Origines
L'architettura giapponese
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Osvaldo Lilliu ci ha recentemente lasciato, dopo una lunga vita dedicata all'arte in ogni suo aspetto. Fu uno dei pionieri dell'aikido in Italia e dopo il suo ritorno alla Sardegna fu una figura di spicco nello sviluppo a Cagliari di questa arte apparentemente lontana. Sviluppo importante che attirò l'attenzione di Hosokawa sensei, al punto di voler avere là il suo dojo e la sua dimora,
La collaborazione di Osvaldo Lilliu alla conoscenza e allo studio della cultura tradizionale giapponese, non limitata alla sola architettura che era il suo pane quotidiano, iniziò nel 1976 con un articolo intitolato appunto L'architettura giapponese, apparso sul periodico Spirito del Giappone edito dall'Aikikai d'Italia, e si dimostrò negli anni seguenti sempre più importante e preziosa. Molti anni dopo, eravamo già nel XXI secolo, lo scrivente che già avvertiva un moto di nostalgia verso quegli appassionanti quanto rigorosi articoli, venne contattato da Osvaldo Lilliu che desiderava riprendere la sua collaborazione, interrotta per ragioni a me sconosciute.
Ma credo semplicemente perché nessuno ebbe la presenza, appunto, di spirito di chiederglielo. Cessate infatti le pubblicazioni di Spirito del Giappone all'inizio degli anni 80 i contatti con molti collaboratori si affievolirono e poi persero. Ma con Osvaldo ripresero, anche se tardivamente, e i suoi contributi apparvero di nuovo, sulla rivista Aikido.
E' giusto, è doveroso riprenderli e riproporli, in onore dell'autore ma anche perché il rigore già menzionato, la profondità di analisi e la scorrevolezza di esposizione di Osvaldo Lilliu sono tuttora preziosi: altri suoi articoli, libri, nonché tracce della sua opera di operatore culturale sono facilmente reperibili.
Il primo articolo che propongo non ha subito alcuna variazione nel testo, salvo la correzione di una manciata di refusi.
Tenga presente il lettore, ove rimanga perplesso dalla translitterazione di alcuni termini giapponesi, che quasi nessuna tipografia all'epoca disponeva dei caratteri in piombo con gli opportuni segni diacritici, e tenga conto che il reperimento delle necessarie immagini era difficoltoso e la resa tipografica limitata costringeva spesso a sostituire le foto con disegni al tratto.
Negli articoli di Osvaldo credo compaiano soprattutto suoi disegni. Si è tentato di rispettare per quanto possibile l'impaginazione originaria ma spesso non è stato consigliabile o possibile.
Un ringraziamento doveroso va ai familiari, che hanno acconsentito alla ripubblicazione di questo materiale. Ci auguriamo si possa continuare dopo questo inizio.
Inizio che costituisce in realtà il secondo articolo pubblicato da Lilliu: dopo avere esposto i principi essenziali della architettura giapponese, li mette a confronto con quelli di altre grandi civiltà del passato svelandone le affinità e l'appartenenza a una matrice comune, universale.
Come forse solo lui forse sapeva fare: ma ha tracciato una strada, ha dimostrato che è possibile percorrerla
P.B.
Considerazioni generali e cenni storici sull'Architettura giapponese
di Osvaldo Lilliu
Come tutte le forme artistiche nate in tempi molto antichi, l'architettura giapponese è l'espressione visibile di leggi oggettive, o meglio, il risultato dello sforzo immane di approssimazione che, con costanza e generosità gli autori hanno compiuto per interpretare, conoscere e infine rappresentare in qualche modo queste leggi.
Si tratta infatti di tradurre in forme sensibili verità che travalicano le normali dimensioni spazio-temporali entro le quali l'uomo può normalmente agire. Evidentemente è impossibile sperare di realizzare appieno questo compito, data la contraddizione di fondo contenuta nella premessa; ma proprio da questa dicotomia di livelli, che rende vana ogni speranza di ottenere l'esatta rappresentazione dell'assoluto, nasce il desiderio e la possibilità di un avvicinamento.
E' come una sfida lanciata dallo spirito all'uomo, che la raccoglie avventurandosi in una lotta immane, a volte titanica, a volte disperata, raramente premiata dalla vittoria, ma che non può non essere combattuta, rappresentando l'unica via aperta verso modi di essere dove ingiustizia,' sofferenza, morte, possano venire superati e dimenticati. E, poiché si tratta di cancellare le barriere naturali per accedere alle sfere senza confini dell'impossibile, ecco che in aiuto dell'uomo a volte intervengono forze provenienti da squarci aperti nel sipario (cielo, da coelum = celare, nascondere) che separa il terreno dell'infinito.
L'uomo deve però prepararsi duramente a ricevere questi messaggi, sia per non farsi travolgere dalla loro folgorante pericolosità sia, all'opposto, per riconoscerli quando si manifestano sotto la veste degli avvenimenti normali di tutti i giorni.
Le tradizioni hanno sempre conosciuto ed insegnato modi e tecniche per favorire il rivelarsi di queste forze, e regole per dar loro forme che vengono così ad essere insieme specchio del grado di comprensione raggiunto dall'autore e ausilio, per coloro che le osservano, verso la penetrazione dei valori rappresentati. Sono riti, sono duri tirocinii presso scuole e maestri, sono pazienti, lunghissimi periodi di riflessione e meditazione non sempre allietati dal premio delle attese rivelazioni, sono infine improvvise folgorazioni che squassano la coscienza e trasformano un uomo comune in un sapiente.
Il tentativo di tradurre in forme sensibili i ritmi universali diventa così un fatto d'arte. In questo contesto l'estetica, pur raggiungendo quasi sempre valori altissimi, occupa tuttavia un posto affatto secondario, non essendo per nulla lo scopo della ricerca. Questa, se ben condotta, porterà indubbiamente alla produzione di forme armoniche e piacevoli, che però, in ogni caso, non saranno mai fini a se stesse.
Vista sotto questo aspetto, la storia dell'arte diventa non già la storia della evoluzione del gusto e degli stili sotto la spinta di fattori politici, economici, sociali, religiosi, culturali in genere, ma il racconto di un tentativo di approssimazione ad un modello ideale, eternamente immobile, infinitamente distante. E' un carosello di sforzi, che si ripete costantemente in ogni luogo e in ogni tempo.
Sempre diversi sono i risultati formali, immagini fedeli del mutevole animo umano quale è nella realtà del momento, sempre analoghi, in quanto riflesso di una sola, immutabile verità.
Così vediamo che, sorprendentemente, forme quasi uguali, tanto più vicine fra loro quanto più ridotte all'essenziale, appaiono in ogni parte del mondo a meraviglia degli antropologhi che spesso non sanno spiegare razionalmente tanta concordanza di segni e di significati in genti che, sicuramente, sono estranee per stirpe e cultura, geograficamente e cronologicamente lontane fra loro.
In un contesto di così ampia portata va situata la vicenda della civiltà giapponese che, come tutte le civiltà tradizionali, porta in sé valori che trascendono la mera portata storica in virtù dei significati universali che contengono ed esprimono. E, se per civiltà si intende l'intera gamma delle espressioni di un popolo, l'arte, e in particolare l'architettura, si situano con perfetta coerenza entro, questo insieme di manifestazioni.
La storia giapponese viene comunemente suddivisa, per comodità di studio e per reali peculiarità intrinseche, in vari periodi. Ciascuno di questi è riconoscibile perché caratterizzato dal prevalere, di volta in volta, di alcuni aspetti dell'anima di quel popolo, su altri che, benché presenti, paiono come assopiti; una piena conoscenza dell'intera vicenda può allora venirci solo da una visione in prospettiva entro la quale si armonizza una sorprendente fantasmagoria di forme e colori in un quadro tanto vario quanto equilibrato.
Appare ora opportuno accennare ai periodi nei quali è suddivisa la storia del Giappone indicando, per ciascuno di essi, le caratteristiche più salienti dell'architettura. Vedremo così come, in linea generale, tali variazioni non siano altro che adattamenti dell'anima di un popolo che, pur mutando, si sforza di restare fedele a modelli in realtà mai rinnegati ma sempre riconsiderati alla luce di nuovi stati d'animo ed esperienze.
Il più antico di questi periodi è caratterizzato dalla civiltà degli Jomon, gente dalla cultura litica, che viveva in capanne primitive erette a coprire lo spazio abitato, scavato nel terreno (fìg. 1).
Queste abitazioni si trovano di solito sulle alture e, in genere, in luoghi difendibili. Spesso la copertura della casa era sostenuta da un palo centrale, ed aveva alla sommità un foro che consentiva la fuoruscita del fumo. L'uso di porre il fuoco al centro della stanza, sovrastato da una apertura, nonché quello di far attraversare l'edificio da un elemento verticale, sono diffusi in molti luoghi, ed hanno significati universali ben noti agli antropologhi e agli studiosi di scienza delle religioni. Anche in Europa questi schemi sono presenti, sia nella casa nordica che nelle aree più meridionali; li troviamo, per esempio, nelle grandi architetture romane (l'occhio della volta del Pantheon) o in quelle tombali dell'Etruria (il pilastro centrale sostenente la volta falsa della tomba di Casale Marittimo presso Volterra, e molte altre). La casa greca, romana, e in genere quella mediterranea, riproducono in pietra o in mattoni quella nordica. Così è anche per i templi.
NOTA: Oggi reperire una immagine o inseririvi un retino di sfondo, come visibile nella figura 1, è questione di un attimo.
In passato retini, titoli, simboli e altro ancora venivano aggiunti alle immagini usando librerie autoadesive trasferibili, come vediamo sopra. Il tutto veniva poi fotogratato in tipografia per ricavarne una matrice in piombo che come quelle dei testi veniva inchiostrata per essere poi pressata sulla pubblicazione imprimendovi testo e immagini.
Per contro la figura a fianco, che rappresnta la struttura di una abitazione jomon, è stata trovata su internet in 0,44 secondi, già pronta all'uso.
Come schema generale una costruzione è tradizionalmente considerata formata da tre parti: il pavimento, il volume abitato e la copertura.
Il primo è connesso alla terra attraverso la struttura delle fondazioni, e la simboleggia chiaramente; il secondo rappresenta il piano concreto della manifestazione, il mondo dell'uomo e di tutti gli esseri viventi. La terza è il cielo. Il foro sul soffitto pone in comunicazione con le divinità supere. Il fumo che sale rappresenta le offerte, cosicché ogni pasto diventa un rito e un sacrificio, mentre la pioggia che scende è la grazia e la benevolenza divina che viene a consolare e a portare doni celesti. Il palo che unisce cielo e terra, indica, fra l'altro, le possibilità di ascesa o di perdita riservate all'uomo, la sua libertà, la sua via.
Del tutto opposta, la concezione costruttiva del popolo Yayoi che succedette agli Jomon: sono capanne su palafitte, localizzate in pianura e in località adatte ad attività agricole (fig. 2).
Senza escludere le motivazioni di carattere storico, quali necessità di difesa o isolamento da terreni umidi, l'uso di staccare la casa da terra mediante pali può indicare un desiderio di miglioramento spirituale e di avvicinamento ad una sfera più pura. Varcata la soglia della preistoria, eccoci a considerare rapidamente i vari periodi in cui può suddividersi la storia dell'architettura giapponese.
Periodo Joko o Yamato (circa 550-644). Fin dall'inizio il Giappone era governato da potenti famiglie che risiedevano in distretti ben definiti e che, almeno teoricamente, riconoscevano l'autorità dell'Imperatore. Passerà però molto tempo prima che il Paese raggiunga una coscienza unitaria e un organico assetto politico.
L'architettura di questo periodo ci presenta modellini di case ha-niwa in argilla che, al primitivo nucleo rettangolare, aggiungono appendici sui lati (forse magazzini); il segno che ci fa riconoscere le case nobili dalle altre è costituito da cilindri lignei incrociantisi sul tetto, detti katsuogi. Col tempo questi elementi, in origine funzionali (erano i terminali dei pali posti a sostegno della trave di colmo, che si incrociavano al di sopra di questa), divennero decorativi e furono riservati alle dimore imperiali e ai templi shinto, dei quali divennero gli emblemi riconosciuti. (fig. 3a)
Le sepolture imperiali dell'epoca erano, al confronto delle abitazioni, di gran lunga più imponenti: per tutte ci valga da esempio quella dell'imperatore Nintoku (circa 550), lunga quasi 500 metri, con tre fossati intorno e, al centro, un tumulo alto più di 30 metri. Ricco di sculture, vegetazione, opere in muratura, questo manufatto rivela la grande importanza attribuita alla funzione imperiale e al suo significato trascendente ed occulto, più che alla persona fisica del monarca (fig. 3 b). Con l'avvento del buddhismo questa usanza decadde.
Nel periodo yamato si sviluppa l'uso del ferro e del cavallo; il che fa pensare che questa civiltà sia portata da genti arrivate dall'Asia centrale, insediatesi nell'arcipelago dopo aver combattuto e vinto i popoli che l'abitavano al loro arrivo (per esempio gli Ainu), cacciandoli a nord o mescolandosi ad essi. Uno dei fattori più importanti che determinò fin dalle origini il modo di vivere dei Giapponesi, compreso il loro modo di far dell'arte, fu il rapporto cosciente e amoroso con la natura. Dalla preferenza per i materiali naturali alla scelta accurata dei luoghi e dei rapporti estetici fra il naturale e l'artificiale, tutto ci dice di un contatto fidente, rispettoso, devoto.
Già lo shintoismo (= la via degli dèi), questa religione falsamente accusata, spesso, di panteismo, come già molte altre religioni orientali, aveva manifestato la preferenza per quei luoghi che, per il senso di misterioso e di primordiale che da essi emanava, erano ritenuti sacri, abitati cioè dagli dèi.
In questi luoghi terribili il rapporto fra uomo e divinità trovò forma concreta nel santuario (p. es. Ise, fig. 4), architettura pura come un cristallo, destinata ad essere demolita e rifatta nelle stesse forme ogni vent'anni, forse a dimostrare che nulla di materiale può essere considerato eterno, eterna essendo solo la Verità immobile da cui tutte le cose derivano senza mai poterla riprodurre nella sua totalità.
Questo senso ciclico, poi, del morire e del rinascere, non dovrebbe esser nuovo per noi Occidentali, eredi di dottrine altrettanto antiche quanto concordanti, dal culto di Osiride a quello di Zagreus, dai cicli ctonici e agrari a quello del Cristo immolato e risorto.
Originariamente il culto shinto era praticato all'aperto, dove la comunione con la natura è immediata e la presenza del sacro più sensibile; successivamente si recinse il luogo con filari vegetali o lo si delimitò con corde stese fra quattro pali.
L'accesso a quest'area era riservato agli iniziati, come poi sarà per quello al tempio. Entrare equivaleva a lasciare un luogo profano, dominato dal disordine, per immergersi in una dimensione qualificata, spirituale, che solo i puri potevano conoscere senza subirne contraccolpi negativi. Le forze infere non potevano valicare il sacro confine entro il quale tutto era in armonia col resto del creato.
Durante il periodo Asuka (552-646) i vari staterelli alleati che costituivano, con la più potente casa imperiale, una specie di agglomerato politico, si unirono per dar volto ad un Giappone centralizzato. Le abitazioni, anche quelle della nobiltà di rango più alto, sono ancora relativamente piccole e vengono frequentemente demolite e rifatte.
La vita è ancora austera, spartana. I templi buddhisti, al contrario, sotto la spinta delle dottrine continentali, acquistano imponenza e prestigio; lo stile è quello cinese e coreano.
Non restano oggi, purtroppo, che modesti esempi di quel periodo: la Sala principale, la Pagoda a cinque piani del Tempio di Hokkì e pochi altri modesti residui.
Il tempio buddhìsta di questo periodo è ricco di allusioni esoteriche e simboliche di ogni specie; dalle proporzioni alla connessione dei diversi volumi; dal cromatismo alle decorazioni, alle suppellettili, tutto tende a favorire una stretta fusione fra la mente del monaco e la mente universale. Buddha è colui che guarisce da tutte le malattie, ma soprattutto dalla più grave di esse: l'ignoranza, dalla quale le altre derivano.
Rappresentato senza ornamenti, esternamente povero come il monaco, egli è il modello più alto di vita spirituale. Allo stesso modo, l'architettura del tempio, nata in India per conservare le reliquie dell'Illuminato, ricorda l'ingresso nel nirvana.
Le fasi della salita per accedervi e del succedersi degli ambienti, fino alla sala centrale con la grande statua, rappresentano un invito all'ascesi e alla penetrazione interiore, fino alla scoperta dell'uomo totale, seme nudo e splendente della verità assoluta.
Al di sopra del vertice più alto del tempio, sorge l'asse che unisce al cielo, ornato di nove anelli, carico di tensioni spirituali, magica scala di cui gli esseri superiori si servono per venire a visitare gli uomini. (fig. 5)
Il periodo Asuka vede anche lo svilupparsi dell'architettura più tipicamente autoctona: quella dei templi shinto, già noti nel periodo Yamato.
Le colonne con la base interrata e la parte superiore a sostegno della copertura, sono fra gli elementi più caratteristici di questa architettura.
Nelle sue linee il tempio shinto sviluppa l'antico modello agreste Yayoi, col tipico pavimento sollevato da terra, balconate a sbalzo, pilastri di sostegno e pannelli di chiusura. (fig. 6)
Nara è il nome del periodo che, attraverso due sottoperiodi - l'antico Hakuo e il Tem-pyo - va dal 645 al 793.
In questo momento i templi, pur se lievemente modificati nelle dimensioni e nell'ornamentazione, ricalcano i modelli shintoisti precedenti.
Grande rilievo assume l'influsso delle culture cinese e coreana; in particolare vennero adottati schemi planimetrici appartenenti al palazzo imperiale, all'urbanistica della capitale cinese e alla suddivisione di vasti territori.
(figg. 7, 8, 9, 10).
Dopo una guerra civile, nel 587 si assiste all'affermazione sempre più accentuata del Buddhismo, grazie alla presa che esso ebbe sull'aristocrazia guerriera e all'apporto culturale coreano e cinese. E' assai probabile che il Buddhismo, col suo insegnamento teso a mostrare come tutto al mondo sia illusorio e passeggero, frutto di ignoranza e perciò fonte di sofferenza, sia apparso un meraviglioso sostegno per uomini avvezzi a rischiare continuamente la propria vita, assicurando per contro, per chi sappia distaccarsi da ogni contingenza terrena, la possibilità di una persistenza cosciente in una sfera incorruttibile e senza tempo.
Uno degli esempi più significativi di architettura di questo periodo è il Kondo (fig. 11). Qui troviamo elementi che stranamente ci ricordano gli edifici sacri greci, e vi è chi afferma che, effettivamente, essi siano avventurosamente arrivati in Giappone attraverso le produzioni indiane del Gandhara. Si tratta dell'entasi delle colonne e del soffitto a cassettoni sotto il quale la statua di Vairocana Buddha troneggia imponente a tutt'altezza
(figg. 12, 13).
Questo periodo è così caratterizzato da un'architettura grandiosa, monumentale; sale dalle luci eccezionali, statue gigantesche, pilastrate che si inseguono in file ordinate, rappresentano l'esaltazione di un cerimoniale di corte e liturgico pervenuto a livelli altissimi.
(figg. 14, 15)
Il tempio buddhista, con l'ingresso rivolto a sud, col recinto rettangolo situato lungo l'asse sud-nord, con la pagoda, la Sala del Buddha e quella delle riunioni, poteva prolungarsi all'esterno, verso nord, con altri padiglioni. Presto però si verificò un abbandono della composizione assiale, a provarci come il temperamento dei Giapponesi li portasse verso scelte autonome e originali.
La preferenza per l'asimmetria, infatti, denota che ci si è riservata un'ampia possibilità di scelta, laddove la simmetria non lascia posto che per una sola soluzióne. Dunque, affrancamento da schemi estetici, etici, religiosi, filosofici.
Ciononostante, la tradizione è seguita, in Giappone, con rigore a volte parossistico, fino a dettagli estremamente sottili e talvolta pignoleschi.
Eppure proprio questo Giappone, che a noi può apparire assurdamente rigido, è capace nello stesso tempo di mostrarci, attraverso la delicatezza della sua letteratura, della pittura, degli usi di tutti i giorni, che questo rigore per noi inumano può diventare, se volontariamente assunto, e spontaneamente amato, strumento di liberazione efficacissimo.
Col primo periodo Heian (794-897), in cui la capitale viene portata a Kyoto, si osserva un deciso abbandono degli schemi più antichi e una preferenza per una architettura fatta di materiali nudi, liberamente usati, dove viva appare l'influenza dello zen.
Il tempio di Sambutsuji, a sbalzo sul fianco di una montagna, rappresenta significativamente questa tendenza (fig. 16).
Qui la pratica della meditazione può svolgersi nel più ideale degli ambienti, lontano dalle strade e da ogni influenza disturbatrice.
Parallelamente a questi edifici prosegue la produzione «ufficiale» preferita dalla classe sacerdotale e da certa nobiltà; vi è, in questo orientamento, qualcosa di intellettuale dovuto alla necessità di concretizzare le filosofie e le dottrine provenienti dall'India attraverso la Cina e la Corea.
Forme che derivano dalla stupa e dalla pagoda, benché «nazionalizzate», appartengono a questo periodo che nella sua parte finale, detta Heian Fujiwara, porta alle estreme conseguenze le tendenze indigene che guardano alla nuda semplicità derivante dallo Shinto e dallo Zen.
Grande importanza e sviluppo prendono le lacche, con uso di metalli nobili, applicate su scrigni, oggetti e suppellettili varie.
Il periodo Kamakura (1186-1335) conosce l'evolversi di tre stili: il Tenjikuyo, usato per edifici rifacentisi all'opera del prete Chogen che riprende tecniche costruttive e compositive cinesi; il Wayo che prosegue modalità del periodo Heian, soprattutto in relazione alle forme derivanti dall'esoterismo buddhista, e il Karayo, che opera secondo i dettami dello zen interpretato rigidamente, come mostra la fredda simmetria delle sue realizzazioni. Ma questa rigidità, non confacendosi alla dinamicità tipica dello zen, il quale predica l'adozione di uno spirito di adattamento alle cose che continuamente mutano, viene presto abbandonata e l'arte presenta forme più libere, decise e scattanti. Viene a prevalere il gusto per l'essenziale e il funzionale. Successivamente gli stili Wayo e Karayo, fondendosi, dettero i modelli per tutta l'arte giapponese fino ai nostri giorni.
Durante questo periodo prese forma l'architettura domestica quale noi la conosciamo attraverso la letteratura e, soprattutto, il cinema. Modulata sulle dimensioni del tatami, a sua volta proporzionato in base alle misure dell'uomo, costruita secondo un metodo di prefabbricazione sorprendentemente efficace e «moderno», vide lo svilupparsi del tokonoma, recesso dove si espongono dipinti, ceramiche e ikebana; dello shoin, vano per studio con un tavolo, sporgente sulla veranda e illuminato da una finestra shoji, grata scorrevole rivestita di carta semilucida. Altri elementi sono il tana, serie di armadietti a muro, a giorno o sportellati, e il jodan, pedana centrale che definisce la parte più importante della casa, detta odonoma.
Una dettagliata descrizione della casa giapponese nello stile detto Shoin, nel suo impianto planivolumetrico, negli spazi interni che determina e nei suoi rapporti con l'esterno, ci è stata offerta in modo eccellente da Pier Carlo Righetti (La Casa Giapponese - Spirito del Giappone, Anno III n. 3).
Con il periodo Muromachi (1336-1573) la produzione artistica esce dal chiuso dei templi per interessare in modo più diretto la vita degli shogun e subito dopo le classi inferiori, che vedono aprirsi anche per loro le porte delle case da tè e del teatro tradizionale No. Questo periodo vede l'impoverirsi del potere della nobiltà a vantaggio della potenza militare dei samurai, già molto alta nel precedente periodo. Ne consegue un impoverimento del cerimoniale ufficiale e una riduzione delle dimensioni dei palazzi e dei templi.
La casa del samurai, dove l'uso del fusuma, il caratteristico tramezzo scorrevole, si generalizza e serve, tra l'altro, per ricavare e proteggere la kaisho, o «stanza dei colloqui», dove il guerriero sostava con gli amici, si diffonde per tutto il paese. Con l'aumentare della sua importanza sociale e politica il samurai orienta le sue scelte verso un'arte che, pur contenendo ancora la sobria linearità del periodo precedente, diviene però colma di raffinata eleganza. Le valenze simboliche, esoteriche e iniziatiche, sempre presenti nell'arte giapponese, prendono ora un tono di calma, cosciente compostezza che la pone su altissimi livelli estetici.
Anche il tempio zen, per la preferenza accordata dalla casta militare al modo di essere che esso rappresenta, si sviluppa in ogni luogo. Lo stile proprio a questi edifici, detto Kara, è presto imitato dai templi buddhisti. Caratteristico è l'uso abbondante di sculture sia all'interno che all'esterno delle costruzioni sacre.
Eccezionale importanza assume ora il giardino, che si arricchisce di significati eccezionali: nato durante il periodo Heian, era in declino finché la setta zen, in conformità con la propria concezione della natura, lo recuperò per portarlo in ogni tempio, poi in ogni abitazione, patrizia e popolare, dell'Impero
Questa straordinaria creazione, ci sorprende con i suoi elementi compositivi ad un tempo vari e rigorosamente fissati dalla tradizione, quali la lanterna, un tempo metallica poi in pietra, i viali diversamente lastricati, la varietà delle fioriture, le calcolate prospettive ottiche. Elementi fondamentali sono l'acqua, il cielo, il monte, la pianura. Quelli stessi che ritroviamo nell'ikebana, nella pittura, negli abiti, nel teatro, con analoghi significati. Importante è sapere che ogni creazione artistica, qualunque fosse il suo specifico campo di applicazione, era considerata non tanto per il suo pregio estetico quanto come una via capace di condurre alla scoperta del mistero esistenziale nascosto al di là dalle apparenze formali.
Il periodo successivo fu piuttosto breve (1573-1614). Detto Momo-yama, fu caratterizzato da guerre intestine e da continui disordini. Si accentuò la tendenza a costruire castelli e fortezze a difesa di questo o quel feudo. Mercanti portoghesi fecero conoscere il fucile e per conseguenza l'architettura militare si consolidò, venne circondata da spesse mura, fossati, torri, assumendo aspetti massicci a volte simili a quelli di certi castelli occidentali. Depositi, alloggi, il teatro, corpi di guardia, uffici, giardini, contribuirono a determinare l'eccezionale sviluppo di queste costruzioni, vere e proprie cittadelle, che presto assursero a simbolo di potere, porto sicuro per gli amici, terribile monito per i nemici (fig. 19).
Anche il padiglione per la cerimonia del tè, divenuta ormai raffinatissima arte, raggiunge il suo fulgore estetico. Nuovi elementi si aggiungono a quelli tradizionali: il cha-seki (sala da tè), capanna rustica appartata, unita agli altri edifici dal roji, stretto viottolo di tipo campestre.
Caratteristico è l'uso di applicare alle pareti esterne di edifici importanti foglioline d'oro fino a ricoprirli completamente, ottenendo straordinari effetti estetici e forti tensioni spirituali.
Edo, o Yedo, è detto il lungo periodo che va dal 1616 al 1867. La riorganizzazione dello Stato sotto la dinastia dei Tokugawa, che si ispirò per questo al confucianesimo, fu decisamente di tipo feudale. La capitale viene spostata a Tokyo (Edo).
La cultura nazionale si diffuse capillarmente nel paese, che conobbe un periodo di relativa pace; i castelli furono ridotti nelle dimensioni e in parte abbandonati, cosicché oggi non ci rimane pressoché nulla del periodo precedente. In compenso sorsero un pò dappertutto le joka-machi, città con piccolo castello al centro, dove popolo e signori vivevano a stretto contatto.
Generalmente l'architettura domestica subì un impoverimento fino a quando, dopo il 1703, la classe mercantile, ormai detentrice del potere economico, cominciò ad erigere abitazioni sempre più ampie, sullo stile di quelle dell'aristocrazia guerriera. Caratteristico di questo tipo di dimora è l'importanza sempre più grande data all'articolazione e alla decorazione degli interni, in contrasto con la nuda semplicità degli esterni.
Anche la casa da tè diviene, in maniera se possibile più spinta di quanto sia stata fin qui, luogo di raffinato godimento spirituale, soprattutto ad opera dell'architetto Kobori che elabora numerosi progetti di edifici di questo genere.
L'avvento della dinastia Meiji rappresenta l'abbandono della rigida politica isolazionista e l'apertura agli influssi provenienti dall'Occidente. Architetti stranieri realizzarono a Tokyo e Yokohama opere in mattoni, intonaci e marmi, con manti di tegole all'europea. Un architetto inglese, Josiah Conder, fu ammesso ad insegnare all'università Kobu dove nel 1879 si laureò il primo studente che aveva seguito un metodo di studio occidentale. Di quell'epoca rimane la chiesa di S. Nicola a Tokyo, del 1891.
Anche il periodo Taisho (1913-1926) realizzò opere in stile occidentale, specialmente edifici pubblici. L'applicazione del cemento armato e dell'acciaio, già introdotti nel precedente periodo, subirono un grande sviluppo, con la partecipazione sempre più intensa di architetti giapponesi finché, nel 1920-30, i grandi maestri dell'Occidente, Wryght, Le Corbusier, Gropius, Mies Van der Rohe, portarono in Giappone la loro esperienza determinante, ricevendo in cambio tutta una serie di influssi culturali che, trasferiti in Occidente, contribuirono in modo forse per noi inaspettato a dar vita e forma alle correnti razionaliste e organiciste delle moderne architetture americana ed europea.
Inizia così, con lo studio e l'esportazione di forme architettoniche antichissime, un momento determinante per la storia dell'arte occidentale. Ma questo non è che l'avvio di un processo importante per l'intera evoluzione spirituale dell'umanità, di cui siamo ancor oggi testimoni e partecipi: con le forme si trasmettono indubbiamente i significati che depositati nell'inconscio, valgono da sustrato pronto a fermentare allorché nuove idee appartenenti a quello stesso mondo continuano a depositarsi fino a che un ribollire della coscienza li riporta alla superficie. E' quanto accade in Occidente in questo secolo, e oggi abbiamo modo di valutare i primi frutti di quésta maturazione, proprio osservando la fortuna che conoscono in tutto il mondo le dottrine orientali in genere e lo zen in particolare.
Le ultime tendenze architettoniche giapponesi rappresentano uno sforzo, spesso coronato da successo, di fondere passato e presente in una architettura fatta di rapporti spaziali, di volumi che si sposano fra loro e con il libero cielo, secondo ritmi antichi rivissuti alla luce delle odierne tecnologie. Le linee di espansione della nuova Tokyo, programmate secondo assi ortogonali che ricordano le maglie delle antiche città e degli antichi palazzi appartengono indubbiamente ad una continuità mai interrotta; così è per le curve sapientemente tese da Kenzo Tange nei suoi edifici più riusciti
(figg. 20, 21, 22, 23).
Sono, tutti questi, esempi di come anche gli attuali criteri estetici possano trovare forza e riscontro, se basati sulle tradizioni culturali più remote assunte con spirito libero e vitale, contrariamente da come avvenuto- in Occidente per i vari tentativi di recupero del passato, dal Neoclassico allo Storicismo, alle riprese autoritarie italiane, tedesche e russe di questo secolo.
L'importante è che tali spinte vengano innestate in ambienti umani ancora tanto genuini da poter rischiare di immergersi nella civiltà massificata fruendo di tutti i dati che essa fornisce senza tuttavia cedere nulla di quella preziosa gemma che è racchiusa nella coscienza di ogni popolo.
Queste capacità, che i Giapponesi hanno dimostrato di possedere in alto grado, ci si rivela, integra, proprio attraverso le forme che l'arte, e soprattutto l'architettura moderna, sanno creare nei loro momenti più felici.
NOTE
Fig. 1 - Forme della civiltà Jomon
La casa scavata nella terra equivale forse ad una presa di possesso, oppure ad un desiderio ancestrale di ritorno alla felicità e alla sicurezza di una lontana età dell'oro? E' arduo rispondere, né le misteriose statuette sembrano aiutarci. Possiamo solo constatare che le loro linee rigonfie, quasi femminee, sono forme yin: appartengono forse ad una civiltà di tipo matriarcale? Anche i quattro pilastri all'interno della casa, dunque dell'area sacra, dovrebbero dirci qualcosa; in molte architetture tradizionali la copertura è assimilata al cielo ed è collegata alla terra tramite quattro sostegni che sono gli stessi su cui è fondato l'intero universo. Osservare inoltre se questa civiltà praticava il rito della inumazione o quello della cremazione potrebbe fornirci in. dicazioni utili per la sua comprensione.
Fig. 2: Civiltà Yayoi, schemi di antiche capanne
Qui la casa si stacca dal suolo per elevarsi al di sopra di esso, su palafitte. I sostegni principali sono sempre quattro, tuttavia la tensione ideale che li anima è affatto nuova. La casa giapponese avrà sempre più o meno accentuato questo carattere di elevazione che, sicuramente, corrisponde ad un intimo desiderio naturale di ascesa spirituale.
Fig. 3: a) Casa Haniwa, modellino in argilla; b) Naiku di Ise, retro dello Shoden
Troviamo qui il tipo già definito della casa giapponese quale si svilupperà fino ad oggi, sia pure attraverso modalità e « stili » diversi: il piano sollevato da terra rimane, quasi a identificare l'intera dimora con un altare. La modularità crea un ritmo che facilita il compito dei costruttori e inserisce la casa in un gioco armonico di portata più vasta trasferendo ad essa, per analogia, significati emblematici di valore universale.
Fig. 4: Dintorni di Osaka, tomba dell'imperatore Nintoku vista dall'alto, V sec.
Le grandi sepolture imperiali rappresentano, fin dai tempi più antichi, il simbolo dell'intera nazione. In esse si riassume, come già nelle grandi realizzazioni sepolcrali precolombiane, egizie, romane per i rispettivi popoli, l'intera anima del popolo del Sol Levante in tutte le sue più riposte sfumature, proiezione esteriore della funzione imperiale nella quale trovano' sostegno e giustificazione.
Fig. 5: Pagoda a cinque piani di Horyuji
Complicate simbologie cosmologiche, riferimenti all'occulto e all'esoterico, tentativi di razionalizzare il trascendente, si incontrano spesso laddove le forme si esasperano e si esaltano nella speranza, sempre delusa e sempre rin. novata, di rendere facile ed accessibile quanto ordinariamente è chiuso ed oscuro.
Fig. 6: Santuario di Shimmeigu
Il santuario ha, in genere, la stessa forma della casa; anche le sue dimensioni sono modeste. Ma qual'è la differenza fra i due organismi? Molto meno di quanto comunemente si creda. Entrambi hanno in comune il carattere sacro; entrambi svolgono la stessa funzione propizia-trice: quella di legare il terreno al divino, o meglio: quella di mostrare come fra questi termini non vi sia altra differenza che quella di una coscienza più. o meno sviluppata.
Fig. 7: a) Planimetria dell'antica Kyoto; b) del recinto imperiale; e) del palazzo imperiale; d) del palazzo imperiale cinese Ming Tang
Popoli dal forte temperamento religioso, naturalmente disposti alla ricerca e alla comprensione dei ritmi universali e a riconoscere, dietro questi, l'azione di una legge oggettiva da cui tutto dipende, creano sempre forme che sono rigorose espressioni di ordine, immagini compiute del cosmo, e ciò è vero in ogni angolo del mondo e in ogni tempo.
Fig. 8: Palazzo imperiale di Kyoto: Shishinden
Le rigide regole compositive delle planimetrie viste in precedenza si ritrovano applicate, con mirabile coerenza, nelle architetture, cosicché le tre dimensioni vengono in. quadrate in una visione globale che tutto comprende. Ma proprio da questa armonia nasce il senso di liberazione che fa superare le rigide maglie imposte e l'arte ci rivela, proprio nello sviluppo dei volumi, che l'intuizione ha felicemente risolto ogni legame per trovare nell'equilibrio delle linee e dei rapporti la chiara visione rivelatrice tanto attesa.
Fig. 9: Esempi di antiche città pianificate: a) Priene; b) Mileto; c) Verona
In questi esempi dell'urbanistica greca e romana ritroviamo applicati gli stessi concetti compositivi già osservati. E' evidente che solo la conoscenza di sensi universali può consentire che forme tanto simili possano nascere in climi culturali tanto diversi. Troviamo qui applicata la stessa magia da cui scaturì il gioco degli scacchi: il senso del limite e della libertà, della misura e della scelta, del dominio e dell'amore per la natura, si accompagnano e si esaltano a vicenda per darci queste città tanto composte quanto umane.
Fig. 10: Composizioni assiali dell'antichità: a) le piramidi, egizie di Gizah; b) Theotihuàcan, Perù
L'orientamento rituale degli edifici sacri, di vasti complessi architettonici, di intere città e regioni, corrisponde ad un bisogno innato di avere punti fermi di riferimento spirituale e, nello stesso tempo, aiuta il singolo a trovare nell'intimo la giusta direzione verso la verità.
Fig. 11: a) Prospetto del Kondo di Horyuji; b) antica abitazione sopraelevata
Anche nelle architetture più evolute e raffinate il Giappone conferma la sua prima scelta: pannelli, moduli, ritmi, rapporti, tutto ci dice che si è intrapresa la strada giusta e la si vuol percorrere fino alle conseguenze più estreme, quali che siano gli stili e i dettagli preferiti del momento. E' la stessa legge osservata nella precedente figura che troviamo applicata negli alzati e nei più piccoli dettagli.
Fig. 12: Daibutsuden del Todaiji, iniziato nel 745
Fig. 13: Daibutsuden del Todaiji: il grande Buddha
Fig. 14: Interno del Kondo di Toshodaiji, VIII secolo
La maestosità della statuaria, la ricchezza dei dettagli, i profumi, la penombra, i suoni e le salmodie, tutto contribuisce a creare un'atmosfera mistica e un clima di suggestione talmente intensi, che la dimensione estetica risulta trascesa da questo strano insieme di fattori tanto disparati e tuttavia così concordanti.
Fig. 15: Ricostruzioni di templi greci: a) il Partenone; b) il tempio di Zeus a Olimpia
L'analogia con le illustrazioni precedenti è evidente. Le similitudini non si fermano però alle dimensioni delle immagini divine o all'impostazione architettonica, ma si proiettano nel senso del sacro che aleggia nell'ambiente e che diventa protagonista del dramma che qui si recita.
Fig. 16: Prefettura di Tottori: tempio di Sambutsuji, XII sec.
L'orrido, il lìbero, il solitario, il sereno, il silenzioso, il puro, sono le dimensioni ad un tempo umane e sovrumane, terrene e divine, che si incontrano e si uniscono in certi momenti felici a suggellare intuizioni rapide ed abbaglianti, con forme semplici e cristalline come quelle di questo tempio zen.
Fig. 17
Giardino di Ryoanji, sec. XIV
Lontano da ogni concezione naturalistica, il giardino zen di rocce e sabbia può apparire espressione di un freddo intellettualismo estetizzante. Al contrario, esso rappresenta il plinto dove tutte le opposte tensioni si placano. Scomparso ogni elemento superfluo, restano solo parti cristallizzate di infinito, simboli di realtà metafisiche; l'inesprimibile trova qui così modo di manifestarsi.
Fig. 18
Kyoto, giardino zen
In questi universi in miniatura sono comprese tutte le basi dell'esistenza; l'acqua, la terra, il cielo, il fuoco, rivivono qui, emblematicamente, la loro essenza più vera e sottile. In questa solitudine primordiale, coloro che sanno trovano i sostegni per le meditazioni più profonde, le esperienze più stimolanti, le realizzazioni più certe.
Fig. 19
Esempi di architetture militari: a) castello di Nijo, XVII sec; b) interno del castello di Hikone, sec. XVII
Popolo eminentemente guerriero, il giapponese sa esprimere questa sua tendenza in opere di difesa massicce e terribili senza, tuttavia, rinunciare alla sua più alta aspirazione: quella di realizzare un'opera corale dove giustizia e pace, rispetto del singolo e del collettivo trovino, ad un tempo, le loro più nobili applicazioni.
Fig. 20
Tokyo, particolare del Palazzetto dello Sport. Arch. Kenzo Tange
Fig. 21
Tokyo, vista del Palazzetto dello Sport. Arch. Kenzo Tange
Fig. 22
Tokyo, Cattedrale cattolica di Santa Maria. Arch. Kenzo Tange
Fig. 23
Tokyo, gioco di spazi fra i volumi della Cattedrale cattolica di Santa Maria. Arch. Kenzo Tange
Foto: P.B: