Jidai
Masaki Kobayashi: 1962 - Harakiri - L'inquietante Tsugumo
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Durante il lungo racconto Hanshiro Tsugumo è rimasto imperturbabile, come del resto sempre in ogni suo momento.
Anche quando educatamente fa segno di assenso o meraviglia, e soprattutto nei rari momenti in cui sorride, il suo aspetto è inquietante.
Quando si muove, solo Nakadai e Mifune avevano questa straordinaria dote, desta l'impressione di una persona che ha il completo controllo non solo di se stesso ma anche dell'ambiente circostante e delle persone che gli stanno incontro, di un guerriero contro cui è vano pensare di poter vincere.
Rassicura il sovrintendente: la sua spada non è di bambu, ed è venuto fin lì solamente per morire.
La sua rassicurazione sembra piuttosto, per ragioni inspiegabili, una oscura minaccia.
Tsugumo sembra voler concludere presto la sua missione: rifiuta il conforto di un bagno, declina l'offerta di nuovi abiti da cerimonia, ritenenendo più coerente affrontare la morte con gli stessi abiti con cui affrontava la vita, e chiede di procedere.
E' ora lui a trovarsi in seiza nel cortile della tenuta, e di fronte a lui sono schierati tutti i dignitari.
Ed inizia qui materialmente il suo lungo duello contro la casata degli Iyi, scandito da logoranti rinvii ed improvvise accelerazioni dei tempi con cui condiziona a suo arbitrio il corso degli eventi e annienta la resistenza psicologica del clan.
Il sovrintendente Saito gli presenta il kaishaku designato, il samurai incaricato di essergli secondo nella cerimonia e dargli il colpo di grazia, che è in piedi come di consueto alle sue spalle, sulla sinistra. E' una posizione che di conseguenza andrebbe evitata, e che l'etichetta interdisce nei dojo di arti marziali.
Tsugumo lo rifiuta come suo diritto. Chiede che venga designato come kaishaku Hikokuro Omodaka, di cui ha sentito parlare come di un grande maestro della scuola di spada Shindo Munen Ichi.
Saito acconsente, ma viene a sapere con stupore che Omodaka si trova nella sua dimora, in seguito ad un malessere. Invia degli uomini a chiedere che intervenga, se le sue condizioni lo permettono.
Nella forzata attesa - da lui stesso deliberatamente provocata ma lo comprenderemo solo dopo - Tsugumo, premesso di avere in realtà qualcosa a che fare con lo sventurato giovane cui era stato imposto il seppuku in precedenza, chiede di narrare la sua storia.
Nel 1619, 11 anni prima, era un fiero samurai di alto rango al servizio dei Fukushima. Il suo migliore amico era Jinnai Chijiiwa.
Entrambi vedovi, vivevano solo per i loro figli: Motome Chijiiwa, di 15 anni, e Miho Tsugumo, di 11.
In brevissimo tempo il mondo di Tsugumo era precipitato.
Per uno scandalo legato all'appalto per la costruzione delle mura di un castello, il feudo era stato messo sotto inchiesta.
Jinnai Chijiiwa aveva commesso seppuku senza alcun cenno che lo lasciasse prevedere, assumendosi la colpa dello scandalo e incaricando Tsugumo di pensare al figlio Motome, a se stesso e alla piccola Miho.
Il sacrificio di Chijiiwa sarà vano: lo scandalo travolgerà l'intera casata.
Il signore di Fukushima abbandona a sua volta la vita compiendo seppuku. Negli attimi precedenti la cerimonia, che compie come suo diritto in qualità di nobile non nella corte ma nell'interno del palazzo, convoca Tsugumo.
Gli interdisce di compiere a sua volta seppuku: la sua missione è di vivere, resistere alla disgregazione del clan e assicurare una serena esistenza ai due ragazzi.
Ritorna in quel momento l'uomo incaricato di chiedere l'immediata presenza di Omodaka. I familiari gli hanno confermato che non è in condizioni di muoversi, e la sua richiesta di vederlo è stata rifiutata, con la motivazione che il samurai non riteneva opportuno farsi vedere mentre era in cattive condizioni.
A Tsugumo viene richiesto di designare un altro kaishaku. Richiede Hayato Yazaki, l'uomo che aveva scoperto che il fodero di Chijiiwa conteneva solamente un simulacro di spada, ed aveva proposto di obbligarlo a compiere seppuku con esso.
Sorprendentemente anche Yazaki si è dichiarato malato e non è presente. Si impone una nuova scelta e Tsugumo richiede Umenosuke Kawabe, parte attiva nell'inganno e tra i più solerti nel richiedere la linea dura nei confronti dello sventurato Chijiiwa. Anche lui non è presente.
Tsugumo si dichiara stupito della strana coincidenza. Ed insinua che una casata in cui i più valorosi samurai si ammalano così facilmente quando è richiesta la loro presenza non dia una buona immagine.
Le inquietudini di Saito di fronte al misterioso samurai cominciano a trovare le prime conferme.
Ritiratosi con i consiglieri anziani, esaminano assieme la situazione.
Non è chiaro cosa sia venuto a fare Tsugumo e perché, e Saito pur sentendo che è un personaggio degno di rispetto, pur avvertendo il rimorso della fine orribile cui è stato obbligato il giovane Chijiiwa, ritiene che il buon nome della casata degli Iyi vada preservato a qualunque costo.
Occorre ingiungere a Tsugumo di compiere al più presto quello che è venuto a fare, senza ulteriori indugi.
In caso di resistenza gli uomini di guardia dovranno lanciarsi contro di lui e finirlo immediatamente.
Tsugumo rifiuta sdegnosamente: ha dirittto di scegliere il suo kaishaku, richiede di darsi la morte volontariamente, per non lasciare alcuna macchia sul suo onore: non è un volgare malvivente.
Un nugolo di samurai si getta allora su di lui, con le armi sguainate, ad un ordine del sovrintendente.
Tsugumo, furente ma senza opporre resistenza, ordina loro di fermarsi. Misteriosamente gli uomini sentono di doversi fermare, e attendono a debita distanza.
Tsugumo ammonisce Saito: se insisterà a voler ricorrere alle armi scorrerà molto sangue di valorosi samurai, di nulla colpevoli.
Non sarebbe più saggio attendere semplicemente che si dia la morte da solo, visto che è esattamente quello che è venuto a fare? Saito sente che deve acconsentire.
Hanshiro Tsugumo continuerà il suo racconto.