Jidai
Takashi Koizumi: 1999 - Ame agaru - L'attesa di Misawa
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Shugoro Yamamoto e Akira Kurosawa ci portano con la loro immaginazione in un imprecisabile periodo dell'epoca Edo (ma la presenza del personaggio storico Tsuji Gettan indica l'inizio del XVIII secolo), in un territorio non meglio identificabile.
Piove violentemente, e le comunicazioni sono difficoltose lungo le strade, praticamente interrotte lungo i fiumi di maggiore portata, dove la politica degli shogun ostacolava la costruzione di ponti per poter tenere meglio sotto controllo gli spostamenti dei feudatari e delle loro truppe, ma anche dei cittadini.
Riparandosi alla meno peggio sotto un ombrello un samurai, riconoscibile dalle 2 spade portate alla cintura e dalla tenuta formale in hakama ed aori, con lo stemma della casata riportato sul bavero, si avvicina alla barriera invalicabile del fiume in piena.
E' Ihei Misawa, identificabile come ronin, samurai senza padrone, per la mancanza del chommage, la rasatura rituale del capo che contrassegna il samurai a servizio di un feudo.
I traghettatori, o per meglio dire portatori perché non dispongono di barche o pontoni e trasportano i viaggiatori su una pedana che issano sulle spalle mentre guadano il fiume a piedi, sono seminudi, ma indossano le tipiche sopravvesti di paglia che fanno colare l'acqua a terra evitando che raggiunga il corpo.
Il fiume è talmente rigonfio che anche se smettesse immediatamente di piovere non sarebbe praticabile prima di un'altra settimana, forse 10 giorni.
Con questo tempo i loro affari vanno a monte, ma non possono fare a meno di compiangere chi sta ancora peggio di loro e dei contadini. I viaggiatori costretti a una sosta forzata nella prima affollata locanda disponibile se la passeranno brutta se pensavano a un viaggio breve e non avevano portato il denaro per una permanenza così lunga, o se addirittura non ne dispongono affatto.
La locanda dove si è rifugiato Misawa assieme alla moglie è grande, ma l'improvviso afflusso di viaggiatori l'ha riempita oltre il consueto e la convivenza è difficile.
La pioggia incessante impedisce di uscire e non c'è modo di asciugare i vestiti inzuppati, tantevvero che quelli che se la passano meglio sono i bambini, lasciati a razzolare nudi.
Misawa si è già fatta la reputazione di essere uno strano samurai, gentile e sorridente con tutti, anche con le persone della più umile condizione.
La prostituta Okin (Mieko Harada) costituisce un problema a parte. Evidentemente umiliata dal dover esercitare un mestiere considerato infamante oltre che esasperata dalla forzata residenza in un luogo dove presumibilmente non c'è nemmeno spazio per esercitare la sua professione e guadagnarsi di che vivere, ha i nervi a fior di pelle.
Accusa in continuazione gli altri ospiti della locanda di rubarle il cibo o degli oggetti, e le sue scenate ininterrotte stanno riducendo all'esasperazione tutti quanti, essendo alloggiati in stretti cubicoli separati da fragili pareti di carta che nulla trattengono dei rumori circostanti e delle voci dei vicini.
Nonostante Tayo cerchi di dissuaderlo dall'intervenire, Misawa si sente in dovere di fare qualcosa.
L'intervento di un samurai nei confronti della gente del popolo era temuto da tutti.
Le rigide convenzioni della società feudale assegnavano le parti in anticipo senza possibilità di sfumature. Il samurai era tenuto a dare ordini in tono brusco ed ultimativo, il popolo ad adeguarsi non solo senza indugi od obiezioni ma anche prosternandosi umilmente.
Cosa che alla ragazza, evidentemente fuori di se, potrebbe non venire in mente, obbligando il samurai a reagire con la forza per riaffermare la sua autorità e non permettere che venga pubblicamente messa in dubbio.
In realtà qui le parti si invertono. Misawa dopo averla fermamente ma senza rudezza obbligata a smettere con i suoi improperi, le si rivolge con gentilezza chiedendo cosa può fare per lei.
Sconcertata Okin ribatte maleducatamente che non sono cose di cui dovrebbe occuparsi un samurai.
In casi del genere ci si aspetta generalmente che il samurai impartisca di forza una lezione, quando addirittura non estragga la spada. Gli avventori della locanda sono pietrificati, non osano fiatare.
Misawa impassibile continua nel suo tentativo di rabbonire la ragazza.
Lei non è preparata ad essere trattata da essere umano. Confusa, lo pianta in asso e torna nel suo alloggio al piano superiore
Misawa, pensieroso, mentre gli altri continuano a fingere di non avere notato nulla, dichiara che ha intenzione di uscire di nuovo. E così fa.
Torna solamente a notte fonda, ma in buona compagnia: un gruppo di servitori deposita all'interno della locanda grandi recipienti colmi di cibo e di sake.
Misawa minimizza: dice che bisogna contentarsi del poco che ha trovato, ma l'importante è essere dello spirito giusto per passare una piacevole serata, perché ha deciso di fare qualcosa per ingannare il tempo che passa.
Lo stupore generale cede subito ai preparativi per la festa, mentre Tayo, dalla porta della sua stanza, guarda in silenzio e scuote la testa perplessa.
La festa sta andando a meraviglia.
Il regista Takashi Koizumi ne approfitta per ammanire allo spettatore un campionario di antiche canzoni e pantomine popolari giapponesi.
Accompagnandosi allo shamisen un avventore canta la buffa storia di un uomo innamorato di un pupazzo di neve.
Un popolano mima l'incursione di un ladro in un campo di cocomeri, fingendo che le teste dei commensali siano altrettanti cocomeri e percuotendoli col pugno per saggiarne il grado di maturazione.
Purtroppo un imprevisto incidente rischia di mandarla a rotoli.
Quando rientra Okin dalla sua dura giornata di lavoro per le strade, con i suoi vistosi quanto logori vestiti e il suo trucco volgare, viene affrontata rudemente dall'anziana persona che aveva in precedenza accusato di averle rubato il riso.
Costui non ha toccato nulla della cena offerta da Misawa, ma ha messo da parte una ciotola di riso per renderla ad Okin, pur continuando a dichiararsi completamente innocente dell'accusa.
Misawa interviene ancora una volta per portare pace.
Se asssolve il vecchio dall'accusa di furto assolve anche Okin dalla colpa di averlo accusato a torto: può capitare a tutti di sbagliare.
E la convince a restare alla festa, ma non solo: garbatamente, con un sorriso, le porge anche il suo cibo.
Più tardi, coinvolta e trascinata suo malgrado dalla allegra e contagiosa follia che aleggia nella locanda, anche Okin si lascerà sfuggire un sorriso.
Ihei Misawa in quel momento ha già lasciato la festa.
E' tornato nella stanza dove la moglie è rimasta in attesa, portandole un vassoio con la cena.
Lei lo guarda in silenzio, mentre Misawa sembra estremamente imbarazzato.
Quando gli fa una domanda lei va a colpo sicuro: si è battuto a duello per denaro, per guadagnare il denaro necessario ad offrire la festa?
L'imbarazzo di Misawa cresce ancora: è evidente che non è abituato a mentire e nemmeno a cambiare discorso quando preso in difetto.
Non gli rimane che chiedere perdono promettendo, e tutto lascia immaginare che non sia la prima volta che lo promette, di non farlo più.
InvanoTayo tenta di mantenere il suo fiero cipiglio. E' una lotta persa in partenza.
Lentamente un grande sorriso si fa largo, illuminandole il volto. E' evidente che suo marito, quello strano guerriero preoccupato dei deboli e incapace di arroganza, nonostante tutto le sta bene così come è.