Jidai
Akira Kurosawa: 1985 - Ran - Epilogo
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Il destino esige che nulla rimanga della casata che aveva esteso il suo dominio tra le vallate e le montagne.
Quelle che aveva orgogliosamente indicate Hidetora Hichimonji nella scena di apertura dell'opera.
Saburo è finalmente riuscito a rintracciare il padre, ne ha vinto il pudore e la vergogna ed è riuscito a restituirgli il senno perduto.
Padre e figlio cavalcano assieme abbracciati sulla via del ritorno, parlando della loro nuova vita.
Che non dovrà esserci. I fucilieri di Jiro sono in agguato.
L'ennesima precisa quanto vile palla di archibugio spegne la vita di Saburo, che si accascia lentamente.
Hidetora stringe invano al petto il corpo privo di vita del figlio. E finalmente la morte pietosa pone fine alle sue sofferenze. Kyoami invoca il suo nome, ma Tango gli suggerisce di rassegnarsi al destino.
Hidetora Ichimonji ha trovato finalmente la pace, quella che in vita non ha saputo dare né a sé stesso né agli altri.
Kyoami disperato rimprovera con un moto blasfemo ma comprensibile coloro che hanno voluto tutto questo, dei od altro che siano , per prendersi gioco delle sofferenze dell'uomo.
Ma infine tace: forse si rende conto che gli dei sono estranei a tutto questo, ogni cosa è stata voluta e compiuta dall'uomo.
Unico superstite della immane strage, della insensata e vana carneficina, Tsurumaru è terminato, privo ormai per sempre della guida della sorella Sue, in cima alle ennesime rovine di un castello costruito e poi distrutto dalla cupidigia di potere degli uomini.
Non è in grado di rendersi conto che si trova sull'orlo di un precipizio.
E nessuno potrà mai venire in suo soccorso.
Se in altre opere il maestro Kurosawa ha voluto lasciarci un messaggio di speranza, la visione di Ran sembra non lasciarne, non volerne lasciare. E' un'opera non facile da accettare e perfino da vedere.
E forse proprio per questo va vista e va compresa, o perlomeno ne va tentata la comprensione. La grandezza del maestro si misura proprio in questo suo desiderio di rappresentarci non solamente le virtù dell'essere umano, ma anche i suoi vizi e le sue mancanze, per ammonirci e metterci in guardia.
E' doveroso accettare l'impegno di essere all'altezza di questo suo nobile lascito, anche se gravoso, anche se amaro ed arduo.