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Akira Kurosawa: 1950 - Rashomon - Takehiro

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Il giudice ha convocato una veggente (Noriko Honma), per ascoltare attraverso di lei il racconto della vittima.

Il cortile giaceva fino ad allora in una calma morbosa, senza che nulla si muovesse oltre ai gesti del personaggio chiamato di volta in volta davanti allo scranno del tribunale.

Sia il boscaiolo che il monaco sullo sfondo rimangono inorriditi ma affascinati ad ascoltare, senza muoversi mai dalla loro posizione defilata.

 

 

 

 

 

 

 

 

Al termine di lunghi preparativi, finalizzati a provocare lo stato di trance, lo spirito del defunto si impossessa del corpo della veggente.

Inizia a parlare.

Con una agghiacciante voce che proviene dall'oltretomba.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Anche la versione di Takehiro inizialmente concorda con le altre.

E' solo quando il racconto sta per terminare che emergono le differenze: enormi. Incompatibili le lune con le altre.

Allo stesso tempo autolesionistiche ed orgogliose.

Masako dopo la violenza chiede a Tajomaru di portarla via con se.

Ma prima... Prima deve fare qualcosa.

 

 

 

 

 

 

 

 

Il samurai li vede parlare a lungo.

Non può ascoltare quello che si dicono, ma già è allarmato, inquieto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ancora una volta, l'ultima nella sua vita, osserva attentamente il volto di quella che fu la sua moglie.

E la sua ombra ricorda di non averla mai trovata così bella come in quel momento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel ripetere incessantemente la sua richiesta la donna si avvinghia a Tajomaru.

Si rifugia letterlamente dietro di lui, se ne fa schermo.

Come, nel racconto di Tajomaru, gli si era improvvisamente avvinghiata durante la violenza divenuta amplesso, nel momento in cui maggiormente desiderava ucciderlo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ora, dice a Tajomaru, deve uccidere Takehiro.

Solo così lei potrà essere libera.

Libera da un rapporto che già da tempo le pesava, libera dall'infamia di avere abbandonato il legittimo consorte per seguire un brigante.

Prima che lei possa seguire Tajomaru, l'unico testimone di quanto è successo deve morire.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La reazione del bandito è per lei assolutamente imprevedibile.

Se la scrolla di dosso, la getta per terra e le pone un piede sopra, come ad un preda abbattuta.

E senza più nemmeno rivolgerle la parola chiede direttamente al samurai cosa farne, se "devono" ucciderla immediatamente o lasciarla vivere.

Solamente per queste sue parole, commenta lo spirito di Takehiro con la sua voce cavernosa, in cui appare tuttavia un rimpianto di umanità, posso perdonare al brigante.

 

 

 

 

 

 

 

Mentre i due discutevano la donna è fuggita a perdifiato. Tajomaru l'ha a lungo inseguita, ma invano: è scomparsa nella foresta.

Takehiro è rimasto ancora a lungo immobilizzato, legato alla fune e a i suoi pensieri. Tajomaru quando torna a mani vuote lo fissa a lungo.

I prolungati primi piani, apparentemente simili, mostrano sentimenti opposti dei personaggi, soprattutto nelle differenti ricostruzioni ma perfino nei diferenti momenti di ognuna di esse: rabbia, orgoglio, tristezza...

Tajomaru taglia con la spada i legami del suo prigioniero, e si allontana.

 

 

 

 

 

Restato finalmente solo, Takehiro rimane per lunghissimo tempo immobile, senza nemmeno muoversi dalla posizione in cui l'aveva immobilizzato il brigante.

Sente qualcuno che piange, e solo lentamente, incredulo, capisce che quel pianto è il suo.

Ora Takehiro ritorna in piedi. Alza gli occhi al cielo.

Vede per l'ultima volta il cielo, e la luce del sole.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ha raccolto il pugnale. Con quello pone fine ai suoi giorni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E' terminato il racconto.

La veggente, spossata, si accascia al suolo, come poco prima si era accasciata al termine della sua sofferta deposizione anche Masako.

Ma si rialza: lo spirito di Takehiro ha ancora qualcosa da aggiungere.

Nell'agonia, mentre scendeva un grande silenzio e le ombre si allungavano, qualcuno, non si sa chi, si è avvicinato con passo leggero e ha sfilato il pugnale dal suo petto sanguinante, per poi allontanarsi con quello.

 

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