Maestri e scuole
Utagawa Hiroshige (1797-1858)
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Non verrà mai ripetuto abbastanza che - come in molte civiltà del passato non esclusa la nostra - anche nel Giappone antico il nome della persona, altro vocabolo classico che non dimentichiamolo nella Grecia antica indicava la maschera che indossava l'attore, cambiava in assonanza con le mutevoli condizioni della vita e dell'essere umano che col nome si identificava. Ovviamente nel caso di artisti che debbono apporre la firma sulle loro opere, questo genera in noi "moderni" ancor maggiore confusione.
L'artista universalmente conosciuto al giorno d'oggi col nome di Hiroshige (広重) nacque - probabilmente poiché la conversione dal calendario giapponese lascia sempre qualche margine di dubbio - nel 1797, nono anno dell'era Kwansei, ad Edo (Tokyo) che è ancora oggi capitale del Giappone, col nome di Andō Tokutarō, da famiglia samurai. Diversi indizi portano a concludere che il padre Gen'emon fosse ufficiale dello hikeshi-doshin, polizia del fuoco, ed era figlio di Tokuyemon Tanaka, maestro di kyudo, ma fu adottato poi nella famiglia Andō. Usò in seguito anche i nomi di Juemon e Tokubee.
Rimasto orfano a 12 anni, Hiroshige venne ammesso 2 anni dopo nella "bottega" del maestro Toyohirō della scuola Utagawa, apparentemente un ripiego in quanto aspirava ad apprendere dal caposcuola Toyokuni. Ma i suoi progressi furono talmente rapidi che già l'anno seguente, nono del periodo Bunkwa (1812) Toyohirō gli rilasciò un certficato che l'ammetteva nella scuola Utagawa e l'autorizzava ad assumere il nome di Utagawa Hiroshige (歌川 広重), in cui l'ideogramma hiro è lo stesso utilizzato in Toyohirō.
Termina praticamente qui l'apprendistato di Hiroshige, in seguito alla scomparsa del suo maestro, ma la sua precoce carriera conobbe un relativamente lungo periodo di stasi, in quanto non bastando l'arte a dare di che vivere a lui ed alla famiglia, continuò le funzioni paterne nella brigata dei vigili del fuoco. Sappiamo che diede le dimissioni solamente nel 1823.
Aveva lungo il corso del tempo preso l'abitudine di farsi chiamare dapprima Ichiyusai, pseudonimo cambiato dopo la morte di Toyohirō in Ichiryusai, e che talvolta infine abbreviò in Ryusai.
Nelle pubblicazioni odierne quasi sempre lo troverete menzionato semplicemente come Hiroshige, nome che adottò definitivamente talvolta abbreviandolo in Hirō, ma spesso anche Andō Hiroshige o Utagawa Hiroshige.
Iniziò ad essere conosciuto intorno al 1818 con un produzione di stampe raffiguranti bijin (bellezze femminili) ispirandosi allo stile del suo maestro Toyohiro ma influenzate anche da quello di Kaisai Eisen ( (渓斎 英泉, 1790-1848).
In seguito si dedicò raramente a questo genere artistico ma non lo abbandonò mai del tutto. Risale al 1849 questa sua opera intitolata Bijin a Kasumigaseki.
Non conosciamo molto altro della vita di Hiroshige. Sappiamo per certo che il suo primo viaggio a Kyotō nel 1832, per raffigurare dal vivo la cerimonia di corte del cavallo (dono presentato annualmente, l'ultimo giorno dell'ottava luna - hassaku - dallo shogun al tennô), lo impressionò profondamente. Fu la prma volta che percorse il Tokaidô, o perlomeno la prima occasione in cui ne raccolse degli schizzi che diedero origine più tardi al suo album Tokaidô gojusan-tsugi. Da allora trascorse gran parte della sua vita viaggiando e fissando per sempre col suo pennello tutto quanto muovesse il suo animo.
Scomparve nel 1858 durante l'epidemia di colera che devastò Edo, lasciandoci oltre 8000 opere, tra cui circa 500 stampe a colori che furono pubblicate da numerosi editori, con qualità decrescente con il trascorrere del tempo a causa dell'usura delle matrici e delle manipolazioni cui venivano sottoposte per sostituire i timbri dell'editore o della censura, la data e quanto altro.
Poco prima della morte si era convertito alla religione divenendo monaco, e in queste vesti - con un rosario in mano - lo raffigura la stampa commemorativa postuma di Kunisada. Hiroshige aveva lasciato questo poema, probabilmente quello del suo addio alla vita:
Lascio la città dell'Est
e, senza pennello, per vedere nuovi luoghi
prendo la lunga via che porta al lontano Ovest
La sua tomba si trova nel giardino del tempio di famiglia, quello di Tokaguji e reca l'iscrizione Ryusai Hiroshige no haka (tomba). Sulla sinistra, in caratteri di dimensioni minori Andō Yakeyo koreo (eretta) Tatsu ed infine Shimizu Seifu sho (incise). Tatsu Andō Yaye era la figlia di Hiroshige.
La tomba venne seriamente danneggiata dal terremoto del Kanto (1923) e dai successivi incendi quindi la possiamo vedere come era solamente in documenti di archivio.
Morti prematuramenti la prima moglie ed il figlio Nakajirō, Hiroshige si era risposato ed ebbe o adottò due figlie. La prima, Tatsu, sposò Shigenobu, che venne probabilmente a sua volta adottato nella famiglia e fu noto artista conosciuto col nome di Hiroshige II. Più tardi Tatsu divorziò rimaritandosi con Shigemasa, che conosciamo in arte col nome di Hiroshige III.
Nel 1882 Hiroshige II, che era stato ufficialmente riconosciuto da Hiroshige I come suo successore, eresse una stele commemorativa nel tempio shinto di Akihajinsha, presso il fiume Sumida che Hiroshige aveva raffigurato in una delle sue stampe.
Vi è rappresentato l'artista nell'atto di scrivere un tanzaku (poema), presumibilmente quello dell'addio, che è riportato sulla stele.
Si è detto che Hiroshige fu spinto a darsi alla carriera artistica soprattutto da due motivi: il primo sarebbe stato il desiderio di emulazione nei confronti di Hokusai, di cui aveva studiato alcune opere.
E' plausibile: per quanto Hokusai sia divenuto celebre solamente dopo il 1830, epoca in cui Hiroshige si era dedicato all'arte già da due decenni ed era conosciuto a sua volta, Hiroshige può essere tuttavia venuto a contatto con la sua produzione in epoca anteriore. Il secondo motivo, la ricerca di mezzi di sostentamento migliori, è meno plausibile.
E' forse vero il contrario, dato che Hiroshige fu costretto a mantenere il secondo lavoro nella brigata del fuoco per almeno un decennio probabilmente per guadagnarsi l'esistenza nonostante le scarse entrate che gli arrivavano dalla produzione artistica. E non sembra verosimile un artista destinato ad arrivare alle somme vette si sia voluto applicare solamente per necessità economiche.
Comunque sia, dopo un decennio che sembra sia stato dedicato allo studio dei maggiori paesaggisti giapponesi come Ooka Umpô e gli artisti della scuola di Shijô, delegò provvisoriamente il suo impiego pubblico al nipote, riservandosi di lasciarlo in seguito al figlio, e si dedicò a tempo pieno alla pittura.
A partire dal 1830 non solo il successo ma anche l'influenza di Hiroshige furono enormi, ed anche sulla cultura occidentale seppure dopo la sua morte. Fu uno degli artisti più studiati sotto l'onda del fenomeno culturale esploso nella seconda metà dell'800 e conosciuto col nome di giapponismo.
Qui vediamo una sua opera rielaborata e riproposta nell'autunno 1887, col titolo Le prunier en fleurs, da Vincent van Gogh. Assieme al fratello Theo infatti, Van Gogh , che era di professione mercante d'arte e consulente artistico, collezionava stampe giapponesi ed arrivò ad organizzare alcune esposizioni durante il cosidetto "periodo parigino" della sua breve vita.
Nell'opera conosciuta come "ritratto di Agostina Segatori", che era la proprietaria del bistrot dove venne organizzata una di queste esposizioni, troviamo infatti sullo sfondo una stampa giapponese o di ispirazione giapponese.
Possiamo qui confrontare direttamente due opere dei due grandi artisti. La stampa originale venne pubblicata tra il 1856 ed il 1859 dalla Uoya Eikichi e venne in seguito riproposta più volte, con leggere varanti nelle tonalità dei colori ed in alcuni particolari dello sfondo.
Il titolo dell'opera, firmata Hiroshige ga, è contenuto nel riquadro azzurro in alto: Ohashi Atake no yutachi (pioggia improvvisa sul grande ponte di Atake). Fa parte di una delle più celebri serie di Hiroshige, Meisho Edo Hyakkei (Le 100 vedute celebri di Edo).
La versione di Van Gogh risale all'estate del 1887 e si intitola Ponte sotto la pioggia (da Hiroshige).
Ovviamente si differenzia dall'originale, oltre che per le modifiche richieste dall'estro e dalla personalità dell'artista, per la differente tecnica di realizzazione: Van Gogh dipinse la sua opera su tela, utilizzando colori ad olio.
La presenza delle barche sullo sfondo rende possibile identificare con una certa approssimazione la fonte cui ha attinto van Gogh: una delle ultime edizioni della stampa di Hiroshige.
E' fuori di ogni dubbio che due figure del mondo uikiyo-e si elevino sopra le altre Hiroshige ed Hokusai, cui si sarebbe forse potuto aggiungere Utamaro se la morte non gli avesse impedito di giungere a compimento del suo percorso artistico.
Si discute spesso sulla superiorità dell'uno o dell'altro, ma come sempre in questo genere di confronti non sarà mai possibile arrivare a conclusioni condivise.
Un confronto impossibile. Eppure necessario.
E' indubbio che la produzione torrenziale di Hokusai puo' portare a considerare superiore la sua versatilità, ma c'è anche chi potrebbe pensare che abbia avuto ragione Hiroshige nel concentrare la sua energia piuttosto che disperderla in troppi campi, come si potrebbe dire per Hokusai ha proposito della sua vasta produzione nei generi shunga e manga.
Ove si può pensare ad un confronto diretto tra i due sommi, a scopo di arricchimento culturale e non di emettere giudizi o sentenze, è nel genere paesaggistico e naturalistico cui entrambi hanno dedicato gran parte delle loro opere, e che è quello in definitiva che ha permesso loro di arrivare alla fama, e al grande pubblico di conoscere l'incanto dei luoghi e delle persone del Giappone.
La differente impostazione tra i due maestri è resa palpabile da quelle serie di stampe a soggetto in cui entrambi vollero cimentarsi.
La prima illustrazione rappresenta la stampa 36 nella serie Le trentasei stazioni del Tokaidô (la via costiera che univa la capitale amministrativa Edo a quella imperiale Kyoto). E' opera di Katsushika Hokusai e venne pubblicata nel 1830 circa.
Nei pressi della stazione di Odogaya viene colto un gruppo eterogeo di viaggiatori.
C'è chi si sofferma ammirato alla vista del monte Fuji - onnipresente sullo sfondo di innumerevoli capolavori anche non espressamente dedicatigli - c'è chi si arresta solamente per detergersi il sudore o prendersi una sosta, c'è chi indifferente a quanto lo circonda sembra voler solo sonnecchiare in sella al suo cavallo.
E' un paesaggio animato dalla presenza umana, elemento insostituibile nella maggior parte delle opere di Hokusai, che celebra il Giappone attraverso gli occhi dei giapponesi.
Ritroviamo un tema molto affine nella stazione 27 (stampa 28) della serie di Hiroshige intitolata Le 69 stazioni del Kisokaidô, il percorso alternativo che passava per le montagne, pubblicata negli anni 1834-1842.
Ritroviamo lo stesso tema del viaggio attraverso un percorso di indicibile bellezza, ma qui la presenza umana, pur necessaria e pur maggiormente pervasiva come testimonia il grande ponte che ha modificato quanto natura ha creato, è più discreta.
L'elemento umano che in Hokusai è sovente in primo piano qui rimane sullo sfondo, sostiene la parte che nelle rappresentazioni greche era riservata al coro.
Si tratta ovviamente di tendenze, di scelte artistiche che privilegiano questo o quell'approccio, ma che mai cadono nel manierismo e che conoscono numerose fortunate eccezioni.
Ne è riprova un'altra opera di Hokusai, Fiori di prugno in autunno, ove l'elemento umano è totalmente assente e l'artista si limita ad osservare rapito quanto la natura gli dona.
Si nota qui piuttosto un'altra tendenza tipica di Hokusai: il gusto del particolare, la capacità di isolare alcuni singoli elementi dal contesto generale, lasciando comprendere che sono essi a dare un senso a tutto il resto.
Gli stessi elementi compositivi vengono utilizzati da Hiroshige spostando il tema centrale sullo sfondo ed inserendolo nel tema apparentemente principale della cascata che appare in primo piano.
Come ognuno può constatare non gli ha assolutamente sottratto visibilità ed importanza.
Hiroshige qui ci dimostra che le sue scelte artistiche, spesso alternative a quelle di Hokusai, non sono tuttavia in contrasto con esse.
Entrambi ci dimostrano che elementi convenzionali e ricorrenti, la stagione autunnale rappresentata attraverso la luna ed il prugno, nelle mani e nelle manti dei grandi artisti non sono mai ripetitivi.
La incantevole competizione tra i due maestri ci arricchisce culturalmente e ci lascia spesso attoniti in muta e pensierosa ammirazione.