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Akira Kurosawa: 1955 - Vivere nella paura - La fine

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I dottori sembrano relativamente ottimisti: Kiichi Nakajima ha bisogno soprattutto di riposo, è stato sottoposto a troppe pressioni.

Ma i familiari sono sicuri che sia l'inizio della fine, e durante la notte di veglia, già sicuri del peggio, si dividono immediatamente, spontaneamente, in due gruppi.

Nel primo ci si interessa solo di raccogliere quanto più possibile dai beni di Nakajima.

Si elaborano piani, si stringono alleanze, si identificano i nemici, li si spia.

 

 

 

 

 

 

 

Il secondo gruppo, e non è certamente un caso che sia formato solo da donne, superato ogni contrasto si sente ora unito.

Le unisce il comune amore per il vecchio leone.

La moglie Toyo, la figlia Sue e l'amante Asako, vegliando l'inquieto sonno del piccolo figlio di Nakajima, avvertono solamente il dolore della perdita umana.

Non si curano minimamente dei loro interessi materiali.

 

 

 

 

 

 

 

 

Nakajima ha un sonno inquieto, e si risveglia nel peno della notte.

Ascolta in silenzio i discorsi dei familiari, che si dividono le sue spoglie prima ancora che lui sia morto.

Soprattutto insistono sulla acciaieria, la loro unica risorsa, l'unica cosa che loro interessi veramente.

E' quello il colpo mortale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La scena cambia bruscamente.

E' ora giorno, e Harada si trova per strada, cercando di farsi strada in mezzo alla folla agitata da qualche avvenimento drammatico.

L'acciaieria Nakajima è andata a fuoco, e non ne rimangono che poche macerie annerite e fumanti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si cercano i colpevoli tra gli operai, ma si fa avanti uno stravolto Nakajima: è stato lui ad appiccare il fuoco, per eliminare la causa delle discordie familiari.

L'unico ostacolo al trasferimento in Brasile non esiste più.

Ora non ci dovrebbe essere più nulla a trattenere i Nakajima in Giappone.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non gli credono. Impossibile che Nakajima abbia distrutto con le sue mani quello che ha creato da solo, contro tutto e contro tutti, nell'arco di una intera vita.

E' costretto ad invocare la testimonianza di Sue, che lo ha visto dare fuoco alla fabbrica.

Inutile dire che nessuno comprende il suo gesto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Anzi, solo adesso alcuni trovano il coraggio di rispondergli a viso aperto, di muovergli le loro obiezioni, che forse avrebbero avuto un effetto positivo se fatte al tempo debito.

Il genero gli rinfaccia la sua incoerenza: se veramente aveva ragione sui rischi atomici, accettando lo scambio con l'uomo del Brasile lo avrebbe portato alla morte al posto suo.

E gli operai della fabbrica? Ora nemmeno a loro rimane più nulla. Solo in quel momento Nakajma se ne rende conto.

 

 

 

 

 

 

 

Dopo aver invano pronunciato la folle promessa di portare in Brasile anche tutti loro, si getta al suolo e chiede perdono.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non ci sarà perdono: le leggi degli uomini non lo consentono, non lo prevedono.

Alla polizia interessa solo sapere se c'è un responsabile di tutto questo.

C'è, ed è Nakajima. Alla legge tanto basta, non è necessario sapere di più.

Il vecchio viene imprigionato.

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