Origines
L'architettura giapponese - P. 6
Article Index
Il tempio buddhista, con l'ingresso rivolto a sud, col recinto rettangolo situato lungo l'asse sud-nord, con la pagoda, la Sala del Buddha e quella delle riunioni, poteva prolungarsi all'esterno, verso nord, con altri padiglioni. Presto però si verificò un abbandono della composizione assiale, a provarci come il temperamento dei Giapponesi li portasse verso scelte autonome e originali.
La preferenza per l'asimmetria, infatti, denota che ci si è riservata un'ampia possibilità di scelta, laddove la simmetria non lascia posto che per una sola soluzióne. Dunque, affrancamento da schemi estetici, etici, religiosi, filosofici.
Ciononostante, la tradizione è seguita, in Giappone, con rigore a volte parossistico, fino a dettagli estremamente sottili e talvolta pignoleschi.
Eppure proprio questo Giappone, che a noi può apparire assurdamente rigido, è capace nello stesso tempo di mostrarci, attraverso la delicatezza della sua letteratura, della pittura, degli usi di tutti i giorni, che questo rigore per noi inumano può diventare, se volontariamente assunto, e spontaneamente amato, strumento di liberazione efficacissimo.
Col primo periodo Heian (794-897), in cui la capitale viene portata a Kyoto, si osserva un deciso abbandono degli schemi più antichi e una preferenza per una architettura fatta di materiali nudi, liberamente usati, dove viva appare l'influenza dello zen.
Il tempio di Sambutsuji, a sbalzo sul fianco di una montagna, rappresenta significativamente questa tendenza (fig. 16).
Qui la pratica della meditazione può svolgersi nel più ideale degli ambienti, lontano dalle strade e da ogni influenza disturbatrice.
Parallelamente a questi edifici prosegue la produzione «ufficiale» preferita dalla classe sacerdotale e da certa nobiltà; vi è, in questo orientamento, qualcosa di intellettuale dovuto alla necessità di concretizzare le filosofie e le dottrine provenienti dall'India attraverso la Cina e la Corea.
Forme che derivano dalla stupa e dalla pagoda, benché «nazionalizzate», appartengono a questo periodo che nella sua parte finale, detta Heian Fujiwara, porta alle estreme conseguenze le tendenze indigene che guardano alla nuda semplicità derivante dallo Shinto e dallo Zen.
Grande importanza e sviluppo prendono le lacche, con uso di metalli nobili, applicate su scrigni, oggetti e suppellettili varie.
Il periodo Kamakura (1186-1335) conosce l'evolversi di tre stili: il Tenjikuyo, usato per edifici rifacentisi all'opera del prete Chogen che riprende tecniche costruttive e compositive cinesi; il Wayo che prosegue modalità del periodo Heian, soprattutto in relazione alle forme derivanti dall'esoterismo buddhista, e il Karayo, che opera secondo i dettami dello zen interpretato rigidamente, come mostra la fredda simmetria delle sue realizzazioni. Ma questa rigidità, non confacendosi alla dinamicità tipica dello zen, il quale predica l'adozione di uno spirito di adattamento alle cose che continuamente mutano, viene presto abbandonata e l'arte presenta forme più libere, decise e scattanti. Viene a prevalere il gusto per l'essenziale e il funzionale. Successivamente gli stili Wayo e Karayo, fondendosi, dettero i modelli per tutta l'arte giapponese fino ai nostri giorni.
Durante questo periodo prese forma l'architettura domestica quale noi la conosciamo attraverso la letteratura e, soprattutto, il cinema. Modulata sulle dimensioni del tatami, a sua volta proporzionato in base alle misure dell'uomo, costruita secondo un metodo di prefabbricazione sorprendentemente efficace e «moderno», vide lo svilupparsi del tokonoma, recesso dove si espongono dipinti, ceramiche e ikebana; dello shoin, vano per studio con un tavolo, sporgente sulla veranda e illuminato da una finestra shoji, grata scorrevole rivestita di carta semilucida. Altri elementi sono il tana, serie di armadietti a muro, a giorno o sportellati, e il jodan, pedana centrale che definisce la parte più importante della casa, detta odonoma.
Una dettagliata descrizione della casa giapponese nello stile detto Shoin, nel suo impianto planivolumetrico, negli spazi interni che determina e nei suoi rapporti con l'esterno, ci è stata offerta in modo eccellente da Pier Carlo Righetti (La Casa Giapponese - Spirito del Giappone, Anno III n. 3).
Con il periodo Muromachi (1336-1573) la produzione artistica esce dal chiuso dei templi per interessare in modo più diretto la vita degli shogun e subito dopo le classi inferiori, che vedono aprirsi anche per loro le porte delle case da tè e del teatro tradizionale No. Questo periodo vede l'impoverirsi del potere della nobiltà a vantaggio della potenza militare dei samurai, già molto alta nel precedente periodo. Ne consegue un impoverimento del cerimoniale ufficiale e una riduzione delle dimensioni dei palazzi e dei templi.
La casa del samurai, dove l'uso del fusuma, il caratteristico tramezzo scorrevole, si generalizza e serve, tra l'altro, per ricavare e proteggere la kaisho, o «stanza dei colloqui», dove il guerriero sostava con gli amici, si diffonde per tutto il paese. Con l'aumentare della sua importanza sociale e politica il samurai orienta le sue scelte verso un'arte che, pur contenendo ancora la sobria linearità del periodo precedente, diviene però colma di raffinata eleganza. Le valenze simboliche, esoteriche e iniziatiche, sempre presenti nell'arte giapponese, prendono ora un tono di calma, cosciente compostezza che la pone su altissimi livelli estetici.
Anche il tempio zen, per la preferenza accordata dalla casta militare al modo di essere che esso rappresenta, si sviluppa in ogni luogo. Lo stile proprio a questi edifici, detto Kara, è presto imitato dai templi buddhisti. Caratteristico è l'uso abbondante di sculture sia all'interno che all'esterno delle costruzioni sacre.
Eccezionale importanza assume ora il giardino, che si arricchisce di significati eccezionali: nato durante il periodo Heian, era in declino finché la setta zen, in conformità con la propria concezione della natura, lo recuperò per portarlo in ogni tempio, poi in ogni abitazione, patrizia e popolare, dell'Impero