ryu Kenpo sho | |||
Yoho Sanjugo | |||
Itsusai Chozanshi | (1659-1741) | Tengu geijutsu ron | |
Matsuura Seizan | (1760-1841) | Shingyoto ryu |
Joseishi kendan |
Kenko |
|||
Kasshiyawa |
* Il maai, spesso trascritto ma ai, è la giusta distanza di lavoro: evitiamo di proposito il termine combattimento; yoshi, un concetto meno esplorato ma di cui parlava già il grande Miyamoto Musashi nel secolo XVII, è il giusto tempo, scomponibile in cadenza e ritmo.
E' scontato dire che una azione corretta è solamente quella in cui ci si trova relazionati ottimalmente rispetto all'oggetto o persona con cui interagire, sia dal punto di vista spaziale che da quello temporale.
Nel diagramma di Tokitsu viene indicata nello spazio A-B la condizione in cui si verifica uno sfasamento tra la coscienza ed il movimento fisico.
** Nelle parole di Tokitsu la definizione di yomi, «arte di divinare e prevedere l'avversario»:
La dimensione di yomi non è chiusa giacchè si estende a campi mistici e religiosi più che razionali, in particolare agli stati mentali metapsichici cui tendono certe religioni.
tuttavia:
In questa sede parlerò della dimensione di yomi solamente per quanto essa ha di tangibile, facendo riferimento alle mie letture ed alla mia esperienza personale. Mi limiterò a presupporre, a proposito della dimensione di yomi nelle arti marziali giapponesi, l'esistenza di un campo più vasto, molto difficilmente evidenziabile, ma che tuttavia non corrisponde all'interpretazione mistica.
Mosca, Colizzi, Comba, Durand: Manuale professionale di Stretching
Manuale professionale di Stretching
Tecniche di allungamento muscolare per applicazioni cliniche e sportive
Umberto Mosca con Claudio Colizzi, Lilia Comba, Miriam Durand
Edizioni Red
Essendo un testo raccomandato da Hideki Hosokawa sensei prenderlo in esame era doveroso, ma al dovere si aggiunge il piacere di avere a che fare con un testo veramente professionale, come promette il titolo, ma ben strutturato ed esposto con linguaggio rigoroso ma non tale da ostacolarne l'accesso a chi non abbia una formazione specifica nel campo.
E' risaputo che in occidente si ama riscoprire periodicamente quanto già conosciuto ma frettolosamente dimenticato, o perlomeno trascurato, per correre all'inseguimento del cosidetto progresso. E' relativamente recente la riscoperta o perlomeno la rivalutazione delle tecniche di allungamento muscolare (stretching), che debbono sempre accompagnare quelle di potenziamento e di condizionamento al gesto tecnico.
Nelle discipline orientali questo patrimonio di conoscenze non era mai venuto meno, è comprensibile di conseguenza che la riscoperta dei metodi di rilassamento corporeo ne abbia fruito. Tra gli autori del libro Mosca (che è anche medico chirurgo), Comba e Durand hanno maturato significative esperienze nell'ambito dello shiatsu, tecnica kinesiterapeutica che affonda le sue radici nella tradizione giapponese, mentre Colizzi è stato un atleta di rilevanza nazionale nel campo della ginnastica artistica e attualmente è un affermato osteopata.
Nella prima parte, intitolata La fisiologia, vengono descritti struttura e funzione del muscolo e dei meccanismi che ne provocano contrazione o allungamento, che non sempre come è noto rispondono ad impulsi volontari. Un brusco allungamento di un muscolo provoca ad esempio una reazione automatica di contrazione, ed è questa la ragione per cui le tecniche di stretching devono essere eseguite con calma e senza forzature.
Vengono brevemente trattati i due sistemi di controllo della muscolatura e attraverso di essa dei vari organi del corpo, quello piramidale che trasmette gli impulsi, i comandi, del sistema nervoso centrale e quello extrapiramidale che ha tempi di reazione minori e flessibilità maggiore in quanto è programmato per avere reazioni automatiche a determinati stimoli, senza intervento di una autorità decisionale che debba rilasciare il consenso.
Nel capitolo intitolato La Clinica vengono presi in esame i casi di patologie o ridotta capacità funzionale riconducibili a un imperfetto funzionamento dell'apparato muscolare.
Vengono illustrate anche le disfunzioni causate da un imperfetto funzionamento di parti dell'apparato muscolare che non vengono spesso sufficientemente allenati o curati, in quanto hanno un ruolo antagonista e non protagonista nello svolgimento degli esercizi.
La figura a lato mostra come reagisce il corpo ad un retrazione funzionale del gruppo ischio crurale, il gruppo muscolare cioé che si trova sul lato posteriore della coscia (antagonista del muscolo quadricipite femorale che lavora sul lato anteriore) e che è particolarmente soggetto a traumi o affaticamento.
A sinistra l'esercizio correttamente eseguito da una persona in buona forma fisica, a destra il degrado dovuto alls causs indicats sopra, la retrazione funzionale. Il problema spesso insorge quando il lavoro di potenziamento dell'apparato quadricipite femorale non è accompagnato da sufficiente incremento delle capacità di adattamento e assorbimento dell'apparato ischio-crurale.
La parte principale del libro è costituita ovviamente dalla illustrazione delle tecniche di stretching più indicate per un corretto condizionamento dei vari muscoli del corpo umano (La Tecnica).
Occupa circa 200 pagine ed elenca per ogni esercizio o gruppo di esercizi l'apparato su cui si propone di intervenire, che è in questo esempio il muscolo sovraspinato (1). Vengono suggeriti un esercizio principale (2) ed un esercizio assistito che va eseguito con l'ausilio di un partner (3).
Infine la funzione o ruolo posturale del muscolo in esame viene messa in evidenza (4) indicando, enfatizzata, la postura che deriva da una condizione di sofferenza per contrazione del muscolo in esame.
In questo caso il sollevamento della spalla destra, con una accentuata dissimmetria del corpo.
Nella pagina a fronte delle tavole anatomiche permettono di comprendere il funzionamento del muscolo preso in esame ed i suoi legami con il resto del corpo.
La parte tecnica può essere utile all'insegnante di aikido per la selezione di esercizi alternativi da proporre durante le fasi di aikitaiso delle lezioni ma anche per comprendere quale sia l'effetto sui fisico dei praticanti dell'applicazione di questa o quella tecnica, sia nel ruolo di tori che in quello di uke.
Al termine della parte tecnica troviamo diverse schede ove vengono raggruppati gli esercizi considerati maggiormente indicati ad un certo numero di discipline.
Una sommaria descrizione riporta i principi fondamentali cui si richiama l'attività psicomotoria presa in considerazione ed elenca le parti del corpo sottoposte a maggiori sollecitazioni e suscettibili di sviluppare delle problematiche.
E' presente anche una scheda dedicata all'aikido, per cui vengono messi in evidenza i pericoli dell'insorgenza di una iperlordosi, eccessivo curvamento della parte inferiore della colonna vertebrale, e quello di eccessive forzature da parte di tori nella esecuzione delle tecniche di controllo su spalle, gomiti e polsi.
Vengono indicati dieci specifici apparati muscolari su cui iil praticante di aikido può applicare le relative tecniche di stretching, illustrate in precedenza.
Completano il libro una succinta illustrazione di alcune metodiche di stretching applicate ai meridiani ossia alle canalizzazioni dell'energia all'interno del corpo umano classificate dalla scienza orientale, e infine una bibliografia.
Il prezzo di copertina, 42€, non è particolarmente contenuto ma è ampiamente giustificato dalla professioonalità dell'opera, che non è di conseguenza destinata probabilmente ad avere una larga diffusione che permetterebbe di limitarne il costo. Ma è sicuramente un buon investimento.
Gli autori si augurano nella prefazione che ogni copia in circolazione porti ben presto i segni di un uso intenso e di una consultazione frequente, e noi possiamo associarci a questo augurio.
Frédéric L.: Le arti marziali dall'a alla z
Louis Frédéric: Le arti marziali dall'a alla z
Sperling & Kupfer, 1990
Un Dizionario enciclopedico delle arti marziali fa comodo a tutti, è un peccato che questo libro risalente ormai a più di 20 anni fa sia da tempo esaurito e non sia mai stato ristampato. Compilato da Louis Frédéric (1923-1996) noto studioso della cultura orientale ed autore di numerosi testi, riflette lo stato di maggiore avanzamento degli studiosi d'oltralpe: un libro del genere - purtroppo - difficilmente lo si potrebbe immaginare opera di un italiano. I disegni illustrativi sono dello stesso Frédéric mentre l'apparato iconografico è stato curato da Michel Random (1933-2008), anche lui noto scrittore ed esperto di cultura orientale.
Non si tratta ovviamente di un libro da leggere come se si trattasse di un romanzo. Per quanto siano più numerose del previsto le persone che confessano di leggere glossari e dizionari con autentica passione è verosimile che il lettore tipo tenga il libro pronto all'uso sullo scaffale, e lo consulti solo di tanto in tanto quando ne ha bisogno.
Le voci classificate sono circa tremila, un numero che potrebbe sembrare impressionante ma in realtà - essendo comprese anche se con minore mole di informazioni le arti marziali di gran parte del continente asiatico - è più che adeguato per una conoscenza di base ma insufficiiente per lo studioso.
D'altra parte non è possibile soddisfare contemporaneamente esigenze troppo contraddittorie, un volume di mole - e costo - maggiore avrebbe anche richiesto l'intervento di altri esperti non essendo pensabile che una sola persona sia in grado di estrapolare dalle sue fonti ed interpretare correttamente ogni sorta di informazione specialistica. Ne consegue che il libro, sia pure rispettabilissimo e consigliabile come ottimo testo di riferimento, non può essere considerato un punto di riferimento assoluto.
Portiamo come esempio la sezione dedicata all'aikido, che è composta se togliamo le illustrazioni da poco più di due pagine di testo: ovviamente troppo poche per poter dare una visione completa dell'arte, ma ampiamente sufficienti come "scheda" da cui partire per ricerche più approfondite. Ma non mancano nonostante la professionalità dell'autore affermazioni che vanno prese con beneficio d'inventario o respinte senza appello.
Secondo Frédéric l'aikido sarebbe stato sviluppato a partire dal 1931 (era invece il 1926). Ueshiba avrebbe studiato da giovane l'arte della naginata (ne era invece digiuno, compose delle coreografie in età matura ma dopo aver letto un manuale la notte prima). L'aikido infine fu pensato da Ueshiba come arte tipicamente giapponese "in un'epoca in cui il nazionalismo giapponese era al suo apogeo, rifiutando ogni interferenza straniera". Indubbiamente in quell'epoca il Giappone attraversava una fase particolare, ma non ci sono prove che questo abbia influenzato il pensiero di Ueshiba ed abbia condizionato la nascita dell'aikido. Ci sono molti indizi invece che fanno pensare il contrario.
Ed ancora, passando al lato più tecnico: "L'addestramento completo dell'Aikidô comprende anche l'arte del maneggio del bastone corto (Jô), medio (Tambô) o lungo (Bô). V. Aiki-ken."
E' ovvio anche ai praticanti a livello kyu che aiki-ken indica invece utilizzo della spada, per il bastone si parlerebbe di aiki-jo; inoltre l'unico bastone che si utilizza sistematicamente nell'aikido è il jo da 128cm circa mentre il tambo non è il bastone intermedio ma quello corto da 2 shaku (60cm), ed il bo è quello lungo da 6 shaku (180cm). Non viene menzionato nel testo l'uso del tanto (pugnale da uno shaku circa) che è la terza arma utilizzata in aikido. Andrebbe inoltre precisato che per tutte queste armi si studiano prevalentemente tecniche di difesa e disarmo, forme a solo o esercizi in coppia (kumitachi o kumijo) in cui le figure di vincitore e vinto non sono chiaramente identificabili o mancano del tutto.
Queste osservazioni non intendono togliere nulla alla importanza del testo, ma sono necessarie per evitare pericolosi malintesi: confermiamo la validità dell'opera e la possibilità di utilizzarla come utile punto di riferimento, non possiamo consigliare l'adesione assoluta a tutte le informazioni riportate nel dizionario e ad ogni ipotesi di interpretazione proposta dall'autore.