Jidai
Akira Kurosawa: 1980 - Kagemusha - La tregua
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Oda Nobunaga e Yeyasu Tokugawa tengono consiglio: i loro dubbi non sono del tutto sopiti, la sorte di Shingen rimane incerta ma è chiaro tuttavia che il feudo di Kai ha ancora la capacità di resistere, ed è ben guidato. La loro prossima mossa dovrà attendere.
Kurosawa si prende ora una delle sue frequenti licenze storiche, giustificate dalla particolare intonazione che intende dare ad alcuni episodi, tradendo la lettura fedele degli avvenimenti per darne un'altra più impressionistica e in definitiva più artistica. Per rimarcare l'orientamento esterofilo di Nobunaga e la sua dipendenza da tecnologie ed ideologie straniere, il maestro ce lo mostra intento a gustare con visibile piacere una coppa di vino.
Sappiamo invece, dalla testimonianza del padre gesuita Luis Frois, che nel 1569 ebbe modo di incontrare Nobunaga, citata da Giovanni Granone in Aikido, anno 1978, quanto segue:
"Deve avere circa 37 anni, è alto, magro, la barba rada., la voce chiara usa al comando, coraggioso, tempera la gisutizia con la pietà ... Non beve vino, ha maniere brusche, è sprezzante verso i re e i nobili del Giappone ... sprezza le divinità sia buddhiste che shintoiste e ogni forma di idolatria e di superstizione. Appartiene alla setta Hokke ma dichiara che non esistono né Creatore dell'Universo, né immortalità dell'anima, né vita dopo la morte."
Yeyasu Tokugawa ci viene invece rappresentato nell'atto di tossire disgustato al sapiore del vino. Una allusione di Kurosawa alla politica di rifiuto del contatto con la cultura occidentale?
Già Toyotomi Hideyoshi successore di Oda aveva iniziato a reprimere la religione cattolica, ma solo dopo l'avvento della dinastia Tokugawa, inziaita con la presa del potere da parte di Yeyasu dopo la morte di Hideyoshi, che il Giappone avrebbe rifiutato di aprirsi all'occidente ed al cristianesimo.
Ma nel frattempo Oda Nobunaga continua la sua ascesa verso il potere, appoggiato dagli archibugi acquistati dagli europei e forte del simbolo del cristianesimo che accompagna le sue truppe, ma rimandando a tempi più propizi la resa dei conti con i Takeda.
Anche Katsuyori ha deciso di attendere: il tempo dovrà inesorabilmente portargli il potere che desidera, visto che ogni tentativo di coglierlo prima del momento sembra destinato ad infrangersi.
Come si infrangono inutilmente sulla riva le onde del lago ove riposa Shingen e su cui si affaccia il suo castello.
E la tregua finisce. I tre anni indicati da Shingen sono quasi passati, sta per giungere l'ora di porre fine alla finzione. Kagemusha ormai si è abituato al suo ruolo, e perfino le guardie hanno allentato la vigilanza e lo lasciano spesso solo, padrone del castello ove in realtà passa gran parte del suo tempo col piccolo Takemaru.
Solo Nobukado è inquieto. Non per i Takeda, ma proprio per Kagemusha: il tempo è quasi scaduto, e l'ombra del guerriero dovrà abbandonare il suo ruolo. Ma che ne sarà di lui, saprà resistere al trauma di essere sopravvissuto al suo ruolo, alla sua missione, saprà l'ombra separarsi dal guerriero?
Un drammatico incidente arriva ad interrompere prematuramente l'avventura di Kagemusha.
Per assecondare un desiderio infantile di Takemaru, ormai sentendosi troppo sicuro di sé, ha tentato di cavalcare l'indomabile cavallo da battaglia di Shingen.
Invano: con la sicurezza dell'istinto animale il cavallo ha riconosciuto l'impostore e lo ha gettato a terra.
Le concubine accorse a soccorrere il loro signore possono capire solo allora che il suo corpo è privo delle inconfondibili cicatrici di guerra che lo segnavano.
Anche loro si rendono conto di avere a che fare con un impostore, la commedia è finita. Gli effetti pratici della rivelazione non sembrerebbero rovinosi, era dopotutto previsto che la messinscena finisse di lì a poco, ma sono piscologicamente devastanti.
Soprattutto per Kagemusha, che si stringe disperato al petto per l'ultima volta il piccolo Takemaru, cui si è legato da profondo affetto.
Ma il destino si deve compiere.
Kagemusha, sotto la pioggia implacabile che tanto spesso Kurosawa chiama ad accompagnare i momenti cruciali delle sue opere, viene accompagnato alla porta e compensato per i suoi servigi.
E lui, ladro abituato a prendere con indifferenza, mediante frode o violenza, quello che non gli appartiene, si sente ferito a dover accettare un compenso materiale per qualcosa che non solo non può essere pagato, ma per cui sente di essere ancora lui in debito.
Non vuole, non vorrebbe andarsene. Ma dopo essere stato il signore, è ora divenuto solamente un impostore, e l'affetto ed il rispetto che gli erano stati tributati in quegli anni gli ritornano indietro sotto forma di odio e disprezzo. Viene cacciato via a sassate dalle guardie.
Oda Nobunaga viene avvertito della scomparsa, ormai definitivamente accertata, del suo più grande nemico. La sua risposta non manca di lasciare sbalordito lo spettatore occidentale: estrae il ventaglio ed improvvisa una danza. Non sta gioendo per la morte di Shingen, la sta piangendo.
In una conversazione di molti anni fa il maestro Hideki Hosokawa confidava ad alcuni suoi allievi che per quanto l'opera non fosse del tutto esente da critiche, soprattutto per l'eccessiva semplicizzazione di alcune vicende per incontrare i gusti del pubblico occidentale, quella scena era quanto di più giapponese, di più conforme allo spirito tradizionale giapponese, si potesse immaginare. Per potersi spiegare paragonò Oda e Takeda a due praticanti di aikido, l'arte di cui egli è maestro.
Per confrontarsi, per migliorarsi, ogni praticante cerca un compagno di allenamento al proprio livello, anche se sa di doversi impegnare di più, forse anche al limite delle proprie forze, e si rende conto di non poter praticare con la stessa intensità con compagni di livello tecnico o maturità nferiori. Allo stesso modo Oda Nobunaga manifestava con la sua danza il dolore di essere rimasto solo, senza nessuno che lo potesse stimolare ad una ulteriore crescita interiore.