Tecnica e storia

Il nihonto nel costume giapponese

Tutti sanno che l'arma per eccellenza del samurai: è la spada e quasi tutti sanno e che si chiama katana. In realtà non è così semplice.

Quello che vediamo a destra è un tachi, arma pensata per l'uso durante i combattimenti di cavalleria, di conseguenza con lunghezza maggiore e con curvatura maggiormente accentuata.

Ebbene, l'epoca del tachi si estende dalle origini del nihonto fino all'inizio dell'epoca Edo, ossia circa 800 anni. Al confronto, i 260 anni circa in cui venne generalizzato l'uso della katana, a causa della pax Tokugawa che aveva posto fino a secoli di guerre praticamente ininterrotte e la classe samurai si distinse non più, o non più solamente solamente, per la sua cultura marziale ma divenne anche uno dei caposaldi della società civile, ricoprendo i vari ruoli amministrativi che la complessa società giapponese richiedeva.

La classe dei samurai non solo aveva l'abitudine e da quel periodo anche l'obbligo di portare sempre con se due spade, le cui caratteristiche e tipologie si sono evolute nel corso dei secoli. Doveva anche oltre conoscere ed avere la capacità di maneggiare con maestria ogni altro strumento atto ad offendere e difendere. Non ultimi il proprio corpo e la propria mente.

Il samurai nasce come un guerriero feudale che dedica la vita a difendere il suo signore, il suo popolo e la sua terra; la parola deriva dall'antico giapponese saburau che ha il significato di "scortare un nobile". Nell'articolo sistema feudale in origine i samurai appartenevano ad un grado di nobiltà uguale od inferiore al sesto.

Ai samurai oltre ai compiti pratici venne assegnata a partire dall'epoca Kamakura (vedi la Cronologia del Giappone marziale) una rendita che lo liberasse da ogni altra incombenza per metterlo in grado di rispondere in armi senza indugio ad ogni appello.

Combatteva come detto a cavallo, di conseguenza la sua spada era lunga, come quasi tutte quelle adottate dalle cavallerie di ogni epoca. Dai 75 cm in su, spesso intorno agli 80/90 per arrivare a volte ai 120, e l'accentuazione della curva, spesso avente il proprio centro nella parte iniziale della lama (koshizori) le pemetteva una maggiore efficacia nel taglio. Questo tipo di spada si chiamava, e si chiama tuttora tachi, perché anche quando desueta nella vita quotidiana continuò ad essere utilizzata come arma di cerimonia, offerta ai templi o dono onorifico (i sumotori con grado yokozuna vengono ancora oggi accompagnati da un attendente che ha in consegna un tachi rituale) . Veniva appesa alla cintura in posizione orizzontale, mediante dei nastri, con il tagliente verso il basso. La guardia era piatta, per non recare impaccio contro il fianco rivestito di una pesante ed ingombrante armatura. Il manico era rivestito normalmente di pelle di razza (samegawa) per facilitare la presa, senza nastratura.

Come seconda arma il samurai portava sempre con sé un pugnale, il tanto, con lama normalmente compresa tra i 20 ed i 30 cm e concepito per penetrare facilmente dentro la protezione dell'armatura, anche se solo gli esemplari più spiccatamente destinati al colpo di stocco prendono il nome di yoroidoshi (sfonda armatura).

 

Nella foto, un importante tanto (classe juyo token) attribuito alla scuola di Senjuin, esposto nel 2002 alla esposizione di lame giapponesi ospitata dal Klingenmuseum di Solingen, probabilmente la maggiore mai tenuta in Europa.

 

 

kogarasuSembra che le prime lame di pregio siano arrivate in Giappone dal continente e precisamente dalla Corea e dalla Cina.

Ma intorno all'VIII secolo gli artisti giapponesi avevano iniziato a sviluppare un nuovo tipo di lama che si evolse poi fino a divenire il tachi: curva appunto, con una sezione pentagonale (shinogizukuri) che gli assicurava notevole robustezza accompagnata da buona elasticità, caratteristiche a volte contraddittorie ma entrambe necessarie.

La prima lama tra quelle conservate oggi che presenti tutte le caratteristiche del nihonto appartiene al tesoro della famiglia imperiale e si chiama kogarasu maru, la spada del piccolo corvo a causa della forma della punta che ricorda appunto il becco di un corvo.

Potremmo capire che si tratta di un tachi, anche se non ne conoscessimo l'epoca e la storia, notando che viene fotografato o comunque raffigurato nella posizione corrispondente al tachi: con il tagliente verso il basso ed il codolo verso sinistra.

TachiLe linee generali della lama rimasero sostanzialmente le stesse nei secoli successivi, salvo la soppressione del controfilo finale, l'allungamento delle dimensioni, l'aumento del raggio di curvatura e lo snellimento delle proporzioni.

 

Le nostre armature aderiscono spesso al corpo e hanno l'obiettivo di arrestare i colpi con robuste piastre di acciaio. Quelle giapponesi sono accompagnate da molti pannelli mobili di cuoio o legno, raramente metallo, laccati e rivestiti con un fitta nastratura, che deviano i colpi e ostacolano il taglio.

Per contro gli ingombri dell'armatura sono notevoli e possono impacciare alcuni movimenti.

Il maestro Hiroshi Tada, fonte di molte spiegazioni altrimenti inaccessibili data l'appartenenza della sua famiglia alla casta samurai e la sua professione di insegnante e ricercatore nel campo delle arti marziali, ha mostrato in passato l'antico modo di tirare shomenuchi, condizionato dalla presenza di un ingombrante elmo che impediva di alzare la spada sopra la testa.

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Meglio di ogni altra descrizione, proponiamo la foto di una armatura d'epoca, scattata in uno dei tanti musei di cui gli appassionati e gli studiosi sono frequentatori abituali.

Nell'armatura giapponese classica (o yoroi) l'elmo (kabuto) è costituito da una calotta di piastre metalliche, ha un ampio paranuca (shikoro) che scende spesso a coprire anche le spalle ed alette ai lati (fukigaeshi) per deviare i fendenti, sui cui spesso veniva riportato lo stemma (mon) del guerriero.

Per per essere riconosciuti nella battaglia i guerrieri di rango e i comandanti portavano anche una vistosa insegna (maedate) sul frontale dell'elmo. La protezione è completato da una maschera (menpo) che cela il volto. Sono evidenti i pannelli mobili a protezione delle spalle (sode) e delle anche. Gli anelli sul pettorale servono ad assicurarvi le briglie in modo da poter condurre il cavallo col proprio corpo lasciando libere le mani per combattere. A quello sul dorso si assicurava uno stendardo con i colori della casata o del comandante in capo. Come i praticanti di quest'arte noterebbero immediatamente, a questo tipo di armatura sono ispirate le protezioni indossate negli allenamenti e nelle competizioni di kendo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Sono passati alcuni secoli dalla immagine precedente.
Saremmo arrivati quasi ai giorni nostri per la verità, perché la foto seguente viene dal celebre film Il trono di sangue del maestro Akira Kurosawa (1957), ma la ricostruzione è accurata.
Ci troviamo di fronte ad un guerriero di epoca imprecisata, ma comunque tarda rispetto alla precedente: per parlare nei nostri termini, diciamo intorno al 1600.
L'armatura è ormai di tipo quasi occidentale (namban), frutto degli scambi commerciali con olandesi e portoghesi iniziati nel XVI secolo e bruscamente interrotti circa un secolo dopo da un editto dello shogun.
La spada viene ancora appesa alla cintura in posizione orizzontale ma è diventata un handachi, un mezzo-tachi. Si è accorciata la lama e, la montatura - diversa - ha già la caratteristica nastratura (tsukamaki) sul manico.
All cintola il guerriero, un messaggero appena sceso da cavallo, porta il tanto di cui abbiamo già parlato: un robusto pugnale con lama tra i 20 ed i 30 cm, progettato per perforare una armatura (yoroidoshi).
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E quanta acqua è passata sotto i ponti dalla foto precedente per arrivare finalmente a questa.
Tanta acqua che il povero Ihei Misawa, samurai senza padrone (ronin, uomo onda) è costretto a fermarsi in un povero albergo di campagna in attesa che il fiume scenda e i traghettatori lo possano portare dall'altra parte.
Si tratta di un'opera sceneggiata da Akira Kurosawa, che non visse abbastanza a lungo da realizzarla ma che fu portata sullo schermo dopo la sua morte da Takashi Koizumi col titolo di Ame Agaru - Dopo la pioggia - con Akira Terao nel ruolo del protagonista.
Siamo ormai nel XVIII secolo e il samurai, che non è più perennemente in armi, indossa una tenuta molto simile a quella d'allenamento di uno yudansha di aikido o praticante di iaido, salvo che l'aori, il soprabito con i mon di famiglia, viene nelle arti marziali riservato ai grandi maestri e indossato solo in occasioni solenni e una minore lunghezza della hakama per evitare di infangarla.
La spada è ormai diventata la katana che tutti conosciamo (o diciamo di conoscere...). Viene infilata alla cintola e non più appesa, ed il filo (parte convessa) è collocato sul lato superiore. La spada lunga (daito) viene accompagnata non più dal pugnale ma da una spada corta (shoto), con lama tra i 30 ed i 60 cm, assieme alla quale forma una coppia: il daisho.
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La montatura non ha più i rinforzi in metallo, che rovenerebbero in breve tempo le vesti, salvo che alcuni rinforzi al fodero nella variante handachi: Il fodero è in legno laccato, di solito in colore nero opaco che asseconda gli austeri gusti del samurai, con semplici finiture in corno. Anche la guardia (tsuba) che può da sola essere una autentica opera d'arte ed arrivare a prezzi da capogiro, è bene che sia bella ma semplice, essenziale.

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La spada corta viene anche detta wakizashi (arma da lato) e non viene mai abbandonata dal samurai, che lascia invece il daito nell'apposita mensola (katanakake) quando si trova nella sua dimora o nel dojo, o la dà in custodia quando si trova ospite.
Sempre da Ame Agaru, ma in bianco e nero perché viene ricostruita in flashback una avventura giovanile del protagonista, ecco il maestro Tsuji Gettan, interpretato da Tatsuya Nakadai, all' interno del suo dojo.
Dal lato del kamiza si trova un katanakake, con la spada lunga debitamente disposta secondo l'etichetta più corrente (ci sono diverse scuole di pensiero quindi non stupitevi se la vedrete sistemata al contrario, ma per ora non ne parleremo). Infilato alla cintura, l'inseparabile wakizashi.
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Che fine ha fatto la coppia dei vecchi tempi? Il tachi ed il tanto? Vengono ancora utlizzati occasionalmente, il tanto per ragioni pratiche visto che si può portare e nascondere con facilità, soprattutto nella variante kwaiken con lama inferiore ai 20cm adottata spesso anche dalle donne: in realtà anche l'attrezzo in legno utilizzato in aikido sarebbe più un kwaiken che un tanto.

ll tachi soprattutto come indipensabile accessorio dell'alta tenuta con cui si partecipa alle cerimonie. Ancora da Ame Agaru, ecco l'iroso signore Shigeaki, intento a conversare con lo scontroso ronin con cui minaccia di stringere un'amicizia tanto irrequieta quanto profonda. Alle sue spalle l'attendente lo accompagna metro per metro, portando la spada in posizione verticale; per la verità qui si vede una katana, ma si tratta di una piccola imperfezione del constumista; solo il tachi, viene tenuto in posizione verticale, anche a riposo appoggiandolo sul tachikake. Da notare anche che il solo Shigeaki alla cintura porta il tanto e non il wakizashi.

Con il medesimo atteggiamento l'attendente sorregge la spada d'onore dello yokozuna durante i moderni tornei di sumo.

kaneyoshi01Per dirla tutta, diversi tachi sopravvivono ancora ai giorni nostri sotto mentite spoglie: accorciati tagliandoli dalla parte del codolo (la lama viene allora definita suriage) e dotati di una nuova montatura, si sono adeguati ai tempi e continuano a prestare servizio.

Solo alcuni particolari che non sfuggono all'esperto, ed eventualmente la firma - se è rimasta dopo il taglio - che si trova sul lato opposto permettono di identificare un tachi convertito in katana.

Rimarrebbero ancora tante cose da dire sulla spada giapponese e forse proveremo a dirle: ma nulla può eguagliare la forza di un'immagine, che dovrà rappresentarla dura, pura e nuda. Eccola:

 

Il praticante di arti marizali tradizionali giapponesi dovrà prima o poi, con frequenze e metodi di insegnamento variabili da scuola a scuola, impugnare le armi. Si tratta spesso di armi da allenamento, quindi spade in metallo non ferroso (iaito) per la pratica dello iaido, o spade da allenamento in legno (bokken o bokuto) o composte da lamine di bambu (shinai).

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Ci limitiamo per il momento a mostrare le armi utilizzate nella pratica dell'aikido, bokken, tanto e jo. Il bokken (spada di legno) riprende la forma e le modalità d'uso di quella che tutti conoscono come "la spada del samurai" e se volete approfondire le vostre conoscenze potete anche consultare questo articolo dedicato appunto al bokken.

Il tanto è ugualmente di legno e rappresenta la minaccia portata da un pugnale, il jo è un bastone diritto lungo normalmente 128 cm adottato relativamente tardi nella panoplia del samurai: si pensa che sia stato introdotto dal maestro Muso Gonnosuke, fondatore dello stile di scherma Muso Shinto ryu, nei primi decenni del XVII secolo, arrivato nel mondo dell'aikido in crcostanze su cui probabilmente esporremo in altra sede la nostra ipotesi. Nella immagine vengono riportate le misure standard (jusen) di un bokken ed alcuni termini tecnici, gli stessi utilizzati nella terminologia del nihonto.

Bokken, tanto e jo vengono utilizzati non come armi di difesa contro un nemico, ma come strumenti di verifica del proprio apprendimento: si studiano le linee di evasione dalla minaccia, che ha caratteristiche diverse a seconda che venga rappresentata mediante il bokken, il jo od il tanto, si allenano i tempi di reazione o piuttosto di intervento dovendo il praticante mantenere sempre mentalità positiva e spirito di iniziativa non condizionati da alcun evento esterno, si ricerca accuratezza chirurgica in ogni movimento.

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