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Kenji Mizoguchi: 1941 - I 47 ronin
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Kenji Mizoguchi fu a lungo il più noto regista giapponese a livello internazionale. Oltre ad altri riconoscimenti, venne premiato per 5 anni di seguito al Festival di Venezia, dal 1952 al 1956. Scomparve purtroppo prematuramente lo stesso anno, a soli 58 anni, e venne in un certo senso sostituito presso pubblico e critica, come portabandiera del cinema giapponese, da Akira Kurosawa. Tra le sue opere meno conosciute I 47 ronin, del 1941.
Mizoguchi fu un regista estremamente prolifico, citato come uno dei pochi che abbiano diretto oltre 100 pellicole, per quanto la sua filmografia sembri fermarsi a “sole” 99 opere. Fu detto anche che fosse uno dei primi “femministi” nel campo del cinema, dedicando molto più spazio degli altri alle figure femminili.
Ma lui per la verità si schermiva precisando che quando lavorava alla Nikkatsu le trame che vedevano protagonisti degli eroi venivano sempre affidate al collega Minoru Murata, solo per questo lui doveva contentarsi delle eroine. Non che non ci fossero dei lati positivi: sosteneva che essendo lui particolarmente litigioso e attaccabrighe era bene che avesse a che fare con delle attrici, con cui non riusciva ad accapigliarsi. Sostenne anche, fino all'ultimo, di non essere mai riuscito a fare un film che gli piacesse.
In passato abbiamo recensito di Mizoguchi La spada Bijomaru (1945) e Le donne di Utamaro (1946), ma è ora di tornare a parlare di lui. Lo faremo con I 47 ronin (1941), un filmone di quasi 4 ore intitolato in realtà Il tesoro dei leali seguaci dell'era Genroku. e che va letto anche nell'ottica del periodo prebellico in cui venne concepito (la guerra con gli Stati Uniti ebbe inizio nel dicembre dello stesso anno). Per chi non ci facesse caso, lo ricorda immediatamente un perentorio monito nei titoli di testa.
La trama è di quelle arcinote e straviste, ma l'opera è un archetipo di quelle che non ci si stanca mai di rivedere in sempre nuove versioni, attendendo ogni volta con immutata trepidazione le risapute ed eterne scene madri. I tre moschettieri: d'Artagnan e gli altri vengono ricevuti a corte dal re; Musashi: il duello mortale con Sasaki Kojiro; i vecchi western del dopoguerra: l'arrivo della cavalleria (inquadratura sul trombettiere al galoppo sfrenato che suona la carica: ci potete giurare), salvando in extremis gli eroi e/o le eroine.
Ma Mizoguchi non è facilmente inquadrabile, e i suoi ronin non saranno come gli altri. E' ora finalmente di cominciare a parlarne.
Sarà necessario prima riassumere per sommi capi la vicenda, a beneficio di chi la affronti per la prima volta (o, per saperne un poco di più...). Il giovane feudatario di Ako, Asano Naganori, si trova a Tokyo per il suo secondo turno di presidio presso la corte dello shogun, ed è ai ferri corti col funzionario incaricato di istruirlo sul complicato protocollo, Kira Yoshinaga, con cui si era già trovato in urto in occasione del primo turno, probabilmente per non avergli offerto, come di consueto anche se a rigore non dovuta, una importante somma a titolo di mancia. Sottoposto a continue vessazioni e insulti, perde la calma e nel cortile di collegamento del castello, di fronte a numerosi testimoni, assale con il suo wakizashi Kira tentando di ucciderlo. Probabilmente impacciato dall'elaborato costume di corte, che volutamente impediva i movimenti per evitare attentati, riesce solamente a ferirlo. La sola estrazione di un'arma nei precinti della residenza era assolutamente proibito: Ad Asano viene immediato ordinato il seppuku, Kira viene allontanato e messo al sicuro, il feudo di Ako viene sciolto. Tornando al film: questa inquadratura, nella scena iniziale del film, si sposta con estrema lentezza verso la destra, da dove si sentono le voci di Kira che sta sparlando di Asano con un altro funzionario. Lo spostamento, di circa 10 metri, dura all'incirca 70 secondi. Mizoguchi evidentemente ci tiene a far comprendere immediatamente allo spettatore che aria tira. Nessuna concessione allo spettacolo: l'osservatore dovrà riflettere, e a lungo, su quanto vedrà.
Il consigliere del feudo, Oishi Kuranosuke, accetta passivamente le misure repressive. I circa 300 samurai alle dirette dipendenze degli Asano si disperdono divenendo ronin, samurai allo sbando e senza padrone.Oishi divorzia dalla moglie e allontana i membri della famiglia per abbandonarsi a una vita dissoluta frequentando assiduamente i locali notturni.
Era una finzione: nel 1702, a dicembre, 47 tra i ronin già dipendenti dal feudo di Ako, che avevano fatto perdere le proprie tracce, si radunano clandestinamente a Edo. Il giorno 14 di dicembre, agli ordini di Oishi, si travestono per sembrare una squadra di pompieri in servizio notturno e attraversano indisturbati la città per recarsi alla residenza dove si trova Kira, sorvegliato a vista da numerose guardie del corpo. Danno l'assalto, stroncano ogni resistenza e rintracciano Kira offrendogli il seppuku. Al suo diniego gli recidono la testa e si recano a depositarla presso la tomba di Asano, che si trova nel tempio di Sengakuji. Si denunciano poi alle autorità e attendono il giudizio. Vengono temporaneamente messi sotto custodia presso la residenza a Edo degli Hosokawa di Hatsu, infine arriva il verdetto: dovranno compiere seppuku. Le loro tombe si trovano anchesse al tempio Sengakuji di Tokyo (l'antica Edo).
L'inevitabile condanna da parte delle autorità ha aumentato piuttosto chee diminuire l'apprezzamento nei loro confronti. La loro fedeltà alla memoria del signore, la loro perseveranza nell'ottenere la vendetta, la loro coerenza nell'accettare di pagare senza esitazione il prezzo della loro ribellione, vengono considerati ancora, a distanza di secoli, uno tra gli esempi più pregnanti delle virtù che deve possedere il samurai. Le loro gesta vennero eternate più tardi in una rappresentazione teatrale, Chushingura, in cui non venivano tuttavia citati i veri nomi e alcune circostanze venivano omesse o alterate, per non suonare eccessivamente critiche nei confronti delle autorità incorrendo in censure. Dal Chushingura sono derivate innumerevoli versioni tra cui le molte portate sullo schermo. Altre ancora sicuramente ne seguiranno.
i leali seguaci dell'epoca Genroku (Genroku Chûshingura)
Kenzo Mizoguchi, 1941
da un dramma di Seika Mayama
Yoshizaburo Arashi, Kazutoyo Mimasa, Chôjûrô Kawarasaki
Il percorso che porterà alla vendetta sarà lungo, irto di ostacoli, complesso. Mizoguchi vi accompagnerà lo spettatore rimanendo sempre al suo fianco, ma senza risparmiargli alcuna difficoltà, interessato più alle motivazioni dei personaggi in gioco, alle loro esitazioni, ai loro slanci e ai loro ripensamenti, più che alle loro azioni. Va detto però che l'opera è suddivisa in due parti pensate per essere proiettate in diverse occasioni, forse per sopperire alle difficoltà tecniche dei proiettori dell'epoca ma sicuramente alleggerendone la visione.
La cura di Mizoguchi nella ricreazione dell'atmosfera, diremmo del profumo, dell'epoca è estrema, i suoi tempi sono lenti per non falsare con l'abituale disinvolta sintesi delle rappresentazioni i tempi necessari alla natura umana..I suoi personaggi ritornano spesso su concetti già espressi, come fa nella vita reale ogni essere umano.
L'azione vera e propria inizia nel momento in cui Asano Takumi no kami (Yoshizaburo Arashi) ascolta i pesanti apprezzamenti sul suo conto pronunciati da Kira (Kazutoyo Mimasa), che non sappiamo se fosse ignaro della sua presenza o non abbia voluto deliberatamente che lo ascoltasse, in segno di disprezzo. All'interno dei palazzi del potere venivano prese molte precauzioni per evitare attentati o risse, dai pavimenti ricoperti di assi di legno scricchiolanti che segnalavano l'avvicinarsi di qualcuno (corridoi dell'usignolo) all'adozione di lunghissime vesti che impedivano di muoversi con rapidità, a rischio di inciampare. Praticamente tutti i presenti a corte, dignitari, funzionari e feudatari erano infatti armati della daga da fianco, wakizashi, emblema del loro stato.
Asano, estratta la lama, si slancia contro Kira ma riuscirà solamente a ferirlo al volto prima di essere afferrato e disarmato. Ma sarà' inutile cercare ulteriormente nell'intero corso dell'opera spade sguainate, scontri o duelli, salvo necessarie eccezioni su cui torneremo in seguito.
Mizoguchi privilegia piuttosto altri drammi, non meno ricchi di pathos ma che richiedono per essere afferrati maggiore sensibilità.
La giovane moglie di Asano, Yosenin (Mitsuko Miura), ancora ignara di quanto sia successo, si sta sottopendo al complesso cerimoniale dell'acconciatura prima di presentarsi alla cerimonia di ricevimento degli inviati dell'imperatore, che Asano avrebbe dovuto dirigere sotto la tutela di Kira.
Le ancelle stanno terminando la preparazione della sua lunghissima capigliatura, cospargendola e vaporizzandola con profumate e preziose essenze.
Travolta Yosenin dal dramma, divenuta ormai vedova, la sua fluente chioma dovrà il giorno seguente essere sacrificata, essendo il suo nuovo, imprevisto e tragico destino quello di vedova, e di un condannato a morte.
Abbiamo qui un primo esempio di come l'iracondo Mizoguchi fosse in realtà una persona sensibile, in grado di cogliere sfumature ad altri interdette, di far comprendere attraverso poche immagini, senza l'ausilio di complicate spiegazioni, quale sia stato il dramma della giovane, costretta dalle convenzioni a nascondere il suo dolore, dovendo rimanere imperturbabile e potendolo affidare solamente all'apparenza esteriore.
Tutto ciò contrasta visibilmente, ed è difficile pensare che Mizoguchi non lo abbia mostrato deliberatamente, con le vistose manifestazioni di stupore, dolore, ira cui si abbandoneranno in seguto i rudi guerrieri con fama di impassibilità anche nelle circostanze più avverse.
Il destino di Asano si è ormai compiuto, trascinando nella catastrofe sia Yosenin che l'intero feudo di Ako. Ogni direttore moderno avrebbe probabilmente indugiato sui particolari della cerimonia del seppuku. Non Mizoguchi.
Non vediamo l'avvenimento se non attraverso gli occhi di un fedele seguace di Asano, che ha ottenuto il permesso di vederlo per l'ultima volta e di prenderne commiato.
Ma la porta del cortile destinato alla bisogna si chiude inesorabilmente alle spalle di Asano non appena vi è entrato, avvolto nelle bianche vesti di chi è destinato alla morte. E' preclusa a noi, come al fedele samurai, la vista di quanto vi succederà.
Il percorso che porterà quanto rimane del feudo di Ako nell'una o nell'altra direzione sarà senzaltro un percorso di attesa. La notizia della morte del signore Asano raggiunge Ako quando ormai è troppo tardi per qualunque ipotesi di intervento. Il feudo si trovava in quella che è ora la prefettura di Hyogo, circa 130 km a ovest di Osaka (quindi molto lontano da Tokyo), affacciato sul mare interno. Venne disciolto e il territorio assegnato dopo la defenestrazione degli Asano alla dinastia Mori, che lo resse fino alla soppressione del sistema feudale. Ma venne drasticamente ridimensionato, la rendita era calcolata all'epoca dell'incidente in circa 50.000 koku, dopo la riduzione del territorio fu solamente di 20.000.
Il castello di Ako è ancora in piedi, ma nonostante l'aspetto esterno faccia pensare il contrario viene descritto come in rovina.
Oishi Kuranosuke non appena raggiunto da una missiva raduna i samurai e la legge davanti a loro. Asano Takumi no kami Naganori ha dovuto togliersi la vita immediatamente. Il suo avversario non è stato sottoposto ad alcuna misura di punizione, è stato anzi messo al sicuro e protetto.
Cercando di ricondurre alla calma i samurai, sconvolti dalla notizia, Oishi li informa che chiederà alle autorità di lasciare il feudo al fratello minore del signore Asano, Daigaku, accettando altre misure punitive ma evitando di trascinare nella sventura centinaia di sudditi fedeli, le loro famiglie, i loro dipendenti.
Seguendo più avanti la trama apprenderemo che Oishi era sicuro di un rifiuto, lo attendeva anzi con ansia: l'avrebbe di fatto autorizzato secondo l'etica samurai alla vendetta. E' difficile accettare questa tesi, che come già detto avrebbe comportato il sacrificio di troppe persone incolpevoli, che si può accettare se necessario ma non certamente ricercare.
Ma le cose andranno in modo diverso: le autorità ritarderanno la decisione, Oishi e i suoi seguaci doranno attendere passivamente una comunicazione ufficiale, in un senso o nell'altro. In questa opera Mizoguchi esplora gli effetti della interminabile e tormentata attesa sugli uomini e sulle donne che si sono trovati a viverla.
Tokubei Izeki, amico e compagno d'armi di lunga data di Oishi, è caduto in disgrazia ed è diventato ronin, in seguito a una vita dissoluta.
Saputo degli eventi si precipita ad Ako, chiedendo al suo antico compagno di riammetterlo e farlo partecipare alla vendetta. Ma ancora nulla è deciso, ancora si deve attendere, e nel frattempo non si deve allarmare l'autorità reclutando dei ronin. Oltretutto la presenza di persone di mala fama nel feudo di Ako getterebbe fatalmente discredito sulla tragica ma nobile ribellione.
Oishi rifiuta di riammettere Tokubei e gli interdisce l'ingresso nel castello. Diverso tempo dopo ne ritroverà il corpo esanime davanti a quella porta che gli rimase chiusa, assieme a quello del figlio adolescente. Tokubei si toglierà la vita per riscattare almeno la sua memoria non potendola riscattare con l'azione.
Tsunatoyo Tokugawa divenne negli anni successivi il quarto shogun della dinastia, prendendo il nome di Ienobu. All'epoca di quello che venne per lungo tempo eufemisticamente indicato come l'incidente di Ako era un apprezzato consigliere della corte, e fu lui a dover prendere la decisione finale sulla richiesta di restaurazione della casata degli Asano.
Anche lui condivide il tormento di Oishi; sarebbe giusto concederlo. Ma questo impedirebbe il compiersi della vendetta. Il tempo che passa inesorabile accresce la sua inquietudine.
La posssibile morte per cause naturali di Kira, anziano e di salute malferma, renderebbe la vendetta impossibile macchiando per sempre l'onore dei samurai che avessero mancato di reagire all'oltraggio
Il caso vuole che una delle inservienti abbia invitato a una imminente rappresentazione del teatro Noh che si tiene nel palazzo il fratello, che è uno dei samurai già dipendenti dal feudo di Ako.
Tsunatoyo (Utaemon Ichikawa) si intrattiene volentieri con lui, vuole conoscere a fondo le loro ragioni. Il suo interlocutore, Suke'mon Tominomori (Kan'emon Nakamura) gli rende conto della drammatica umiliazione di cui non riusciranno mai a liberarsi né lui né i suoi compagni d'arme e pur non ammettendolo esplicitamente non nega che ci siano degli uomini decisi a portare fino in fondo la vendetta.
L'incontro, pur necessario, non contribuisce a far maturare in Tsunatoyo una decisione.
Se l'incontro è scaturito da una imprevedibile istintiva decisione di Tsunatoyo, la presenza di Suk'emon Tominomori non è però casuale. Ha approfittato del legame con l'inserviente Kiyo per introdursi nel palazzo ma le sue vere intenzioni sono celate.
E' infatti atteso in serata l'arrivo di Kira Yoshinaga, che nella rappresentazione che avverrà più tardi rivestirà nel dramma la parte del leggendario guerriero Musashibo Benkei.
Si sentono già gli araldi che annunciano il suo arrivo, sotto stretta sorveglianza di numerose guardie del corpo.
E' scesa la notte. Suk'emon è in agguato in attesa del passaggio di Kira, armato di lancia. Lo assale.
Grande è la sua sorpresa quando trova più resistenza di quella che si aspettava, per comprendere poi infine che irriconoscibile nel costume di scena dell'eroe Benkei non c'è Kira bensì lo stesso Tsunatoyo.
In qualche modo insospettito aveva voluto così accertarsi di persona di quali fossero le sue vere intenzioni e in ogni caso evitare un ingiustificato attacco a Kira, non essendosi ancora pronunciate le autorità..
E' inaccettabile che con la mano destra si chieda il perdono e con la sinistra si cerchi la vendetta. Ma non denuncerà Suke'mon: dopo averlo gettato al suolo lo apostrofa duramente mettendolo di fronte alla stoltezza delle sue intenzioni. Poi volta le spalle e si avvia verso il palcoscenico per recitarvi la parte di Benkei.
Anche Oishi ha avuto degli incontri, dei confronti.
Ha chiesto e ottienuto un colloquio con alla sua ex moglie Oriku (Shizue Yamagishi).
Un incontro cordiale, per quanto non vi siano spiegazioni da parte di Oishi sulla sua richiesta di divorzio e sulla sconsiderata condotta che ne è seguita, trascinandosi ubriaco da un locale notturno all'altro, e rifiutando ogni proposta di entrare al servizio di altri feudi.
E' evidente che lei ha compreso le ragioni di questo cammuffamento, che altro non è.
Sapere però che Oishi l'ama tuttora renderà più duro separarsi per sempre.
E' tornato l'inverno, Edo è ammantata di neve. Oishi vi si è recato, ed è andato a fare visita a Yosen'in Asano, la vedova del suo signore.
Accetta solo un assaggio del sake che gli viene offerto, dicendo sorridente che in realtà non lo apprezza quando crede la gente. E si schermisce sempre sorridente quando si allude alla sua ancora intatta sete di vendetta.
Ma il momento è giunto: Yosen'in ha sentito dire che in primavera, quando le strade saranno percorribili, Kira si trasferirà nel castello di suo figlio, importante feudatario della dinastia Uesugi, dove nessuno potrà raggiungerlo.
E' vero: è arrivato il momento della vendetta. Ora o mai più.
Nella fredda notte del 14 dicembre 1702, dopo aver ucciso Kira Yoshinaga Oishi e i 46 fedelissimi ancora ai suoi ordini ne depongono la testa recisa sulla tomba di Asano Takumi no kami Naganori.
Dopo essersi denunciati alle autorità vengono posti in custodia presso le dimore di quattro importanti feudatari e Il gruppo più consistente si trova sotto custodia di un ramo della dinastia Hosokawa.
Dovranno attendere, Ancora una volta.
Quando nel febbraio successivo il signore di Hosokawa conosce il verdetto dello shogun, che prescrive ai 47 ronin il seppuku, ordina di portare loro dei magnifici fiori.
Gli appare troppo crudele permettere che conoscano il loro destino in modo freddo e formale all'arrivo del messaggero dello shogun. Quei fiori sono un messaggio indiretto che farà loro comprendere che il destino sta per compiersi.
Scompariranno dal mondo dei viventi, per entrare come abbiamo visto nella leggenda, nel marzo successivo
Manca molto a questo tentativo di recensione, ma sono omissioni volute.
Non avrebbe senso "raccontare" ancora, dettagliare la trama, accennare ad altri personaggi. Le opere vanno viste in prima persona, tentare di raccontarle è vano.
L'augurio che ci poniamo è che il lettore senta al termine di queste note il desiderio di prendere visione di Genroku Chushingura per trovare conferma di quanto abbiamo tentato di illustrare ma soprattutto per scoprire quanto il recensore non ha scritto, o non ha visto, o non ha compreso.