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Nagisa Oshima: 1983 - Furyo - L'antefatto

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Nel 1942 l'isola di Giava, colonia del regno d'Olanda, veniva attaccata dall'esercito giapponese. L'intervento nipponico nella seconda guerra mondiale non sarebbe andato a buon fine senza il controllo delle ingenti risorse petrolifere di quell'area. A supporto dei difensori operava un corpo d'armata anglo-australiano mentre il comando generale era affidato al generale olandese ter Poorten, che nel mese di marzo dovette però capitolare.

Per la prima volta, come in altri teatri della guerra del Pacifico, l'esercito giapponese si trovava a dover gestire il problema di centinaia di migliaia di prigionieri di guerra prevalentemente provenienti da nazioni europee (Inghilterra ed Olanda) o dal Commonwealth inglese (Australia e Nuova Zelanda).

La grande distanza dal Giappone aumentava le difficoltà logistiche, ma il Giappone era soprattutto sorprendentemente impreparato a questa eventualità. Nella mentalità del militare giapponese non era prevista la resa e questo aveva già portato alla sottovalutazione del problema e avrebbe immediatamente portato dopo ad una difficile convivenza nei campi di prigionia. Soprattutto per il trattamento inflitto dagli ufficiali al comando e dai militari di truppa ai prigionieri: troppo spesso superficiale e noncurante, non avendo diritto a nulla di meglio soldati che si erano già disonorati arrendendosi, rinunciando ipso facto ad ogni possibilità di trattamento onorevole. Nelle ipotesi peggiori, e furono frequenti, il trattamento fu disumano.

Come del resto lo era stato spesso anche nel decennio precedente, durante le numerose guerre che il Giappone aveva sostenuto nel continente asiatico per allargarvi la sua sfera di influenza. Con la "giustificazione" di avere avuto a che fare con culture inferiori.

Nel campo di prigionia immaginato da Oshima, ma come abbiamo visto disegnato sui contorni dei campi in cui fu effettivamente internato Van Der Post, il comando è affidato al giovane capitano Yonoi. Visibilmente insofferente dell'incarico che gli è stato affidato sottraendolo al campo di battaglia cui aspira di tornare, si dedica ai suoi interessi, tra cui l'allenamento con la spada, delegando la maggior parte dei compiti di routine al rozzo sergente Hara, che li assolve con una brutalità sistematica.

Non che Yonoi vi rinunci per principio, ma non ne prova alcun compiacimento e considera anchessa una sgradevole necessità di servizio.

Il colonnello Lawrence grazie alla sua conoscenza del giapponese è impegnato quotidianamente in ardui tentativi di mediazione, finendo spesso per essere incompreso, e malmenato, dai giapponesi e disprezzato come collaboratore dai suoi connazionali.

Viene richiesta la sua opera: una guardia si è introdotta nella cella dove il giovane prigioniero olandese De Jong (Alistair Browning) era in isolamento e gli ha usato violenza, venendo sorpreso sul fatto. Hara vorrebbe concedergli la "grazia" di uccidersi compiendo harakiri a patto di violentare di nuovo il prigioniero davanti a tutti. Lawrence grida per attirare l'attenzione del capitano Yonoi ma viene atterrato da una bastonata di Hara.

Yonoi arriva in tenuta da allenamento per il kendo, seguito dall'attendente, che nel seguito della vicenda giocherà un ruolo importante.

L'autore dell'infamia per sfuggire ad una infamia peggiore ha già tentato di darsi la morte, con la compiaciuta assistenza di Hara pronto a dargli il colpo di grazia.

L'arrivo di Yonoi ristabilisce - temporaneamente - una relativa calma. Hara spiega senza alcuna remora che la "compassione samurai" lo ha spinto a quella che solo apparentemente è una esecuzione. L'uomo ha tentato il suicidio per la vergogna del suo crimine, e lasciandolo fare invece di arrestarlo e processarlo la madre, molto bisognosa, non perderà il diritto alla pensione.

Yonoi non ha tempo di occuparsi della questione e rimanda ogni decisione. Lo attende una missione a Batavia, dove deve partecipare ad un processo di guerra. Sarà questo evento che cambierà il suo destino.

Il maggiore Jack Celliers è stato catturato nella giungla, dove si era paracadutato nel mese di agosto assieme ad un piccolo gruppo di soldati per compiere azioni di sabotaggio e guerriglia dietro le linee. Rimasto unico superstite, ha scelto di arrendersi.

Rifiuta di collaborare, cosa che ai giapponesi sembrerebbe dovuta da parte di chi rinunciando al combattimento ha implicitamente rinunciato anche ad ogni diritto e pretesa.

Ma Celliers non essendo giapponese non si sente in dovere di adeguarsi ai questi codici di condotta.

Il tribunale lo considera tuttavia un criminale di guerra, passibile di pena di morte: ha infatti combattuto clandestinamente contro le truppe giapponesi dopo la resa da parte delle forze britanniche.

Yonoi è visibilmente colpito dalla determinazione e dignità con cui Celliers difende se stesso e gli ideali della sua civiltà.

Chiede di interrogarlo di persona.

Celliers ha dichiarato di essersi arreso solamente quando la comunità indigena è stata minacciata di spietate rappresaglie se non avesse collaborato alla sua cattura. E negato fermamente di avere mai avuto ai suoi ordini unità irregolari indigene.

Ora su richiesta di Yonoi precisa di non far parte dei reparti che si sono arresi in Giava: la sua missione è stata disposta dal quartier generale inglese in India, con cui il Giappone è ancora in stato di guerra, ed è quindi una azione legittima.

Le date sono inconfutabili: la sua missione è iniziata in agosto, circa 6 mesi dopo la resa dei difensori di Giava, e la sua resa risale ad ottobre.

Dopo il suo arresto, al rifiuto di dare informazioni sui piani britannici, non ha più ricevuto alcun cibo ed è stato sistematicamente bastonato.

Yonoi gli chiede di provarlo. Celliers non deve far altro che togliere la camicia e mostrare i segni delle percosse.

Non c'è bisogno di andare oltre per convincere Yonoi. Per lui Celliers è un combattente regolare e va trattato come un prigioniero di guerra, liberandolo da ogni imputazione.

La corte si ritira per il verdetto.

L'attesa è molto lunga.

Celliers non batte ciglio. L'ufficiale che funge da interprete (Rokko Toura) lo tormenta: un tempo così insolitamente lungo è quasi sempre il preludio di una condanna a morte.

E ultimamente gli ufficiali giapponesi non si affidano più al plotone di esecuzione, preferiscono provare su dei "colli bianchi" il filo delle loro spade.

Infine viene annunciato che il verdetto è rimandato, senza alcuna indicazione sui tempi. Celliers viene riportato nella sua cella.

 

 

La mattina seguente i carcerieri gli intimano bruscamente di uscire. E' è ormai certo di andare ad affrontare la morte.

Si rifiuta però di accettare passivamente sia la sorte che il trattamento iniquo di un nemico incapace di ascoltare altro che se stesso.

Si prende quindi quanto il nemico gli nega, il rispetto umano dovuto ad ogni uomo al cospetto della morte: mima davanti agli stupefatti carcerieri una accurata toeletta mattutina, per prepararsi dignitosamente. Beve un immaginario te, si concede un'ultima immaginaria sigaretta, spegnendola accuratamente a terra. Solo per un brevissimo attimo lascia affiorare la sua disperazione.

Lucidamente ribelle fino all'ultimo, Celliers non lascia ai suoi carnefici altra scelta che ricorrere alla solita brutale violenza.

E' fin troppo facile malmenarlo fino al punto che a stento si regga ancora in piedi, giustificandosi con un suo improbabile tentativo di fuga o di ribellione.

Viene portato, praticamente di peso, davanti al plotone di esecuzione e incatenato. Rifiuta fermamente la benda: i soldati saranno obbligati a guardarlo negli occhi prima di aprire il fuoco.

Poi, la scarica.

 

Mentre il fumo lentamente si dirada, Celliers si rende conto di essere ancora vivo, ed incolume.

I fucili erano caricati a salve. Si trattava solo di una macabra messa in scena.

Una sciocca e sterile vendetta postuma contro un uomo che non si è riusciti a piegare.

Alle spalle di Celliers avanza impassibile Yonoi, l'uomo che ha insistito per salvarlo.

Sembra che lo scontro tra due modi incompatibili di concepire la vita e la morte sia terminato. Ma forse questo non è possibile, quando si inizia una tenzone deve arrivare fino in fondo.

Yonoi e Celliers, gli uomini che sembravano avere maggiori prossibilità di comprendersi, sono stati irreversibilmente scelti dal destino per battersi ancora l'uno contro l'altro.

 

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