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Nagisa Oshima: 1983 - Furyo
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Nagisa Oshima: Furyo (Merry Christmas mr. Lawrence)
1983
David Bowie, Tom Conti, Ryuichi Sakamoto, Takeshi Kitano
Furyo (俘虜, prigioniero di guerra) è il titolo con cui è maggiormente conosciuta questa opera di Oshima(1932-2013), la prima che ebbe vasta diffusione in occidente e lo sottrasse alla fama immeritata di regista interessato solo ai temi della sessualità, che si riteneva spingesse fino ai limiti della pornografia. Anche Furyo venne interpretato dalla critica, e soprattutto pubblicizzato dai media, come un film centrato sull'attrazione sessuale. E' in realtà un'opera inquietante e necessaria, che scende molto più in profondità. E, lungi dall'emettere sentenze, accusa tuttavia spietatamente non solo le convenzioni ed i rituali giapponesi, come si è detto anche sin troppo, ma anche quelli europei.
Il titolo Merry Crhistmas mr. Lawrence allude ad una frase di commiato, che è anche commiato dalla vita, pronunciata all'indirizzo dell'unico protagonista che sopravviverà, il colonnello dell'esercito britannico John Lawrence, prigioniero di guerra nel 1942 nell'isola di Java ed ufficiale di collegamento tra il comando e le truppe internate, grazie alla sua conoscenza del giapponese.
E' evidente che il personaggio ha dei tratti autobiografici in quanto Furyo è tratto liberamente da due romanzi dello scrittore e antropologo sudafricano Laurens (= Lawrence) Van Der Post (1906-1996), The seed and the sower ((Il seme ed il seminatore) e The night of the new moon, tuttora inediti in Italia per quanto ne sappiamo.
Durante la seconda guerra mondiale Van Der Post venne arruolato nell'esercito inglese, destinato ai servizi di intelligence e al termine dell'addestramento assegnato col grado di capitano al comando del maggiore Orde Wingate, che si distinse guidando geniali e spericolate azioni di guerriglia in Etiopia ma venne sempre considerato dall'alto comando un personaggio utile ma incontrollabile, al limite della follia.
E' verosimile che il maggiore Jack Celliers, seconda figura portante dell'opera, sia ispirato o in qualche modo influenzato da Wingate.
Al termine delle operazioni in Etiopia Wingate fu destinato al fronte asiatico dove creò i chindits, unità di penetrazione che venivano paracadutate oltre le linee nemiche per azioni di sabotaggio e guerriglia. Arrivò al grado di generale e scomparve nel 1944 in un incidente aereo. Il nome chindit deriva dalla pronuncia dialettale birmana del termine Chinthe che identifica gli animali mitologici - leogrifi - le cui raffigurazioni in pietra sono poste a guardia dei templi.
Laurens Van Der Post (1906-1996) divenne ufficiale di collegamento con le truppe olandesi nell'isola di Java grazie alla sua conoscenza della lingua dovuta alle origini boere. Nel 1942 dovette arrendersi alle truppe giapponesi: essendo incaricato della evacuazione del personale strategico era dovuto rimanere sul posto fino all'ultimo senza poter fuggire.
Anche nei campi di prigionia mantenne le sue funzioni, estendendole ai contatti con il comando nipponico poiché conosceva anche qualcosa della lingua giapponese, sia pure non al livello di padronanza che ha il colonnello Lawrence del film. Ma si adoperò soprattutto per mantenere alto il morale dei prigionieri: organizzò a questo scopo addirittura un campus a livello universitario dove i prigionieri potevano perfezionare o riprendere i loro studi, dotato di numerose facoltà.
Al termine della guerra si occupò delle trattative di resa con l'esercito occupante, fu poi consulente del governo olandese nelle lunghe e difficili trattative che avrebbero dovuto portare all'indipendenza dell'isola. Iniziò a scrivere delle sue esperienze di POW (Prisoner Of War) nel 1954 con A bar of shadow, Seguirono poi nel 1963 e nel 1970 gli altri due titoli che abbiamo già citato. E' noto anche per i suoi documentari sulla cultura africana, boscimane in particolare.
La trama di Furyo è lineare, ed i personaggi principali sono solamente quattro, due per ogni parte in campo. Sono abbinati tra di loro da un intricato gioco di somiglianze e contrasti: Il gelido idealista Yonoi (Ryuichi Sakamoto) è attratto e respinto dall'impetuoso e misterioso Celliers (David Bowie), il rozzo Hara (Takeshi Kitano) si confronta con l'intellettuale Lawrence (Tom Conti).
Le origini della carriera artistica di Bowie - poco note - furono legate più al teatro ed alla recitazione che alla musica. Fu seguace del mimo Lindsay Kemp che lo fece esordire nel 1967 a 20 anni, ed anche prima e dopo Furyo sostenne numerosi ruoli sullo schermo. Al momento è probabilmente la figura più rappresentativa della musica inglese.
Il personaggio di Jack "Strafer" (Mitraglia) Celliers è quello di un uomo cresciuto in Inghilterra in un ambiente rigido e legato a tradizioni impietose e fuori dal tempo. Probabilmente più di molte tradizioni giapponesi.
Ha trovato nella guerra uno sfogo alle sue inquietudini, ma l'attrazione/sfida con il suo omologo, il capitano Yonoi, pur obbligandolo alla ribellione e portandolo alla morte lo libererà da rimorsi e tormenti.
Sakamoto iniziò la sua carriera artistica, dopo la laurea in composizione musicale a Tokyo, nel gruppo conosciuto come Yellow Magic Orchestra, ed è noto soprattutto come compositore. E' importante la sua produzione anche come cantante solista. Dopo Furyo affrontò altre colonne sonore, vincendo l'Oscar con L'ultimo imperatore di Bernardo Bertolucci.
Il suo personaggio è quello di un uomo raffinato e legato indissolubilmente alla tradizione, le cui certezze vengono messe in dubbio ed infine fatte crollare da un nemico che si rivela più vicino a lui di quanto potesse mai immaginare, e più forte di quanto sembravano indicare la condizione di prigionia e l'apparente assenza di principi morali. Celliers ne ha e li rispetta, ma non sono quelli che un ufficiale nipponico potrebbe immaginare. L'impassibilità e l'alterigia di Yonoi si tramutano velocemente in isterismo e violenza di fronte alle lucide provocazioni di Celliers.
Thomas Conti è un attore scozzese di origini italiane, molto apprezzato in ambiente teatrale e divenuto col tempo regista e scrittore.
La sua prestazione nel film è rimarchevole. Se il suo personaggio - quello di un uomo che ammette i suoi dubbi in un mondo pieno di false certezze - non fosse stato credibile la struttura stessa dell'opera sarebbe crollata.
Ha il compito proibitivo di mediare tra due civiltà lontane ed apparentemente incompatibili, per quanto meno lontane e meno incompatibili di quanto credano e quanto sembrino. Ma soprattutto nei loro difetti, e nella obbedienza incondizionata ad antiche convenzioni spesso oramai prive di senso, mentre sembrano rimanere a distanze siderali nei loro aspetti migliori.
Takeshi Kitano, conosciuto inizialmente come Beat Takeshi dai suo duetti comici con il collega Beat Kiyoshi (Kiyoshi Kaneko) e specializzato poi nei ruoli di gangster (yakuza), divenne infine uno dei più noti, anche se controversi, registi giapponesi.
E' anche lui una scommessa vincente di Oshima. Non ancora costretto dall'incidente in moto del 1994 ad una immobilità facciale che i suoi detrattori hanno interpretato come incapacità di recitare, rende plausibile un personaggio contraddittorio.
Il sergente Hara, rozzo brutale ed istintivo quanto è raffinato e apparentemente controllato Yonoi, si dimostra però improvvisamente capace di insospettate sensibilità, facendo da contraltare alle irrefrenate ed ancor più brutali esplosioni d'ira del suo superiore.
L'assegnazione dei ruoli principali a due notissimi personaggi della musica moderna (Sakamoto e Bowie), due idoli delle folle e non solo nei rispettivi paesi, e talvolta in odore di scandalo, lasciò il sospetto che si trattasse solamente di una fredda mossa pubblicitaria, mirata ad incrementare gli incassi sfruttando la morbosità del pubblico. La scelta di Kitano sembrava confermare questa impressione e quella di Conti contradditoria con le altre.
Eppure le quattro interpretazioni sono perfettamente calibrate, con una nota particolare di merito per quella di Bowie, il cui ruolo lo obbliga ad esprimersi più con sottintesi e con silenzi che con vistose esibizioni dei propri sentimenti e delle proprie idee.
Ryuichi Sakamoto curò anche la pregevole colonna sonora del film, che contribuisce a mantenerne la tensione senza diventare ossessiva, e cui sembrano essersi ispirati o ricollegati, forse anche incosciamente, alcuni temi presenti ad esempio nelle opere di Hayao Miyazaki. Citiamo il tema strumentale Forbidden colours, che accompagna il colloquio tra Hara ed Lawrence in cui viene pronunciata per la prima volta la frase fatidica: Merry Christmas, mister Lawrence. Ha avuto grande successo negli anni seguenti, e non cessa di essere popolare.
Nel 1942 l'isola di Giava, colonia del regno d'Olanda, veniva attaccata dall'esercito giapponese. L'intervento nipponico nella seconda guerra mondiale non sarebbe andato a buon fine senza il controllo delle ingenti risorse petrolifere di quell'area. A supporto dei difensori operava un corpo d'armata anglo-australiano mentre il comando generale era affidato al generale olandese ter Poorten, che nel mese di marzo dovette però capitolare.
Per la prima volta, come in altri teatri della guerra del Pacifico, l'esercito giapponese si trovava a dover gestire il problema di centinaia di migliaia di prigionieri di guerra prevalentemente provenienti da nazioni europee (Inghilterra ed Olanda) o dal Commonwealth inglese (Australia e Nuova Zelanda).
La grande distanza dal Giappone aumentava le difficoltà logistiche, ma il Giappone era soprattutto sorprendentemente impreparato a questa eventualità. Nella mentalità del militare giapponese non era prevista la resa e questo aveva già portato alla sottovalutazione del problema e avrebbe immediatamente portato dopo ad una difficile convivenza nei campi di prigionia. Soprattutto per il trattamento inflitto dagli ufficiali al comando e dai militari di truppa ai prigionieri: troppo spesso superficiale e noncurante, non avendo diritto a nulla di meglio soldati che si erano già disonorati arrendendosi, rinunciando ipso facto ad ogni possibilità di trattamento onorevole. Nelle ipotesi peggiori, e furono frequenti, il trattamento fu disumano.
Come del resto lo era stato spesso anche nel decennio precedente, durante le numerose guerre che il Giappone aveva sostenuto nel continente asiatico per allargarvi la sua sfera di influenza. Con la "giustificazione" di avere avuto a che fare con culture inferiori.
Nel campo di prigionia immaginato da Oshima, ma come abbiamo visto disegnato sui contorni dei campi in cui fu effettivamente internato Van Der Post, il comando è affidato al giovane capitano Yonoi. Visibilmente insofferente dell'incarico che gli è stato affidato sottraendolo al campo di battaglia cui aspira di tornare, si dedica ai suoi interessi, tra cui l'allenamento con la spada, delegando la maggior parte dei compiti di routine al rozzo sergente Hara, che li assolve con una brutalità sistematica.
Non che Yonoi vi rinunci per principio, ma non ne prova alcun compiacimento e considera anchessa una sgradevole necessità di servizio.
Il colonnello Lawrence grazie alla sua conoscenza del giapponese è impegnato quotidianamente in ardui tentativi di mediazione, finendo spesso per essere incompreso, e malmenato, dai giapponesi e disprezzato come collaboratore dai suoi connazionali.
Viene richiesta la sua opera: una guardia si è introdotta nella cella dove il giovane prigioniero olandese De Jong (Alistair Browning) era in isolamento e gli ha usato violenza, venendo sorpreso sul fatto. Hara vorrebbe concedergli la "grazia" di uccidersi compiendo harakiri a patto di violentare di nuovo il prigioniero davanti a tutti. Lawrence grida per attirare l'attenzione del capitano Yonoi ma viene atterrato da una bastonata di Hara.
Yonoi arriva in tenuta da allenamento per il kendo, seguito dall'attendente, che nel seguito della vicenda giocherà un ruolo importante.
L'autore dell'infamia per sfuggire ad una infamia peggiore ha già tentato di darsi la morte, con la compiaciuta assistenza di Hara pronto a dargli il colpo di grazia.
L'arrivo di Yonoi ristabilisce - temporaneamente - una relativa calma. Hara spiega senza alcuna remora che la "compassione samurai" lo ha spinto a quella che solo apparentemente è una esecuzione. L'uomo ha tentato il suicidio per la vergogna del suo crimine, e lasciandolo fare invece di arrestarlo e processarlo la madre, molto bisognosa, non perderà il diritto alla pensione.
Yonoi non ha tempo di occuparsi della questione e rimanda ogni decisione. Lo attende una missione a Batavia, dove deve partecipare ad un processo di guerra. Sarà questo evento che cambierà il suo destino.
Il maggiore Jack Celliers è stato catturato nella giungla, dove si era paracadutato nel mese di agosto assieme ad un piccolo gruppo di soldati per compiere azioni di sabotaggio e guerriglia dietro le linee. Rimasto unico superstite, ha scelto di arrendersi.
Rifiuta di collaborare, cosa che ai giapponesi sembrerebbe dovuta da parte di chi rinunciando al combattimento ha implicitamente rinunciato anche ad ogni diritto e pretesa.
Ma Celliers non essendo giapponese non si sente in dovere di adeguarsi ai questi codici di condotta.
Il tribunale lo considera tuttavia un criminale di guerra, passibile di pena di morte: ha infatti combattuto clandestinamente contro le truppe giapponesi dopo la resa da parte delle forze britanniche.
Yonoi è visibilmente colpito dalla determinazione e dignità con cui Celliers difende se stesso e gli ideali della sua civiltà.
Chiede di interrogarlo di persona.
Celliers ha dichiarato di essersi arreso solamente quando la comunità indigena è stata minacciata di spietate rappresaglie se non avesse collaborato alla sua cattura. E negato fermamente di avere mai avuto ai suoi ordini unità irregolari indigene.
Ora su richiesta di Yonoi precisa di non far parte dei reparti che si sono arresi in Giava: la sua missione è stata disposta dal quartier generale inglese in India, con cui il Giappone è ancora in stato di guerra, ed è quindi una azione legittima.
Le date sono inconfutabili: la sua missione è iniziata in agosto, circa 6 mesi dopo la resa dei difensori di Giava, e la sua resa risale ad ottobre.
Dopo il suo arresto, al rifiuto di dare informazioni sui piani britannici, non ha più ricevuto alcun cibo ed è stato sistematicamente bastonato.
Yonoi gli chiede di provarlo. Celliers non deve far altro che togliere la camicia e mostrare i segni delle percosse.
Non c'è bisogno di andare oltre per convincere Yonoi. Per lui Celliers è un combattente regolare e va trattato come un prigioniero di guerra, liberandolo da ogni imputazione.
La corte si ritira per il verdetto.
L'attesa è molto lunga.
Celliers non batte ciglio. L'ufficiale che funge da interprete (Rokko Toura) lo tormenta: un tempo così insolitamente lungo è quasi sempre il preludio di una condanna a morte.
E ultimamente gli ufficiali giapponesi non si affidano più al plotone di esecuzione, preferiscono provare su dei "colli bianchi" il filo delle loro spade.
Infine viene annunciato che il verdetto è rimandato, senza alcuna indicazione sui tempi. Celliers viene riportato nella sua cella.
La mattina seguente i carcerieri gli intimano bruscamente di uscire. E' è ormai certo di andare ad affrontare la morte.
Si rifiuta però di accettare passivamente sia la sorte che il trattamento iniquo di un nemico incapace di ascoltare altro che se stesso.
Si prende quindi quanto il nemico gli nega, il rispetto umano dovuto ad ogni uomo al cospetto della morte: mima davanti agli stupefatti carcerieri una accurata toeletta mattutina, per prepararsi dignitosamente. Beve un immaginario te, si concede un'ultima immaginaria sigaretta, spegnendola accuratamente a terra. Solo per un brevissimo attimo lascia affiorare la sua disperazione.
Lucidamente ribelle fino all'ultimo, Celliers non lascia ai suoi carnefici altra scelta che ricorrere alla solita brutale violenza.
E' fin troppo facile malmenarlo fino al punto che a stento si regga ancora in piedi, giustificandosi con un suo improbabile tentativo di fuga o di ribellione.
Viene portato, praticamente di peso, davanti al plotone di esecuzione e incatenato. Rifiuta fermamente la benda: i soldati saranno obbligati a guardarlo negli occhi prima di aprire il fuoco.
Poi, la scarica.
Mentre il fumo lentamente si dirada, Celliers si rende conto di essere ancora vivo, ed incolume.
I fucili erano caricati a salve. Si trattava solo di una macabra messa in scena.
Una sciocca e sterile vendetta postuma contro un uomo che non si è riusciti a piegare.
Alle spalle di Celliers avanza impassibile Yonoi, l'uomo che ha insistito per salvarlo.
Sembra che lo scontro tra due modi incompatibili di concepire la vita e la morte sia terminato. Ma forse questo non è possibile, quando si inizia una tenzone deve arrivare fino in fondo.
Yonoi e Celliers, gli uomini che sembravano avere maggiori prossibilità di comprendersi, sono stati irreversibilmente scelti dal destino per battersi ancora l'uno contro l'altro.
Non faremo come in altre occasioni un lungo ed accurato resoconto degli avvenimenti. Non ha senso con molte opere, e questo è il caso. Basterà richiamare per grandi linee le ragioni scatenanti del conflitto che esploderà all'interno del campo di prigionia.
Una richiesta di Lawrence, trasferire il soldato vittima della violenza in un'altra sezione - poiché la voce dell'accaduto si è diffusa e viene tormentato sia dalle guardie che dagli altri prigionieri - causa l'ennesimo scontro di opinioni ma anche di cultura: Difficilmente il rozzo Hara sembra associabile alla cultura, ma sia pure deformati ed espressi volgarmente i suoi concetti si allineano a quelli dominanti in Giappone: chi ha perduto in battaglia e si è arreso non è più un soldato, non ha diritto a nulla ed è il suo giusto destino essere trattato con disprezzo.
La continua per quanto difficile opera di mediazione di Lawrence e l'apparente impossibilità da parte degli europei di contrastare in qualche modo la sudditanza materiale e psicologica cui sono sottoposti sembrano impedire al conflitto di divampare, senza riuscire comunque a spegnerlo.
E' in arrivo però l'elemento catalizzatore che cambierà completamente i rapporti di forza.
Ancora spossato dalle sevizie subite, Celliers arriva al campo e viene preso in consegna da Hara.
Ci vorrà molto prima che possa riprendersi, ma quello è già il momento cruciale.
Il semplice tentativo da parte di Lawrence di aiutare Celliers a rialzarsi dopo essere caduto privo di forze, scatena l'ennesima brutalizzazione da parte di Hara. Ma verrà a sua volta frustato selvaggiamente da Yonoi, che ha visto tutto. Sono i primi sintomi di un possibile crollo psicologico dei due giapponesi, che sembrava inimmaginabile.
Yonoi è già attirato dall'enigmatico inglese, ordina che sia curato e chiede informazioni su di lui a Lawrence, che lo ha conosciuto in Africa.
Ma se esiste tra di loro una attrazione sessuale rimarrà sembre latente, inespressa e non affiorata. Oshima non la esclude, la lascia intuire, non la conferma. Eppure ha dimostrato quasi in ogni sua opera di non avere timore di affrontare questo tema, anzi di ricercarlo e volerlo esplorare fino in fondo, come in Gohatto (1999).
E' lecito pensare che abbia deliberatamente scelto di lasciare lo spettatore nel dubbio. Non hanno avuto alcun dubbio purtroppo i mass media, lasciando immaginare all'opinione pubblica un'opera completamente diversa e più morbosa, forse indottivi dal fascino ambiguo che hanno molte rockstar, e particolarmente David Bowie.
Incoerentemente Yonoi mentre si preoccupa morbosamente della sorte di un nemico praticamente sconosciuto accresce il livello di tensione e di aggressività verso gli altri prigionieri a lui affidati.
Convoca il comandante inglese, il colonnello Hicksley (Jack Thompson) e gli ordina di fornirgli un elenco degli specialisti di armamenti presenti nel campo.
Ovviamente questi gli oppone un fermo rifiuto, è un genere di informazioni che nessun prigioniero è tenuto a fornire al nemico.
Yonoi ha già una soluzione: ha in mente di sostituirlo d'autorità con Celliers. Una decisione molto strana, dal momento che il maggiore si è già dimostrato un avversario temibile. Sicuramente molto di più dello stolido Hicksley, che si oppone a Yonoi unicamente per difendere le sue convenzioni e per mera testardaggine.
Malgrado tutto i protagonisti di questa guerra nella guerra continuano a cercarsi: richiesto da Lawrence di limitare gli allenamenti notturni di spada, che disturbano il sonno dei prigionieri nell'infermeria, l'impenetrabile corazza mentale e culturale di Yonoi sembra mostrare dei varchi. Aderisce alla richiesta, ma non solo: confessa che avrebbe grande desiderio di poter invitare i suoi prigionieri a vedere la festa dei ciliegi in fiore in Giappone, in un mondo finalmente in pace.
Non è destino che questo desiderio si compia, né che la reciproca ricerca porti ad una definitiva comprensione ed accettazione dell'altro.
L'incanto si spezza prima ancora di diventare palpabile. Yonoi ordina bruscamente ad Hara, che assisteva sullo sfondo, di preparare immediatamente l'harakiri, il suicidio rituale, di Kanemoto (Johnny Okura).
E' l'uomo che ha violentato il giovane olandese. Tutti gli ufficiali prigionieri, inglesi ed olandesi, dovranno assistere. Ed anche il maggiore Celliers, non importa che sia ancora malato.
Da lì parte il processo distruttivo che porterà alla tragedia. In un moto di orgoglio titanico Yonoi intende mostrare al nemico come il giapponese, anche quello macchiatosi dei peggiori crimini, sappia redimersi con la morte. Rivendica la superiorità della sua cultura. Non gli sarebbe probabilmente possibile accettare il confronto con altri ideali se non rivendicasse prima la superiorità dei suoi.
La irragionevole sfida di Yonoi si risolve nel disastro e nell'orrore. Kanemoto, visibilmente terrorizzato, non è in grado di attenersi al cerimoniale, disonorandosi e disonorandolo agli occhi degli stessi giapponesi. La vittima di Kanemoto, De Jong, costretto ad assistere alla esecuzione, già turbato da quanto ha subito, non regge ed in una improvvisa crisi di nervi si mozza inavvertitamente la lingua, morendo in pochi istanti.
L'unica reazione di Yonoi è quella di ordinare per i prigionieri - e per se stesso - 48 ore di gyo, digiuno prescritto a chi è affetto da "pigrizia spirituale". Rivendica a Lawrence per l'ennesima volta di essere dalla parte dalla ragione. Lawrence risponde succintamente: "Siamo tutti dalla parte del torto".
E' l'inizio di una lotta mortale.
Celliers, lo sappiamo già, sarà l'elemento catalizzatore. Ma sarà anche un elemento attivo e lucidamente consapevole di quanto sta facendo, non un mero elemento chimico la cui sola presenza basta ad innescare ed attivare la reazione.
La sua azione si può in un certo senso paragonare ad un suicidio rituale, e dimostrerà a Yonoi che anche il nemico è disposto al sacrificio per i suoi ideali.
Pur non avendo partecipato alla tragica esecuzione di Kanemoto, per proibizione del medico, Celliers si è ristabilito al punto di potersi muovere dalla baracca. Assentatosi nonostante il divieto, ritorna con una borsa piena di fiori rossi raccolti per De Jong, il giovane ufficiale vittima per due volte della crudeltà nemica: prima quella del singolo e poi quella di chi rappresenta l'autorità.
Non sono solo un simbolo, non verranno solo deposti sul giaciglio di De Jong.
L'arrivo di una ispezione a sorpresa non turba minimamente Celliers, che ne approfitta anzi per dare la prima stoccata.
A chi gli chiede minaccioso se è stato lui ad introdurre quei fiori, il maggiore risponde mangiando beffardamente il fiore che gli viene messo davanti da un soldato.
Mangiando con ostentatazione quel fiore rosso viola deliberatamente l'ordine del digiuno ed inizia la sua inesorabile opera di distruzione delle certezze - o presunte tali - di Yonoi.
Questi sopraggiunge mentre Celliers viene malmenato e portato fuori, senza che opponga alcuna resistenza. Ha già raggiunto il suo scopo: il fiore si è trasformato in un'arma letale contro cui né Yonoi né gli altri carcerieri avranno possibilità di opporre resistenza.
Se ne rendono conto anche gli altri prigionieri, fino ad allora passivi: iniziano a cantare in segno di protesta, repressi inutilmente con la consueta brutalità da Hara. Anche nel silenzio la loro sfida rimane evidente.
Infine durante l'ispezione viene trovata una radio. I prigionieri si rifiutano di rivelare a chi appartenga, o forse lo ignorano veramente: è inevitabile prevedere una dura repressione. Celliers viene imprigionato, Lawrence legato ad un palo all'aperto.
Durante la notte l'attendente si introdurrà nella cella di Celliers dopo aver ucciso la sentinella di guardia. E' sicuro che in lui si celi uno spirito maligno, ed intende salvare l'anima del suo capitano sopprimendolo.
Avrà però la peggio, Celliers era all'erta ed appartiene ad un corpo di elite addestrato al combattimento corpo a corpo.
Tenterà poi la fuga, nonostante non si sia mai rimesso del tutto a causa delle ripetute percosse, assieme a Lawrence che è riuscito a liberare.
Non riusciranno ad andare lontano nelle loro condizioni, vengono scoperti ben presto.
La spada di Yonoi arresta la fuga di Celliers, che si prepara a difendersi con la stessa baionetta con cui l'attendente intendeva ucciderlo.
Ma sa che non è quella la tattica giusta: con lo stesso sorriso beffardo con cui combatteva con un fiore, ora combatte deponendo la baionetta al suolo per arrendersi.
Si può accettare di morire combattendo, ma si può anche scegliere di continuare a vivere per continuare a combattere.
Per la seconda volta Yonoi comprende di essere stato battuto ma non comprende come. Ordina di riportare i due inglesi in cella, in attesa della autorizzazione dei suoi superiori per metterli a morte: soddisferà così il suo astratto senso dell'ordine. Non gli interessa se siano loro i responsabili della introduzione della radio nel campo. Il suo attendente ottiene di compiere harakiri per espiare la colpa.
Abbiamo già detto che non intendiamo descrivere minuziosamente tutto quanto rappresentato da Oshima. E' un film che va visto ed interpretato da ognuno, ma liberi il più oossibile da preconcetti. Ci siamo dilungati sui prodromi di questa battaglia senza tregua, ora è bene non dire altro.
Non è possibile però tacere sulle motivazioni profonde della fredda determinazione di Celliers. E' il rimorso a spingerlo.
Estremamente legato al fratello più giovane, un essere sensibile troppo fragile per un mondo crudele, e che si esprimeva soprattutto nel canto, ha rinunciato a difenderlo contro la gretta aggressività dei compagni di college, cui non pareva vero di avere una vittima inerme su cui sfogare le proprie frustrazioni.
Celliers ha fatto finta di non udire le grida disperate del fratello, convinto di poterlo così plasmare e rendere più forte. Nella sostanza si è piegato alle convenzioni ed alle barbarie di una cultura che ha i suoi momenti nobili ma anche quelli perversi, e sembra a volte credere che questi siano necessari per innalzarsi a quelli. Né più né meno che ogni altra cultura umana. Ad esempio quella giapponese con cui si sta confrontando ora.
Il fratello di Celliers non ha più cantato in vita sua. I rapporti con lui si sono spenti.
E Celliers sa di non potere, né volere, ripetere una seconda volta quel tragico errore. Adesso deve combattere, a qualunque costo: non assistere inerte dal suo nascondiglio.
Occorre anche aggiungere alcune sfumature alla figura di Hara: imprevedibilmente è proprio lui a rivelare una insospettabile sensibilità, e sarà solamente lui che tenterà in qualche modo di scongiurare la catastrofe.
Non sapremo se si tratti di una ricostruzione di comodo, ma è lui ad opporsi in extremis alla esecuzione degli ufficiali inglesi ribelli, sostenendo di avere scoperto il vero responsabile dell'introduzione della radio nel campo.
Un prigioniero cinese, che ha giustiziato senza indugio. Naturalmente questo rende impossibile smentirlo.
Il suo tentativo sarà inutile, Yonoi non è più in grado di fermare se stesso.
Privato del suo ultimo pretesto, la radio, ritorna sul primo: esige immediatamente un elenco degli specialisti di armi, munizioni ed esplosivi presenti nel campo, pena l'immediata esecuzione di una rappresaglia.
Ordina a questo scopo l'adunata dei prigionieri.
Non gli è sufficiente: devono presentarsi anche i malati.
Sono tutti in condizioni pietose, molti di loro non sono in grado di reggersi in piedi.
Avendo Yonoi perduto ogni controllo, non comunque è in grado di ascoltare i sentimenti né la ragione.
Ripete ancora e per l'ultima volta il suo ordine, dopo avere ordinato ad alcuni prigionieri scelti a caso di affiancarsi al colonnello Hicksley.
Questi si rifiuta per l'ennesima volta di fornire informazioni al nemico. Yonoi si prepara ad ucciderlo per primo. Sul posto, con la sua stessa spada.
Celliers sa cosa deve fare.
Non ha alcuna esitazione.
Probabilmente lo ha sempre saputo quale era il suo dovere, prima di arrendersi alle convenzioni si era battuto coraggiosamente anche per difendere il fratello. Ma non aveva avuto il coraggio di arrivare fino in fondo.
Lo farà ora.
Esce dalle file schierate, e si dirige con passo calmo e sicuro, come se non fossero puntati contro di lui decine di fucili con le baionette in canna, verso Yonoi, che si concentra in attesa di vibrare il colpo mortale.
Nessuno sembra avere il potere di interferire nelle intenzioni di Celliers. Nessuno gli intima di fermarsi o gli sbarra la strada.
Quando è arrivato provocatoriamente davanti a Yonoi, in posizione militare di attesa, questi viene colto dallo smarrimento: tenta di respingerlo.
E' inutile, nulla lo può fermare.
Celliers abbraccia fraternamente Yonoi, e lo bacia sulle guance.
Yonoi impazzisce letteralmente, dopo aver levato la spada per uccidere Celliers la sua mente cede, e sviene.
Celliers pagherà con una atroce morte il suo coraggio.
Ma il suo spirito si ripresenterà sereno al fratello, consapevole di avere pagato la sua viltà passata, la sua schiavitù nei confronti di vuore e crudeli convenzioni che pretendono di essere fondamentali per la cultura, per la civiltà.
L'epilogo è affidato a Lawrence ed Hara. Questi è in prigione, in attesa della esecuzione della sua condanna a morte come criminale di guerra, fissata per la mattina seguente.
La guerra è terminata, e Yonoi è già stato giustiziato da tempo.
Lawrence è andato a trovare il suo antico nemico, il suo antico persecutore.
Non può fare a meno di trovarlo molto più simile a lui di quanto pensasse, e gli confida quanto trovi dura la vittoria.
Hara sembra non avere più nulla, addirittura non avere mai avuto nulla, del bruto che abbiamo conosciuto, ed attende con serenità la morte.
Lawrence si congeda.
Hara lo richiama. Vuole salutarlo un'ultima volta.
E lo saluta come lo aveva salutato, chissà se sinceramente o per scherno, in quel campo di concentramento nell'isola di Giava.
Più o meno quando cominciava a far sospettare da alcuni tenui sintomi di poter forse divenire anche lui un essere umano: "Merry Christmas, mister Lawrence".