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Akira Kurosawa: biografia
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Io credo che la via più semplice per parlare di me - da quando sono diventato regista - sia di seguire la mia filmografia scorrendo la miia vita film per film.
Akira Kurosawa nacque a Tokyo il 23 marzo 1910 e ci ha lasciato il 6 settembre 1998. Ma molte delle sue opere stanno conoscendo solo ora, grazie alla diffusione su disco, una penetrazione profonda e non episodica tra il pubblico. Sia quello interessato soprattutto agli aspetti più spettacolari della sua arte, sia quello che ne rimane impressionato e toccato nel profondo ed esce pensieroso dalla visione delle sue opere.
Rimangono ancora suoi soggetti inediti, assieme a quellii che i suoi allievi o altri maestri hanno già portato a compimento, come nel caso di Ame Agaru di Takashi Koizumi o Il mare e l'amore, che fu affidato dal figlio Hisao alla mano potente quanto delicata del maestro Kei Kumai, autore dell'indimenticabile Morte di un maestro del te e purtroppo scomparso anche lui nel maggio 2007. E' quindi un maestro quanto mai attuale, e il cui insegnamento ci accompagnerà ancora a lungo.
Kurosawa apparteneva ad una famiglia risalente all'XI secolo ed originaria dii Hokkaido, la più settentrionale tra le isole principali del Giappone. Il capostipite fu Kurosawa Jirisaburo, figlio del leggendario Sadato Abe che guidò la guerra conosciuta come Zenkunen no eki (guerra dei 9 anni) contro Minamoto no Yoriyoshi governatore di Mutsu.
Il padre Isamu si diplomò all'Accademia Militare di Toyama e come ufficiale di carriera si occupò soprattutto dell'insegnamento delle arti marziali e della diffusione dello sport nell'esercito.
E' facile immaginare che l'educazione di Kurosawa, ultimo di 8 figli, sia stata di conseguenza fortemente influenzata da una figura paterna che "portava la barba e i baffi alla maniera di un veterano dell'era Meiji" (1868-1912), ma definita così: "malgrado le apparenze mio padre era il vero sentimentale della casa".
Questa figura ha ispirato diversi personaggi delle sue opere, burberi ed apparentemente inflessibil ma profondamente umani, legati al passato ma pronti ad imprevedibili aperture verso il moderno.
Anche l'educazione di Kurosawa fu fortemente influenzata dalle arti marziali, che il padre gli prescrisse in dose massiccia per sottrarlo, storia che sappiamo ripetersi spesso, alla sua tendenza di "bambino piagnone, effeminato" come si definisce lo stesso artista nel suo libro Something like an autobiography. Gli allenamenti iniziavano la mattina presto prima dell'orario scolastico, nel freddo rigido dell'inverno e nel caldo torrido dell'estate, preceduti da sessioni di meditazione sul nudo pavimento del dojo e seguiti da una visita al tempio di Hachiman prima di proseguire per la scuola. Kurosawa riporta di essere divenuto in seguito "un buon schermitore, e più tardi campione di kendo" mentre paradossalmente "in educazione fisica ero quasi nullo".
Il suo primo maestro fu Ochiai Magosaburo, che venne invitato a tenere lezione presso la scuola elementare Kuroda dove studiava Kurosawa. Rimase talmente impressionato da Ochiai da chiedere immediatamente al padre di essere iscritto al dojo, nonostante le lezioni fossero all'alba ed il tragitto a piedi da casa al dojo richiedesse un'ora e venti di cammino. Kurosawa spiega nella sua biografia che bisognerebbe immaginarlo vestito come il Sugata Sanshiro del suo primo film, ma in miniatura. Bisogna anzi aggiungere che gli alti zoccoli (geta) con cui era equipaggiato nei suoi tragitti, che abbandonò per sfuggire correndo all'agguato di un gruppo di ragazzi appartenenti ad un dojo rivale, ispirarono senza che Kurosawa se ne fosse immediatamente reso conto l'epilogo dela scena iniziale di Sugata Sanshiro (che abbandona i suoi zoccoli sul posto per tirare il calessino del maestro Yano, il cui conduttore era fuggito).
Fu in quel periodo che iniziò a studiare su libri presi in prestito la vita di grandi samurai come Tsukahara Bokuden o Araki Mataemon.
Kurosawa crebbe in un periodo che definì permeato con "il profumo Meiji ed i suoni Taisho" (l'epoca Meiji terminò nel 1912, l'epoca Taisho va dal 1912 al 1926). L'aspetto da vecchio gentiluomo del padre apparteneva sicuramente all'epoca precedente, i suoni della campana d'allarme di legno dei pompieri, il fischietto del riparatore di pipe, i richiami degli infiniti venditori ambulanti, legati all'alternarsi delle stagioni, che quell'epoca di rapido progresso tecnologico avrebbe ben presto cancellato, rimasero indissolubilmente legati alle sue memorie di ragazzo.
Arrivato alle scuole superiori, Kurosawa dovette subire l'addestramento paramilitare che era d'obbligo, e in quanto capoclasse era destinato alla formazione come aspirante ufficiale. Entrò però in immediato contrasto col capitano dell'esercito delegato all'insegnamento: commenta nella sua autobiografia che mentre il padre era un ufficiale gentiluomo all'antica, una tipica figura dell'era Meiji, l'epoca Taisho e poi ancora di più la successiva epoca Showa erano dominate dal fanatismo. Fu l'unico capoclasse della sua scuola a non ottenere il diploma di idoneità al comando.
In questo periodo ebbe anche esperienze negative con due scuole di scherma, la prima legata al grande samurai Chiba Shusaku, il cui discendente però trascurava l'insegnamento affidandolo ad un assistente, che fu un giorno investito da una delle rare automobili dell'epoca. Lo stupore e lo scandalo del giovane Kurosawa furono grandi: rammenta di aver pensato all'epoca che era come sentire che Miyamoto Musashi, reputato da molti il più grande samurai della storia, fosse stato colpito da un calcio del suo cavallo. La seconda scuola era guidata dal maestro Takano Sazaburo, che gli diede l'impressione di essere un insegnante brutale nei confronti degli allievi.
Forse per questo si intensificò l'interesse di Kurosawa per un mondo totalmente differente, quello dello spettacolo. Questo interesse sicuramente si deve al padre. In aperto contrasto con la sua apparenza all'antica amava portare i figli non solo agli spettacoli tradizionali di famosi cantastorie come Kosan o Kokatsu ma anche ai music-hall ed al cinema. La spinta definitiva gli venne dal fratello maggiore Heigo che divenuto di professione henshi ossia commentatore ed animatore dei film muti che venivano proiettati all'epoca, gli assicurava l'entrata gratuita in tutte le sale ove lavorava.
Fu così che l'onnivoro Kurosawa prese visione di praticamente tutta la produzione filmistica internazionale dell'epoca, tra cui stranamente manca praticamente del tutto quella italiana. E' forse per questo che rimase profondamente sorpreso e colpito dalla stagione del neorealismo italiano, cui così spesso rende omaggio nelle sue opere pur non avendone mai fatto menzione esplicita.
La tutela di Heigo si estendeva in tutti i campi: fu infatti lui ad introdurre il fratello alla lettura dei grandi classici della letteratura internazionale e soprattutto ai grandi scrittori russi, fu lui a condurlo ancora ragazzo tra le rovine del grande terremoto del Kanto (1923), esperienza che lasciò in Kurosawa tracce terribili ma necessarie, fu lui ad incoraggiarlo nel seguire la sua strada di pittore e ad ospitarlo nella sua casa popolata di artisti bohemiennes e di pittoreschi personaggi di strada lasciando il nido paterno.
E' comprensibile che la tragica morte di Heigo, suicida nel 1933 in seguito alla depressione per la perdita del lavoro - l'avvento del cinema sonoro aveva di colpo eliminato la necessità di un commentatore - ma già in precedenza preda di impulsi autodistruttivi, abbia sconvolto Kurosawa.
Ma seppe uscirne, e senza dimenticare mai i tratti negativi di Heigo, tentò di trasformarsi in un suo alter ego in positivo.
Nel frattempo aveva deciso di avvicinarsi al mondo del cinema, insoddisfatto della pittura che era costretto a praticare come un mestiere che gli desse da vivere, senza margini per una vera ricerca artistica.
Dopo alcuni anni di apprendistato come assistente nel 1936 Kurosawa venne ammesso nella casa di produzione Photo Chemical Laboratory, che confluì poi nella Toho.
Fu lì che incontrò il regista Kajiro Yamamoto che fu suo maestro.
Yamamoto non era una figura di primo ordine nel mondo artistico giapponese, era solamente un buon mestierante in grado di dirigere opere di repertorio.
Ma seppe trasmettere a Kurosawa i rudimenti del mestiere, e senza il mestiere non può nascere l'arte.
I trascorsi come pittore furono comunque un buon investimento per Kurosawa. Nel 1943, a 33 anni, ebbe l'occasione di dirigere la sua prima opera, una biografia romanzata in cui appare il fondatore del judo, il maestro Jigoro Kano.
Tra le scene iniziali vi è un agguato a Kano, teso di notte lungo un canale da combattenti delle scuole rivali, e così Kurosawa disegnò la sceneggiatura della prima scena del suo primo film, distribuito nel 1943, che termina con la proiezione dell'ultimo degli aggressori dentro al canale.
Sugata Sanshiro rimane tuttavia un opera acerba, anche se le stimmate del grande maestro che sarà di lì a poco Kurosawa, affiorano qua e là.
Gli eventi bellici impedirono un rapido decollo della carriera di Kurosawa, che si divideva - come del resto avrebbe continuato a fare per il resto della sua vita - tra la carriera di sceneggiatore e quella di regista.
La sua seconda opera, Ichiban Utsukushiku, è un film di propaganda bellica, e sottoposto alla dura censura dell'epoca non poteva certamente rivelare completamente le sue qualità né lasciargli spazio per le tematiche a lui più congeniali.
Il talento di Kurosawa si rivela appieno per la prima volta nel 1945 con Tora no ofumu otokotachi, il suo primo film d'epoca (jidai) che tuttavia per un colpo di coda della censura rimase praticamente inedito e solo ora viene timidamente riscoperto da pubblico e critica.
Le altre opere del dopoguerra contribuirono a farlo conoscere ed apprezzare, ma la sua affermazione definitiva arriva di colpo nel 1950 con Rashomon.
Tratto dalla fusione di alcune novelle di Ryunosuke Akutagawa raccolte nel volume Rashomon ed altri racconti il film narra la vicenda fantastica del misterioso assassinio di un samurai, di cui ognuna delle persone coinvolte fornisce una versione contrastante ed inconciliabile con le altre.
La carica innovativa del tradizionalista Kurosawa si manifesta appieno: per la prima volta la macchina da presa si addentra in una foresta, sfidando gli intricati giochi di luce che mandano in crisi ogni macchina da ripresa.
Per la prima volta in un'opera giapponese il tema musicale ricorre all'occidente: ed è una ossessiva ripetizione dell'ossessionante Bolero di Ravel.
Forse anche per l'originalità della trama l'opera venne premiata ovunque, e Kurosawa divenne di colpo un regista di fama mondiale iniziando una cospicua produzione che ebbe però esiti altalenanti. E furono spesso le opere su cui aveva investito maggiormente quelle che ebbero minore successo.
Iniziata la carriera di regista come abbiamo detto nel 1943, negli anni 40 Kurosawa diresse in tutto 11 opere, tutte quasi completamente sconosciute in occidente fino a poco tempo fa, ma che in sostanza attendono ancora adesso di essere "scoperte"
Ne diresse 8 negli anni 50, e tra queste la maggior parte di quelle che vengono considerate capolavori: dopo Rashomon, Ikiru (Vivere), Shichinin no samurai, Kumo no su jo (Il trono di sangue).
Tra il 1960 ed il 1965 diresse altre 5 opere, poi la sua carriera conobbe una brusca battuta d'arresto.
Yojimbo e Sanjuro, come l'opera gendai Tengoku no jigoku (Anatomia di un rapimento) ebbero una buona accoglienza dal pubblico ma la critica li giudicò opere minori, momenti di pausa che il maestro si prendeva prima d tornare ad opere impegnative.
Nel 1965 uscì sugli schermi dopo una lunga e costosissima lavorazione Akahige (Barbarossa), che fu un completo fallimento e in molti paesi - tra cui l'Italia - non venne nemmeno distribuito .
Venne poi la brutta parentesi di Tora tora tora, un film di produzione statunitense che ricostruiva in chiave spettacolare l'attacco giapponese alla flotta americana nella rada di Pearl Harbour, che aveva dato origine alla fase cruciale della seconda guerra mondiale. Doveva essere un'opera vista da ambo i lati del fronte di battaglia, e Kurosawa avrebbe dovuto curare quello giapponese.
Si trovò però immediatamente in contrasto con i metodi di lavorazione stranieri, si lamentava di aver dovuto firmare un interminabile contratto in cui veniva precisato anche quanto alcol avrebbe potuto bere al giorno, che gli aveva tarpato ogni possibilità di libera espressione artistica. Venne infine sollevato dall'incarico.
A questo punto la fiducia dei produttori in Kurosawa era venuta meno: è facile constatare che i suoi film d'epoca avevano sempre avuto buoni riscontri commerciali, anche quando non erano arrivati al successo clamoroso di Rashomon o I sette samurai. I film di ambientazione moderna, gendai, erano invece stati spesso dei fallimenti.
Ora per la prima volta, con Akahige, Kurosawa aveva fallito anche in quello che era stato il suo terreno di caccia, e soprattutto dopo avere preteso ed ottenuto di avere carta bianca.
Il crollo dell'opera portò come conseguenza anche la brusca e definitiva separazione tra Kurosawa e l'attore che fino a quel momento si era incarnato negli stupefacenti personaggi ideati dal maestro: Toshiro Mifune.
Kurosawa fondò allora assieme a tre amici e colleghi, Kon Ichikawa, Keisuke Kinoshita e Masaki Kobayashi, lo Yonki no kai (associazione dei quattro cavalieri, o per renderne meglio il senso, dei quattro moschettieri).
L'intenzione era di svincolarsi una volta per tutte dalle logiche commerciali cui erano asservite le case di produzione, per essere liberi di seguire la propria vena artistica. Purtroppo il primo film prodotto dallo Yonki no kai, Dosdes'kaden, du un altro clamoroso fallimento. La società si sciolse, e solo molti anni più tardi alcuni dei soggetti scritti all'epoca, come Dora heita, furono recuperati e portati sullo schermo.
L'insuccesso spinse Kurosawa verso la depressione: tentò il suicidio, ma fortunatamente venne soccorso dai figlio Hisao e dalla figlia Kazuko, che ricordano in alcune interviste che già in ospedale era in qualche modo pentito del suo gesto e chiedeva scusa delle noie che stava causando.
Entrambi i figli si dimostrano molto disponibili a ricordare la figura del loro grande genitore e sembrano avere ereditato anche i modi gentili del padre, che pure era capace di soprassalti d'ira improvvisa.
Al termine di una lunga intervista è Kazuko a ringraziare gli ascoltatori di averle prestato attenzione, con un formale ma estremamente rispettoso "Domo, arigato gozaimas'ta".
Dopo questo episodio di colpo la carriera di Akira Kurosawa venne stroncata in modo che sembrava definitivo: nessun produttore giapponese gli avrebbe mai più affidato un film.
Uscito faticosamente dalla sua depressione Kurosawa dovette - per tornare al lavoro - accettare di trasferirsi all'estero, in Russia, e girare con personale russo un film basato su una trama che nulla aveva a che vedere con il Giappone, protagonista assoluto di ogni sua altra opera.
Una impresa temeraria, se consideriamo che l'inizio del suo periodo nero coincise proprio con il primo impegno internazionale portato a termine, e in un mondo allora impenetrabile come quello dell'Unione Sovietica, ma la scommessa fu vinta: Dersu Uzala venne immediatamente riconosciuto in tutto il mondo come un capolavoro, e Kurosawa tornò sugli scudi.
Non dobbiamo meravigliarcene troppo. Per quanto indissolubilmente legato alla cultura e alle tradizioni della sua terra, Kurosawa era aperto e disponibile verso ogni altra forma di cultura e ogni altra fonte di ispirazione. Delle sue trenta opere, sei provengono dall'occidente, direttamente o indirettamente.
Nora inu (Cane randagio) è chiaramente ispirato a Ladri di biciclette di Vittorio De Sica, per quanto Kurosawa non lo abbia mai ammesso e sembra anzi si sia sottilmente divertito a sviare le indagini, indicando il suo ispiratore in Georges Simenon.
Hakuchi (L'idiota) è tratto da un'opera di Dostoyevsky, Kumo no su jo (Il trono di sangue) viene da Shakespeare e Donzoko (I bassifondi) da Gorkij.
Tengoku to jikogu (Anatomia di un rapimento) riprende invece un romanzo dello scrittore italo americano Ed Mc Bain, ed abbiamo di nuovo Shakespeare come ispiratore della trama di uno dei capolavori tardi, Ran. Abbiamo già accennato anche al frequente ricorso di temi musicali del 1800 europeo nelle colonne sonore.
Non sorprenda che la trasversalità di Kurosawa si sia dimostrata bidirezionale: quattro delle sue opere sono state riproposte da artisti occidentali: Rashomon è stato rifatto in chiave western da Martin Ritt (The outrage), Shichinin no samurai divenne The magnificent seven per mano di John Sturges e Yojimbo fu trasformato in Per un pugno di dollari da Sergio Leone. Tutte queste opere vennero trasportate da non meglio precisati momenti dell'epoca Edo giapponese (1600-1868) all'ambiente western, ossia nelle terre di frontiera degli Stati Uniti intorno al 1800. E' più difficile identificare l'omaggio reso a Kakushi toride no san akunin (La fortezza nascosta). Ispirò il primo fortunato film della serie di Guerre stellari, ambientato in un lontano quanto ovviamente immaginario futuro, e i chiari riferimenti allo stesso film sparsi qua e là in un altro western di Sergio Leone: Il buono, il brutto e il cattivo.
L'adattabilità di Kurosawa nella ultima fase della sua carriera rimane caso sorprendente, anche considerando che si dovette privare di colpo di molti degli attori, consulenti e personale di supporto che lo seguivano fedelmente da tanti anni. Aveva sempre preferito infatti lavorare con le stesse persone.
Fortunatamente la separazione burrascosa da Toshiro Mifune venne in qualche modo riparata dalla scoperta di un eccezionale attore fino ad allora confinato in ruoli di comprimario: Tatsuya Nakadai, che qui vediamo - in una emblematica immagine tratta da Yojimbo - arrivare sulla scena mentre Mifune se ne allontana.
Il ritorno al successo con Dersu Uzala non gli diede tuttavia immediatamente la possibilità di riprendere il suo percorso artistico in patria: i suoi progetti erano troppo ambiziosi, avrebbero richieste ingenti investimenti che non sembravano prudenti.
Furono proprio alcuni dei ragazzi che erano rimasti affascinati trenta anni prima dalla visione dei suoi film, diventati poi a loro volta celebri registi e produttori, gli statunitensi George Lucas e Francis Ford Coppola ed il francese Serge Silberman, a fornirgli i mezzi per mettere mano a due grandi affreschi: Kagemusha, apparso nel 1980 e Ran del 1985.
Abbiamo quindi, dopo l'intesa attività degli anni 40 e 50, un periodo di relativa stasi che vide la nascita di sole 4 opere in 20 anni, che l'impegno richeisto dalle due opere jidai solo in parte può spiegare, e che va attribuito in gran parte ad un ostinato rifiuto da parte delle case di produzione, che lo consideravano ormai finito e non più capace di produrre opere che potessero affrontare il pubblico.
Solo nell'ultima fase della sua vita Kurosawa poté tornare aigli intensi ritmi di lavoro che gli erano congeniali.
Uscirono nel 1990 Dreams (sogni), nel 1991 Hachigatsu no rapusodi (Rapsodia in agosto) ed infine nel 1993 il suo canto del cigno, Madadayo.
Akira Kurosawa scomparve nel settembre 1993, con i "cassetti" ancora pieni di sogni e di progetti.
Tentare di esprimere giudizi e stilare bilanci sopra la vita di un artista di tale vaglia può sembrare presuntuoso, infatti lo scopo di queste ultime riflessioni non è di giudicare l'uomo e l'artista Kurosawa, ma di comprendere fino a che punto siamo riusciti a cogliere il suo messaggio e a farlo nostro, e attraverso quali metodi di lavoro il maestro abbia potuto affascinarci e legarci a lui in modo così indissolubile.
Furono presenti in Kurosawa due tendenze apparentemente contrastanti, la fedeltà alle tradizioni ed il coraggio dell'innovazione, ed forse è proprio questa la chiave di lettura che permette di comprendere le ragioni del fascino che ha suscitato verso gli spettatori, in ogni parte del mondo.
La sua meticolosità nella ricostruzione delle ambientazioni, dei cerimoniali, dei combattimenti, fino ad allora sconosciuta nel cinema giapponese, viene avvertita anche da chi è completamente digiuno della cultura di quel paese. Anche senza saper dire perché, qualunque spettatore avverte che quello che gli rappresenta Kurosawa - anche se non sempre reale perché l'arte deve trascendere dalla realtà - è comunque realistico.
Dalle sue dichiarazioni, rilasciate nel corso degli anni, emerge il quadro di un metodo di lavoro rigoroso che lascia tuttavia ampio spazio per abbandonarsi alle sensazioni, senza le quali nessun artista può trovare la sua ispirazione.
Quello che conta non è la trama [eppure sappiamo che sceglieva accuratamente le trame e prendeva parte attiva nella stesura di ogni sceneggiatura] ma trovare qualcosa che funzioni come film. Preparare nuovi progetti è come seminare: quando uno dei semi germoglia e improvvisamente cresce è perché ci sono le condizioni che lo permettono, e se tenti di forzarle il film non verrà bene.
Le sue tecniche innovative erano spesso al servizio di stilemi rappresentativi che venivano dalla grande tradizione del teatro giapponese.
La protagonista di Kumo no su jo ad esempio (Isuzu Yamada) venne istruita ad utilizzare il tipo di recitazione tipico del teatro Noh, con un pesante trucco che annullava l'espressività del viso e la obbligava a comunicare con l'atteggiamento di tutto il corpo.
Lei stessa ricorda ancora molti anni dopo in una intervista, ancora impressionata dalla estrema difficoltà di quanto richiestole, di come sia orgogliosa di avere vissuta questa difficile ma affascinante esperienza.
Le sceneggiature di Kurosawa erano accompagnate da disegni che illustravano con grande efficacia quello che andava cercando e quello che chiedeva alla troupe, a cui li mostrava spesso.
Trovava intrigante il fatto che ottenesse risultati deludenti quando si concentrava sulla tecnica del disegno, mentre i suoi spettatori rimanevano affascinati al contrario dai disegni fatti di getto concentrandosi solo sulla storia che intendeva illustrare.
Spesso scontento di come venivano alcune scene cercò vari espedienti per aumentare la capacità di concentrazione degli attori, come lavorare con diverse telecamere e non avvicinarsi agli attori per riprendere i primi piani ma utilizzare dei teleobiettivi. In questo modo l'attore - non sapendo da quale angolo sarebbe stato ripreso nel montaggio finale, e non avendo un punto di riferimento nelle sue vicinanze, era indotto a coinvolgere tutto se stesso nella recitazione.
Al termine di ogni ripresa aveva poi l'abitudine di effettuare prima possibile il montaggio e mostrare all'intera troupe il risultato ottenuto, per coinvolgerli e per permettere loro di comprendere nei minimi dettagli il risultato di quanto avevano prodotto, nel bene o nel male, lavorando per tanti giorni.
Alcune sue tecniche di ripresa furono assolutamente innovative, come in Rashomon l'inquadratura diretta del sole , cosa mai fatta prima di allora, o l'utilizzo della foresta come ambiente di ripresa, con i suoi giochi di luce tanto difficili da rendere sulla pellicola quanto affascinanti sullo schermo.
Era restio ad utilizzare la tecnica convenzionale di avvicinamento al centro dell'azione (piano lungo, piano medio, primo piano) e fu tra i primi al mondo a fare un uso estensivo dei piani sequenza, in cui l'inquadratura è fissa ed i personaggi si muovono su una sorta di fondale, come se si trattasse di una rappresentazione teatrale.
Come nella scena iniziale di Kagemusha, a lato, in cui appaiono contemporaneamente Shingen Takeda ed i suoi due sosia: il fratello Nobukado e lo sconosciuto che tutti chiameranno Kagemusha (Ombra).
Come accompagnamento musicale a volte ricercava un tema che fosse in armonia con la scena, altre volte che vi entrasse in contrasto. Per accompagnare la scena del funerale di Heihachi (I sette samurai) fu lui ad avere improvvisamente l'intuizione che non doveva utilizzare un'orchestra ma un singolo strumento dai toni marziali, e convocò di notte il musicista Fumio Hayasaka e sei strumentisti, provando incessamente fino ad ottenere l'effetto che cercava.
E che trovò: quella musica rimane indelebilmente scolpita nella memoria di chiunque l'abbia ascoltata, anche a distanza di molti anni.
Sembra difficile identificare il bandolo di una matassa in questo assieme di metodi di lavori, tutti geniali ma spesso in apparente aperto contrasto tra di loro. Lo stesso Kurosawa ne era cosciente.
Ecco quanto diceva in proposito, che non va interpretato alla lettera in quanto si tratta di un assemblaggio di sue dichiarazioni fatte in circostanze diverse, che non possiamo riportare integralmente.
I vari componenti di un film, allo stato iniziale, sono confusi nella mia mente e non sarebbe possibile separarli [soggetto, sceneggiatura, musica, montaggio, direzione...]. In definitiva non si può insegnare a fare film, il talento non si insegna.
Io all'inizio ho avuto problemi poiché ero l'unico senza diploma [e quindi senza quella prova di capacità professionale che Kurosawa ha appena affermato non poter esistere], mentre gli altri provenivano da varie università. Chi da quelle di Tokyo o Kyoto, chi dalla Keio, chi dalla Waseda.
E anche il carisma, non si può insegnare e non si può comprare con la tecnologia:
Quando un vecchio direttore dice "Silenzio, prego!" tutti stanno zitti". Quelli nuovi, abituati col megafono, non hanno lo stesso effetto.
Ma quale è in definitiva, secondo il maestro Kurosawa, il segreto per riuscire nell'arte?
Chiunque crea qualcosa è un perfezionista. Chi non è mai soddisfatto di quello che fa, quello è il vero creatore. E se ti dedichi veramente al tuo lavoro, ogni lavoro diventa piacevole.
E concludiamo ripetendo il suo consiglio (Something like an autobiography, p. 132):
Io credo che la via più semplice per parlare di me - da quando sono diventato regista - sia di seguire la mia filmografia scorrendo la mia vita film per film.