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Akira Kurosawa: 1950 - Rashomon - Tajomaru: la trappola

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Il brigante stava oziando ai piedi di un grande albero, nei pressi del sentiero.

Kurosawa ce lo presenta con un aspetto picaresco, vestito di pochi cenci che non celano il corpo, muscoloso e minaccioso.

Nel racconto di Akutagawa si diceva invece che era vestito di un kimono blu (viene ripetuto anche nel film, dalla moglie del samurai: evidentemente una piccola svista in un'opera altrimenti praticamente perfetta).

Tajomaru è la versione drammatica di quello che sarà poi, il buffo Kikuchiyo (I sette samurai); il loro aspetto esteriore è praticamente identico, fatta eccezione per l'arma: Kikuchiyo avrà con sé un gigantesco nodachi (spadone a due mani). Gli straccioni si assomigliano tutti, anche a distanza di secoli.

L'arma di Tajomaru è invece uno tsurugi, una spada a doppio taglio con lama diritta, utilizzata arcaicamente prima dell'avvento del nihonto, la lama giapponese lunga e arcuata, col tagliente nella parte convessa.

 

Tajomaru si ridesta all'improvviso dal suo torpore.

Ha sicuramente sentito qualcuno avvicinarsi lungo il sentiero, e quando riapre gli occhi vede qualcosa che non dimenticherà mai.

Il samurai appiedato che conduce il cavallo per le briglie riveste per lui solamente un interesse professionale.

E' riccamente vestito e le sue armi sono di indubbio valore: potrebbe essere una ricca preda, per quanto difficile: è un uomo non solo armato, ma anche addestrato alle armi.

E' dopo che Tajomaru viene colpito, quando meno se lo sarebbe aspettato.

 

 

 

 

 

La donna che si trova sul cavallo è completamente nascosta agli sguardi, come d'uso all'epoca per le donne del suo lignaggio si nasconde agli estranei sotto un largo cappello da cui pendono dei veli.

Ma un colpo di vento allontana per un attimo i veli.

In quell'attimo, anche se riesce più ad intuirne il volto che a scorgerlo realmente, Tajomaru sa che non avrà più pace finché non avrà avuto quella donna.

E' la moglie del samurai, come si intuisce dalle sopracciglia rasate che indicano il suo stato di donna sposata.

 

 

 

 

 

 

Affascinato Tajomaru continua a seguire con lo sguardo la coppia che si allontana lungo il sentiero.

Li seguirà, e cercherà in tutti i modi di raggiungere il suo scopo: depredarli, ma soprattutto avere la donna.

In una sequenza durata lo spazio di pochi secondi Kurosawa è riuscito a trasmettere una incredibile quantità di messaggi, e ad alzare la tensione emotiva a livelli quasi insopportabili.

Questa fase della vicenda è leggibile nei volti dei protagonisti, e bisogna rendere merito ai magnifici attori che si sono prestati ad essere gli strumenti del maestro.

La voce narrante, in questo caso quella stessa del brigante Tajomaru, potrebbe anche essere soppressa: ogni spettatore sarebbe ugualmente in grado di comprendere.

Non solo quello che sta succedendo ma anche quello che succederà, non solo quali saranno le azioni di ogni singolo protagonista, ma perfino quelli che saranno i loro pensieri, desideri, timori, dubbi.

Tajomaru segue a lungo la coppia. Giunti al luogo che ha in mente, esce d'improvviso davanti a loro, sbucando dal bosco.

Il suo aspetto è selvaggio, i suoi modi provocatori e con una punta di follia.

Anche questi modi comportamentali sono un'anticipazione di quelli che Mifune adotterà poi nel ruolo di Kikuchiyo e dopo ancora in quello del giovane Miyamoto Musashi nella trilogia dedicata al grande samurai da Hiroshi Hinagaki.

E' strano pensare che si adattino perfettamente ad un brigante incallito, ad un grezzo fanfarone dal cuore tenero, ed infine ad un invincibile guerriero ancora alla ricerca di sé stesso.

 

 

 

 

 

Quando Tajomaru estrae la spada il samurai è già sull'avviso.

Ma una risata derisoria lo accoglie: proprio questa spada sarà lo strumento del tranello ordito dal brigante.

La mostra con orgoglio, la offre per un esame. Quella spada, di antica fattura, proviene da un tumulo che ha scoperto, là nella foresta. Ne ha trovate altre, assieme a degli specchi, ed è pronto a venderle a buon prezzo.

La spada e lo specchio - assieme ad un magico gioiello - sono come sapranno molti i simboli divini del Giappone. Quelli appartenuti secondo la leggenda alla dea Amaterasu, come narrato nel Kojiki, fanno parte del tesoro imperiale e lla loro visione è riservata alla famgilia regnante.

Quindi tutto indicherebbe che quei tumuli contenevano i tesori di una famgilia di nobili.

 

Il samurai (Masayuki Mori) non riesce a resistere alla tentazione, forse nemmeno tenta.

Seguirà Tajomaru nel bosco, là dove si troverebbe il tesoro sotterrato. La sua donna attenderà là, il cavallo non può avventurarsi nel fitto della boscaglia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Là giunti cade facilmente nel tranello. Tajomaru l'assale alle spalle quando si deconcentra credendo di essere arrivato sul luogo del tesoro, riesce a sopraffarlo e lo immobilizza con una corda.

Quella stessa corda, tagliata di netto, che il boscaiolo avrebbe ritrovato poi.

Kurosawa non precisa lo stacco temporale che passa tra i fatti ed il processo, Akutagawa nel suo raccontro era invece stato esplicito: tutto si sussegue in uno spazio di tempo molto breve.

Il giorno dopo l'assassinio Tajomaru già si trova davanti al giudice, e questa volta sarà lui ad essere saldamente legato.

La donna è rimasta sola in mezzo ad una radura, accanto al suo cavallo, ancora ammantata e celata dai veli.

 

 

 

Tajomaru ha già immobilizzato il samurai, sta già correndo a perdifiato nella foresta per poi gettarsi su di lei.

La sequenza è analoga a quella iniziale del boscaiolo che fugge dall'orrore della morte.

Due sequenze simili per illustrare due situazioni opposte.

Una fuga, ed una corsa affannosa verso un obiettivo ferocemente voluto.

Il tentativo di dimenticare, o perlomeno di allontanare da sé, e l'attesa frenetica di un momento di voluttà.

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