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Akira Kurosawa: biografia - Una proposta di bilancio

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Tentare di esprimere giudizi e stilare bilanci sopra la vita di un artista di tale vaglia può sembrare presuntuoso, infatti lo scopo di queste ultime riflessioni non è di giudicare l'uomo e l'artista Kurosawa, ma di comprendere fino a che punto siamo riusciti a cogliere il suo messaggio e a farlo nostro, e attraverso quali metodi di lavoro il maestro abbia potuto affascinarci e legarci a lui in modo così indissolubile.

Furono presenti in Kurosawa due tendenze apparentemente contrastanti, la fedeltà alle tradizioni ed il coraggio dell'innovazione, ed forse è proprio questa la chiave di lettura che permette di comprendere le ragioni del fascino che ha suscitato verso gli spettatori, in ogni parte del mondo.

La sua meticolosità nella ricostruzione delle ambientazioni, dei cerimoniali, dei combattimenti, fino ad allora sconosciuta nel cinema giapponese, viene avvertita anche da chi è completamente digiuno della cultura di quel paese. Anche senza saper dire perché, qualunque spettatore avverte che quello che gli rappresenta Kurosawa - anche se non sempre reale perché l'arte deve trascendere dalla realtà - è comunque realistico.

Dalle sue dichiarazioni, rilasciate nel corso degli anni, emerge il quadro di un metodo di lavoro rigoroso che lascia tuttavia ampio spazio per abbandonarsi alle sensazioni, senza le quali nessun artista può trovare la sua ispirazione.

Quello che conta non è la trama [eppure sappiamo che sceglieva accuratamente le trame e prendeva parte attiva nella stesura di ogni sceneggiatura] ma trovare qualcosa che funzioni come film. Preparare nuovi progetti è come seminare: quando uno dei semi germoglia e improvvisamente cresce è perché ci sono le condizioni che lo permettono, e se tenti di  forzarle il film non verrà bene.

Le sue tecniche innovative erano spesso al servizio di stilemi rappresentativi che venivano dalla grande tradizione del teatro giapponese.

La protagonista di Kumo no su jo ad esempio (Isuzu Yamada) venne istruita ad utilizzare il tipo di recitazione tipico del teatro Noh, con un pesante trucco che annullava l'espressività del viso e la obbligava a comunicare con l'atteggiamento di tutto il corpo.

Lei stessa ricorda ancora molti anni dopo in una intervista, ancora impressionata dalla estrema difficoltà di quanto richiestole, di come sia orgogliosa di avere vissuta questa difficile ma affascinante esperienza.

 

 

 

 

 

Le sceneggiature di Kurosawa erano accompagnate da disegni che illustravano con grande efficacia quello che andava cercando e quello che chiedeva alla troupe, a cui li mostrava spesso.

Trovava intrigante il fatto che ottenesse risultati deludenti quando si concentrava sulla tecnica del disegno, mentre i suoi spettatori rimanevano affascinati al contrario dai disegni fatti di getto concentrandosi solo sulla storia che intendeva illustrare.

Spesso scontento di come venivano alcune scene cercò vari espedienti per aumentare la capacità di concentrazione degli attori, come lavorare con diverse telecamere e non avvicinarsi agli attori per riprendere i primi piani ma utilizzare dei teleobiettivi. In questo modo l'attore - non sapendo da quale angolo sarebbe stato ripreso nel montaggio finale, e non avendo un punto di riferimento nelle sue vicinanze, era indotto a coinvolgere tutto se stesso nella recitazione.

Al termine di ogni ripresa aveva poi l'abitudine di effettuare prima possibile il montaggio e mostrare all'intera troupe il risultato ottenuto, per coinvolgerli e per permettere loro di comprendere nei minimi dettagli il risultato di quanto avevano prodotto, nel bene o nel male, lavorando per tanti giorni.

Alcune sue tecniche di ripresa furono assolutamente innovative, come in Rashomon l'inquadratura diretta del sole , cosa mai fatta prima di allora, o l'utilizzo della foresta come ambiente di ripresa, con i suoi giochi di luce tanto difficili da rendere sulla pellicola quanto affascinanti sullo schermo.

Era restio ad utilizzare la tecnica convenzionale di avvicinamento al centro dell'azione (piano lungo, piano medio, primo piano) e fu tra i primi al mondo a fare un uso estensivo dei piani sequenza, in cui l'inquadratura è fissa ed i personaggi si muovono su una sorta di fondale, come se si trattasse di una rappresentazione teatrale.

Come nella scena iniziale di Kagemusha, a lato, in cui appaiono contemporaneamente Shingen Takeda ed i suoi due sosia: il fratello Nobukado e lo sconosciuto che tutti chiameranno Kagemusha (Ombra).

Come accompagnamento musicale a volte ricercava un tema che fosse in armonia con la scena, altre volte che vi entrasse in contrasto. Per accompagnare la scena del funerale di Heihachi (I sette samurai) fu lui ad avere improvvisamente l'intuizione che non doveva utilizzare un'orchestra ma un singolo strumento dai toni marziali, e convocò di notte il musicista Fumio Hayasaka e sei strumentisti, provando incessamente fino ad ottenere l'effetto che cercava.

E che trovò: quella musica rimane indelebilmente scolpita nella memoria di chiunque l'abbia ascoltata, anche a distanza di molti anni.

Sembra difficile identificare il bandolo di una matassa in questo assieme di metodi di lavori, tutti geniali ma spesso in apparente aperto contrasto tra di loro. Lo stesso Kurosawa ne era cosciente.

Ecco quanto diceva in proposito, che non va interpretato alla lettera in quanto si tratta di un assemblaggio di sue dichiarazioni fatte in circostanze diverse, che non possiamo riportare integralmente.

I vari componenti di un film, allo stato iniziale, sono confusi nella mia mente e non sarebbe possibile separarli [soggetto, sceneggiatura, musica, montaggio, direzione...]. In definitiva non si può insegnare a fare film, il talento non si insegna.

Io all'inizio ho avuto problemi poiché ero l'unico senza diploma [e quindi senza quella prova di capacità professionale che Kurosawa ha appena affermato non poter esistere], mentre gli altri provenivano da varie università. Chi da quelle di Tokyo o Kyoto, chi dalla Keio, chi dalla Waseda.

E anche il carisma, non si può insegnare e non si può comprare con la tecnologia:

Quando un vecchio direttore dice "Silenzio, prego!" tutti stanno zitti". Quelli nuovi, abituati col megafono, non hanno lo stesso effetto.

Ma quale è in definitiva, secondo il maestro Kurosawa, il segreto per riuscire nell'arte?

Chiunque crea qualcosa è un perfezionista. Chi non è mai soddisfatto di quello che fa, quello è il vero creatore. E se ti dedichi veramente al tuo lavoro, ogni lavoro diventa piacevole.

E concludiamo ripetendo il suo consiglio (Something like an autobiography, p. 132):

Io credo che la via più semplice per parlare di me - da quando sono diventato regista - sia di seguire la mia filmografia scorrendo la mia vita film per film.

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