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William Scott Wilson
Il samurai solitario
Miyamoto Musashi
Edizioni Mediterranee, 2011
Questo è il primo testo, perlomeno il primo da noi recensito, della collana Sapere d'Oriente delle Edizioni Mediterranee di cui abbiamo già parlato in un altro articolo, in occasione della presentazione da parte del responsabile delle E.M. e del curatore della collana, Bruno Ballardini.
Si tratta forse di un libro leggermente fuori posto in una collana che ha l'intento di presentare soprattutto i testi classici originali, quelli finora resi inaccessibili allo studioso italiano dalla offerta molto scarsa per non dire inesistente di traduzioni ben fatte.
Non è infatti un testo scritto da uno dei grandi maestri dell'epoca Edo, ma la biografia moderna, scritta da unos studioso occidentale, di un uomo noto soprattutto per le sue gesta di guerriero solitario - come rammenta il titolo - e per avere in punto di morte pubblicato un'opera, Gorin no sho (Libro dei 5 anelli) scritta in punto di morte nel 1645 e che non cessa di far discutere ancora oggi.
Già dal titolo di questo libro possiamo inoltre notare una imprecisione, veniale ma significativa: Miyamoto Musashi era solitario in quanto non era samurai, non essendo al servizio di nessuno. Potremmo casomai chiamarlo Il ronin solitario. Nella seconda parte della sua vita, entrato al servizio della casata Hosokawa di Kyushu, fu invece un samurai a tutti gli effetti ma non fu certamente solitario.
La sua ultima opera è infatti dedicata al primo allievo Magonojo Terao, e la scuola da lui fondata, Hyoho Niten Ichi ryu, è tuttora attiva.
Il libro non è privo di interesse in quanto riporta numerose testimonianze d'epoca e citazioni da altre opere di Musashi non disponibili altrove come le Trentacinque istruzioni sulla strategia e l'opera giovanile - ma probabilmente apocrifa - nota come Lo specchio della via della strategia. Lo possiamo consigliare.
La sua impostazione, non infrequente tra gli studiosi anglosassoni, tuttavia non è condivisibile, o perlomeno non qui: avrebbe forse trovato collocazione migliore in una collana diversa che non quella dedicata ai testi di riferimento.
L'autore infatti rimane in bilico tra la biografia romanzata, "arricchita" quindi di eventi non provati e spesso opinabili, e la ricerca storica ove si presume ci si debba attenere ai fatti provati o perlomeno citati nei documenti.
Forse per una sorta di scrupolo Wilson divide tuttavia nettamente i due approcci. Certamente è meglio così che non trovarli mescolati ad ogni pagina. Ma che senso ha presentare ipotesi appogiate su innumerevoli illazioni per poi in un capitolo successivo dedicato alla analisi constatare che nessuna di esse ha basi veramente solide, quando non è addirittura contraddetta dai documenti storici?
Lo spieghiamo meglio tralasciando i troppo numerosi esempi in cui Wilson spiega cosa Musashi ha forse fatto, forse studiato, forse conosciuto, forse pensato, forse insegnato, citando invece ancora una volta una secolare diatriba: quanto erano lunghe le spade utilizzate da Sasaki Kojiro e Miyamoto Musashi nel loro celeberimo duello, il 16 aprile 1612 nell'isola di Ganryu? Wilson attribuisce a Sasaki l'uso di una spada di oltre 150cm. Ma se diamo credito a Yoshikawa (anche se solo un romanziere, sia pure di fama) si trattava di una spada attribuita a Nagamitsu di Bizen, con nagasa (lunghezza della lama) di 90 cm. Come arriviamo ad aggiungere i 60 cm che mancano per arrivare ad oltre 150?
Musashi avrebbe utilizzato invece un bokken ancora più lungo, da lui stesso ricavato da un remo, nascondendolo fino all'ultimo alla vista di Sasaki per sorprenderlo. L'avrebbe allo scopo tenuto immerso in acqua mentre raggiungeva la riva (e sulla riva?...).
Non si capisce tuttavia come Wilson concili tutte queste fumisterie, non nate da lui beninteso, con quanto cita poco dopo dello stesso Musashi:
Altri stili prediligono la spada lunga. Dal mio punto di vista, questa è una debolezza. La ragione è la seguente: non sapendo come sconfiggere l'avversario in qualsiasi situazione, essi fanno affidamento sulla lunghezza della spada, pensando di poter vincere mantenendo la distanza dal loro avversario. Coloro che preferiscono utilizzare la spada lunga avranno le loro ragioni, ma non si tratta che di argomentazioni cavillose. Dal punto di vista della vera via queste preferenze non possono trovare giustificazione.
Gorin no sho - Kaze no maki (Libro del vento)
Morale della favola? La solita: pretendere di esaurire la tematica della cultura tradizionale giapponese solamente sul tatami è presuntuoso. Occorre studiare, leggere, approfondire. Ma, come al solito, con attenzione e non dando mai nulla per scontato. Quindi, di questo libro diremmo: adelante Pedro, pero juicio.