Nihon!...
Alla ricerca. Del tempo non perduto.
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Una delle possibili chiavi di una ricerca personale nelle radici della cultura giapponese è la visita di alcuni luoghi topici. Va chiarito immediatamente che si tratta di un tentativo non sempre destinato ad andare a buon fine, perché le trasformazioni del territorio nipponico sono state radicali e a volte non rimane più nulla delle vestigia del passato né tantomeno dello spirito dei tempi passati. Ma le eccezioni, per quanto non facili da identificare, non mancano.
Un esempio tipico è il tempio Sanjūsangendō di Kyōto. Viene visitato quotidianamente da stuoli di pellegrini e di semplici turisti, e per molteplici ragioni; innanzitutto è una delle più grandi costruzioni in legno non solo del Giappone ma del mondo intero, essendo la sala principale lunga più di 100 metri, ma soprattutto racchiude al suo interno, nelle 33 navate che gli danno il nome, 1001 raffigurazioni in legno dorato della dea Kannon, interpretazione tipicamente nipponica del Buddha della misericordia, sorvegliate da statue, di dimensioni maggiori, degli dei guardiani.
Il tutto fa da contorno a una scultura centrale di Kannon, assisa mentre le altre sono in piedi, di dimensioni ciclopiche, nell'alcova destinata alle cerimonie ufficiali.
Non è consentito in questo come in molti altri templi scattare foto, l'impressionante immagine dello stuolo di dei che si assiepano al Sanjūsangendō viene dall'opuscolo disponibile presso la libreria del tempio.
Ma altre evocative atmosfere si celano all'esterno del tempio stesso, per quanto appaia lineare, aperto allo sguardo.
Senza apparentemente nulla celare.
Sul lato occidentale dell'edificio, anche se qui si arrestano in sostanza le informazioni e solo altri scarni particolari sono disponibili, nel 1604 Miyamoto Musashi sostenne il suo secondo duello contro la scuola Yoshioka.
Qui affrontò e sconfisse, secondo alcune fonti uccidendolo, Denshishirō Yoshioka.
Esistono Innumerevoli ricostruzioni sceniche, anche sullo schermo, quasi sempre opera di fantasia in quanto non si conoscono particolari sullo svolgimento del duello.
In Duello a Ichijjoji il regista Hiroshi Inagaki ipotizza uno scontro notturno, tra il cadere del nevischio.
Musashi aveva già vinto il capo scuola Seijūrō presso il tempio di Jobon-rendaiji (quasi tutte le ricostruzioni ambientano tuttavia questo primo duello presso il dōjō degli Yoshioka).
Di fronte alla seconda sconfitta, i maggiorenti della scuola sfidarono di nuovo, pubblicamente, Musashi; tacciandolo di codardia se non avesse accettato.
La notte precedente l'ultimo duello, ed è importante saperlo ai nostri fini, Musashi si era recato al tempio Hachidai jinja.
Giunto sulla soglia del tempio, aperto secondo l'uso giapponese e dove il fedele si trattiene sulla soglia senza entrare, allunga la mano sul cordone che serve a richiamare l'attenzione della divinità prima di esprimergli le proprie richieste.
Ma la mano tesa di Musashi si arresta, un pensiero fulmineo gli attraversa la mente: non è bene confidare nei momenti cruciali in aiuti esterni: il guerriero deve affrontare da solo il suo destino.
E deve allinearsi al principio di rispettare il divino, ma senza chiederne il supporto.
La sfida era nominalmente portata dal nuovo erede della scuola Matashichiro, che aveva però solamente 13 anni.
L'intenzione degli Yoshioka era invece di affrontare Musashi in gruppo, si pensa che fossero oltre 70 e oltretutto armati anche di archi e moschetti, per eliminarlo senza testimoni, lavando l'onta in qualsiasi modo.
Al contrario delle sue abitudini, si presentava ai duelli in grave ritardo per destabilizzare gli avversari, questa volta però Musashi dal tempio, poco distante, era arrivato nottetempo nel luogo fissato per il duello, il grande albero chiamato Sagarimatsu, nella zona di Ichijōji.
Qui celato, all'alba Musashi uscì fuori dal suo nascondiglio e uccise Matashichiro. Era necessario: per tutelare il suo nome. Ma non dimentichiamo che lo stesso Musashi aveva affrontato il suo primo duello a quella età.
Uccise anche molti dei suoi nemici, che lo assalivano alla rinfusa, disperdendo gli altri per uscire infine salvo dal terribile confronto.
Ancora oggi esiste un albero nato da quel Sagarimatsu, la quarta generazione. E' noto infatti che la cultura giapponese sovente ricerca la preservazione dello spirito dei luoghi piuttosto che la sua materialità, demolendo e ricostruendo periodicamente, ma fedelmente, le strutture dei luoghi sacri. Per questo, per quanto siano molto rari i manufatti risalenti ad epoche lontane, si avverte sovente tuttavia in templi, santuari e giardini lo spirito dei tempi più remoti.
Questo sito ha già trattato.... ma senza soffermarsi molto, in compenso lo faremo ora, di un'altra leggenda di cui ancora una volta il Sanjūsangendō è luogo deputato. In estrema sintesi, e ricordando che esistono numerose varianti del racconto e vi rimandiamo all'articolo appena citato per saperne di più:
Viveva in Kyōto un samurai di nome Inabata, che aveva acquistato dall'amico Matsudaira un salice di cui si sospettava che fosse afflitto da una maledizione, portando sfortuna al possessore. Inabata, uomo solitario ma non insensibile, che aveva acquistato il salice al solo scopo di salvarlo dalla distruzione, ebbe la sorpresa di trovarvi accanto un giorno una donna, giovane e bella. Se ne innamorò perdutamente e la sposò, avendone poi un bambino cui venne dato il nome di Yanagi (salice).
Ma cinque anni dopo il crollo di un pilastro del tempio Sanjūsangendō richiese, secondo i vaticini, la riparazione con legno di salice, e precisamente quello del salice di Inabata. Accettato a malincuore di sacrificarlo, l'uomo ebbe però la sorpresa di apprendere dalla moglie che lei era in realtà lo spirito stesso del salice, incarnatosi per gratitudine nei suoi confronti.
Impotente di fronte al destino Inabata dovette accettare l'abbattimento dell'albero, e la scomparsa della moglie, Ma i pur imponenti mezzi di trasporto messi a disposizione dal signore del feudo non riuscirono a smuovere il tronco. Fu il piccolo Yanagi a prendere per mano il salice, che lo seguiì docilmente fino al cortile del tempio.
Ancora al giorno d'oggi alcuni salici crescono nel cortile di Sanjūsangendō , sia dal lato occidentale dove Musashi affrontò il duello sia sul lato orientale.
Non è lecito pensare che qualcuno di essi sia il salice della leggenda, sono alberi piantati recentemente.
Ma ancora una volta occorre tenere presente che non è importante nella cultura orientale che i luoghi siano rimasti intatti lungo il trascorrere dei secoli. Anche quando sono materialmente cambiati, quando è terminato il ciclo di vita degli uomni, degli alberi e perfino delle pietre, nascono in loro luogo altri esseri umani, altre essenze, altre pietre.
E con lo stesso spirito di allora, se si è avuta cura di preservarlo.
A proposito di conservazione dei ricordi:...
Attorno ai luoghi sacri, in Giappone ma come in ogni altra parte del mondo, si affollano negozi e bancarelle che propongono in vendita ogni tipo di oggetto "sacro".
E si tratta spesso di oggetti che visibilmente non richiamano alcun alto concetto, casomai quello profano del mero sfruttamento commerciale.
Nei templi e santuari giapponesi è possibile però, dietro pagamento di una offerta, avere un attestato della propria presenza, stilato all'istante ma con estrema cura, diremmo con amore, da un monaco esperto in calligrafia.
Sono di conseguenza non pochi i pellegrini - o i semplici turisti - che si sono muniti di un quaderno delle firme ove conservare tutti questi ricordi dei loro viaggi. Delle loro esperienze.
Questo è l'attestato che il tempio Sanjūsangendō rilascia ai richiedenti.
Il tempio - che in realtà si chiama Rengeo-in
E sul lato occidentale, oltre al celeberrimo duello dell'archetipo dei samurai, che tale è Miyamoto Musashi, si tiene da diversi secoli una tenzone tradizionale di tiro con l'arco. Sembra che la tradizione sia di due anni posteriore al duello di Musashi, risalirebbe dunque al 1606, anno in cui Asaoka Heibei scagliò dalla veranda 51 frecce verso un bersaglio posto sul lato nord.
Da allora la competizione, che si chiama Tōshiya, viene tenuta regolarmente e attira moltissimi arcieri e una folla ancora più numerosa.
Vi sono diverse prove cui si sottopongono gli arcieri, una delle più famose è il Sen-i in cui si devono scagliare di seguito 1000 frecce, e rimane vincitore chi ne mette a segno il maggior numero.
Alcuni archi sono visibili nella galleria occidentale del tempio, ma come già accennato non è possibile fare foto.
L'esemplare mostrato, assieme a una freccia e alla faretra, è esposto al Museo Nazionale di Tōkyō e come si vede presenta molte differenze rispetto agli archi in uso presso altre culture..
La prova più prestigiosa è però probabilmente l'Oyakazu, che fu introdotta in epoca Keichō (1596-1615) quindi nei primissimi anni del Toshiya e consiste nello scagliare nell'arco di 24 ore il maggior numero di frecce a bersaglio.
Detiene il primato Wasa Daihachirō che nel 1686 scagliò oltre 13.000 frecce, di cui 8.133 a bersaglio.
Nel corso dei periodici restauri del tempio è stata rimpiazzata una trave in cui sono rimaste conficcate migliaia di frecce, esposta nel corridoio occidentale assieme ad altri reperti.
La foto proviene da Wikipedia., e potete qui vedere l'originale.
Questa altra immagine proviene invece dal materiale illustrativo disponibile presso il tempio e si riferisce allo Yanagi no kaji, una cerimonia che si tiene all'inizio dell'anno e precisamente il 14 gennaio, come il Kagamibiraki.
In questo giorno l'accesso al tempio è libero e a chi entra viene offerta una coppa di acqua speciale servita - naturalmente - con un ramo di salice.
Viene poi tenuta una edizione del Toshiya riservata alle giovani che escono dall'adolescenza, che conta abitualmente circa 2000 partecipanti.
Ai margini del parco di Nara, immeritatamente trascurato dalla folla di turisti attirata dalla fama del parco e delle migliaia di cervi che si aggirano placidamente tra la folla, esiste ancora lo stagno di Sarusawa.
Sullo sfondo la pagoda del tempio di Kōfukuji, sede della scuola di lancia Hōzōin ryu.
Narra la leggenda che il monaco Hōzōin In'ei, (1521–1607) affacciandosi dalla riva e vedendo la sua lancia riflessa nell'acqua assieme alla luna avrebbe inventato la lancia del tipo jūmonji.
Il nome si riferisce alla forma della lama, che ricorda quella dell'ideogramma cinese del 10 (十), adottato come sappiamo anche nella scrittura giapponese.
Musashi ebbe un duello vittorioso in una data imprecisata, ma posteriore allo scontro con gli Yoshioka, con il monaco Dagon dell'Hōzōin ryū.
Le varie ricostruzioni sceniche alterano però spesso le sequenze temporali anticipando o spostando più avanti nel tempo diversi episodi della vita del guerriero, e amano inoltre farlo incontrare con ogni sorta di personaggi storici.
A titolo di esempio il celeberrimo monaco Takuan, gli spadai della famiglia Hon'ami, la dinastia dei maestri di spada Yagyū, addirittura il maestro Tsukahara Bokeden, scomparso in tardissima età ben prima della nascita di Musashi, e così via.
E' possibile in linea di principio che sia avvenuto un incontro tra Musashi e Hōzōin (scomparso come abbiamo visto nel 1607, quando Musashi era al culmine del suo percorso di samurai solitario).
Ma è lecito dubitarne.
Il nome Hōzōin venne tuttavia mantenuto anche dai suoi successori (Hōzōin Inshun, Hōzōin Insei, Hōzōin Infu...) e questo ha naturalmente contribuito ad alimentare diverse suggestive varianti dell'epopea.tra Musashi e la scuola di Hōzōin, con differenti protagonisti.
In una di esse Hozoin Inei avrebbe addestrato Musashi in modo da fargli sconfiggere il suo successore Inshun, in un duello notturno tenutosi a porte chiuse al tempio Kōfukuji..
Rimane da dire che alcune antiche scuole di arti marziali sono tuttora attive, e tra esse anche l'Hōzōin ryū, come del resto il Niten Ichi ryū, la scuola di Musashi.
E' naturalmente difficile pensare che l'impostazione di tutti i koryū (antiche scuole) sia rimasta invariata nel trascorrere di secoli in cui tutto è cambiato, e non ultime le tecniche di combattimento.
Ma anche qui, come nelle periodiche ricostruzioni delle dimore e dei templi storici, la materia cambia e si rinnova, allo scopo di mantenere immutato lo spirito.
Potete qui vedere una dimostrazione dello ha (branca) Takada dello Hōzōin ryū, tenuta al Budōkan di Tokyo nel 2010.
Chi pratica aikidō sarà interessato a vedere l'origine dei passi ayumi ashi, utilizzati spesso anche in aikido.