Cinema
La nuova settima musa, come viene talvolta chiamata da noi (rivelando una certa conflittualità con la mitologia, visto che le muse, dee greche dell'arte, erano già nove), ha avuto immediato successo in Giappone, come ricorda Kurosawa nella sua autobiografia.
Si è poi affermata a livello mondiale grazie anche ad una formidabile generazione di artisti che ha avuto il suo massimo esponente in colui che veniva chiamato l'imperatore, il grande regista Akira Kurosawa, ma che ha contato anche altri grandi maestri come Kon Ichikawa (L'arpa birmana), Kei Kumai (Morte di un maestro del te) o Kenji Mizoguchi (La spada Bijomaru), scomparso prematuramente.
Puo' sembrare strano che per approfondire lo studio di una cultura profonda e complessa come quella giapponese si consigli di andare al cinema. Eppure molte opere, sia quelle del genere jidai, in costume oppure d'epoca, che quelle del genere gendai o moderno, ci possono restituire informazioni non altrimenti disponibili.
Solo un film ben ambientato ci può rendere l'atmosfera di quei tempi, governati da una etichetta formalmente rigida quanto finalizzata ad uno scopo e quindi non gratuita ma comprensibile e condivisibile, o farci apprezzare attraverso la ricostruzione di episodi famosi. Spesso reali, come quello dei fedeli 47 ronin che dedicarono la vita alla vendetta contro chi aveva oltraggiato il loro signore, talvolta non reali ma molto realistici come la saga dei 7 samurai, portata sullo schermo da Kurosawa.
Shiro Mifune impersona il signore Shigeaki in Ame Agaru, opera ideata da Akira Kurosawa e portata a compimento da Takashi Koizumi
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Jidai
Il cinema jidai è paragonabile al nostro cinema "in costume", con sfumature che vanno dal genere "cappa e spada" (chambara) a quello "storico". L'epoca di elezione per il jidai geki è quella Edo. Va dal 1600, l'anno della battaglia di Sekigahara che pose fine alla lunga guerra di successione consegnando il potere nelle mani degli shogun Tokugawa, che lo avrebbero perso solo nel 1868.
E' un'epoca di cui si può dire non solo che quasi tutto vi successe ma anche che tutto sarebbe potuto succedere, un'epoca di frontiera come fu negli Stati Uniti d'America quella del Far West. E non è infatti un caso che spesso le trame dei più grandi film jidai siano state adattate a film western, da I sette samurai a Rashomon e Yojimbo.
Una menzione a parte va fatta al periodo Meiji, contrassegnato dal breve ma quanto mai cruento e contrastato passaggio dall'epoca Edo a quella moderna. Anche alcuni maestri del cinema, oltre ad onesti mestieranti, hanno scelto di trarre ispirazione alle loro opere dalle vicende di quel tormentato periodo.
Nella foto. I sette samurai (A. Kurosawa): la bandiera del drappello di guerrieri che difese un villaggio in cambio di un pugno di riso.
Gendai
Il cinema giapponese d'ambientazione moderna, gendai geki, si è sempre distinto per il suo forte impegno sociale e la sua capacità di denuncia, è tuttavia meno conosciuto rispetto al genere jidai, più epico e spettacolare.
Basti citare il caso di Akira Kurosawa, celeberrimo per opere come Rashomon, I sette samurai e tante altre che sarebbe troppo lungo elencare, mentre non hanno avuto lo stesso successo opere come L'angelo ubriaco e Dodes'ka-den, quando non sono state addirittura dei clamorosi fallimenti.
Ormai scomparsa la generazione dei grandi maestri del dopoguerra, ultimamente molti registi si dedicano a descrivere, talvolta caricando le tinte e talora fino all'eccesso, la vita, i problemi e le aspirazioni del giapponese moderno. Meriterebbero di essere conosciuti meglio, e le loro opere meriterebbero qualche riflessione, che cercheremo di proporre od alimentare da questo sito.
Nella foto: il grande Takashi Shimura, attore icona di Aikira Kurosawa, l'indimenticabile Kanbei che comandava I sette samurai, è anche il protagonista del capolavoro gendai del maestro: Ikiru (Vivere).
Chambara
La parola giapponese chanbara (チャンバラ), che accettiamo di trascrivere chambara in ossequio alla ortografia italiana, può essere tradotta alla lettera come combattimento alla spada ma nella terminologia del mondo del cinema ha il suo equivalente nel nostro cappa e spada o nell'inglese swashbuckler, che in origine identificò soldati di rango inferiore armati di scudo (buckler) e più tardi personaggi vanagloriosi pronti alla parola quanto a disagio con le armi in pugno.
Sono opere che non necessariamente raccontano una storia, sono talvolta solo un pretesto per mostrare delle scene di azione, ma questo non esclude che spesso meritino di essere viste ed apprezzate come testimonianza di una cultura, sia pure popolare, che è rimasta viva solo nel ricordo, e alcune nutrono ulteriori ambizioni.
E' un genere artistico che è stato anche accostato a quello a tutti noto come western. Le affinità sono indiscutibli, al punto che vi sono state frequenti commistioni. Dobbiamo però dire che da occidente si sono sovente degradate opere jidai di notevole spessore, privandole in chiave western - in nome dell'azione - di ogni spessore psicologico e di ogni implicazione morale. A volte succede invece che le trasposizioni giapponesi di opere occidentali tentino non solo di rispettarne lo spirito ma di accrescerne i contenuti: avremmo naturalmente per loro un occhio di riguardo.
Schede
L'arte del cinema lascia l'impressione di essere facilmente fruibile: basta sedersi al buio nella sala e lasciarsi sommergere dalle immagini, e da quando si sono diffusi i lettori domestici sono al contrario i film a venire addirittura da noi.
Comprendere cosa c'è dietro è ovviamente molto meno immediato. Dal punto di vista tecnico dobbiamo considerare che un film è una impresa collettiva che richiede il lavoro di centinaia e a volte migliaia di persone, per un tempo che arriva anche a misurarsi in anni.
Per le opere jidai dobbiamo anche ricordarci che si riallacciano ad una tradizione secolare di rappresentazioni, più o meno fantastiche ed elaborate, ad opera di attori o di marionette, e che il cinema giapponese non può essere totalmente compreso se non si cogliono questi legami, e per coglierli è necessario approfondire.
Il set di Tora no ofumu otokotachi, con gli attori che impersonano Benkei (Denjirô Okochi) e Togashi (Susumu Fujita). In alto una bambola moderna nel tradizionale costume di Benkei, leggendario monaco guerriero vissuto nel XII secolo.