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Haushofer: Lo sviluppo dell'idea imperiale nipponica - La conferenza. Conclusioni

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«Il fatto che tutti i valori razziali, e soprattutto la strut­tura agraria, fino allora acquisiti furono mantenuti nel sangue e nel suolo, e che la razza insulare, sorta da di­verse correnti razziali assai differenti, sia riuscita a fon­dersi in una quasi completa unità di gusti, di cultura e di vita, è uno dei grandi meriti - disconosciuti per molto tempo, nel paese stesso, fino ai lavori dello Hongio [5] del sistema dello Stato di polizia del periodo Tocugaua dalla graziosa vernice della cultura rococò di Iedo.»

 

L'utilizzo di termini come razza e razziali da parte di un teorico accusato di aver appoggiato l'ideologia nazista naturalmente mette in allarme. La storia personale di Haushofer però parla se non di persecuzioni sicuramente di discriminazioni razziste a suo carico; consiglia quindi cautela nel giudizio. E' plausibile, citazioni da alcuni altri suoi testi sembrano confermarlo, che nel sistema geopolitico dello studioso la parola razza vada intesa nel senso di "civiltà" ossia di sistema sociale determinato dalle condizioni ambientali, sociali e storiche, che prescinde dalle origini etniche dei componenti della civiltà stessa.

La frase chiave per comprendere il significato di queste affermazioni potrebbe essere interpretata di conseguenza in questo modo:

Che la [civiltà] insulare, sorta da di­verse correnti [culturali], assai differenti, sia riuscita a fon­dersi in una quasi completa unità di gusti, di cultura e di vita, è uno dei grandi meriti - disconosciuti per molto tempo, nel paese stesso.

Questa rilettura sembra corrispondere meglio al fenomeno di assorbimento all'interno dell'arcipelago giapponese e della cultura nipponica di impulsi provenienti da India, Corea, Cina. Non ci sono attestazioni invece di grandi flussi migratori e commistioni tra i popoli di queste culture.  Non sottovaluteremmo il termine insulare che Haushofer ha voluto utilizzare. E' obiettivamente incontestabile che gli imperi attualmente arrivati ai nostri giorni, sia pure solo nominalmente e senza rilevanti conseguenze politiche, sia pure attraverso profonde trasformazioni non ancora cessate, siano ambedue insulari: quello britannico e quello nipponico

Inoltre, volendo estendere i parallelismi di Haushofer tra civiltà nipponica e civiltà europee, potremmo tra il serio ed il faceto così parafrasare:

Che la [civiltà Romana], sorta da di­verse correnti [culturali], assai differenti, sia riuscita a fon­dersi in una quasi completa unità di gusti, di cultura e di vita, è uno dei grandi meriti - disconosciuti per molto tempo, nella [città] stessa.

Sappiamo infatti che la civiltà romana è nata dall'incontro di tre culture diverse, formalizzate nella istituzione romana della tribus, da cui derivano tanti concetti che ancora al giorno d'oggi, spesso incosciamente utilizziamo, tutti indicatori dell'apporto comune alla medesima civiltà di culture ed etnie diverse (tributo, tribunale, tribuno...), per tacere dell'incessante processo di amalgamazione di ulteriori culture ed etnie dei secoli successivi . Senza tuttavia disconoscere che questo processo di amalgama ha conosciuto lunghe e travagliate fasi conflittuali: nell'antica Roma  come nel Giappone.

Ma arriviamo al punto in cui Haushofer descrive il momento cruciale: la seconda "invasione" del Giappone da parte dei barbari del sud . Risale al 1853, e ne abbiamo parlato in un altro articolo.

«Le porte chiuse "dell'ultimo paradiso terrestre" furono aperte con la forza dalla flotta degli Stati Uniti al comando dell'ammiraglio Perry. Ad essi seguirono, con i loro satelliti, le potenze occidentali, le quali provocarono una forte perturbazione dell'equi­librio dello Stato dei Tocugaua determinando l'insur­rezione della nazione offesa nella sua fierezza dalla minaccia imcombente sul suo suolo sacro.

L'idea im­periale, fino allora rinchiusa nelle fortezze degli sciogun e nella sacra Chioto, potè cosi risorgere alla vita, indicando nel Tenno l'unico integro simbolo unifica­tore di potenza, analogo a quello che quasi alla stessa epoca fu la fiaccola delle potenze dell'Asse nella lotta per la formazione dell'impero e del regno. Anche in questo processo, che si svolse in Giappone fra il 1854 e il 1879 e quasi contemporaneamente in Germania ed in Italia, si riscontra quel singolare, fatale parallelismo della sorte delle potenze che formano il triangolo Berlino-Roma-Tokio.»

Haushofer allude qui alla creazione degli stati unitari in Germania in Italia, da parte delle dinastie rispettivamente degli Hohenzollern e dei Savoia, che per cementare rapidamente popolazioni divise da secoli e solo parzialmente accomunate dalla lingua e dai costumi, decisero di dare un forte impulso al potere centrale. In Germania venne immediatamente decisa per la nuova nazione la denominazione di impero (Kaiserreich).

In Italia, sembrò forse inopportuno dare l'idea di una sottomissione degli altri territori da parte sabauda, la "fondazione" di un impero venne quindi delegata a varie operazioni di espansione coloniale, più o meno coronate da successo. Formalmente però solamente nel 1936 il re d'Italia venne proclamato Imperatore d'Etiopia. Un impero dalla vita molto breve, in realtà già crollato nel momento in cui Haushofer teneva la sua conferenza in Roma (marzo 1941): la resa delle ultime truppe italiane in Etiopia al comando di Amedeo d'Aosta, asserragliate sull'Amba Alagi, risale a due mesi dopo. Le sue parole suonano come una forzosa ma non necessariamente condivisa apologia delle ideologie dominanti.

 

«A partire dalla metà del XIX secolo, lo sviluppo dell'Idea imperiale, ormai sciolta da ogni impedimento, si compì con rapidità e potenza eccezionali sotto la guida del giovane imperatore Meigi e della sua eletta schiera di consiglieri, i genro. La nave dello Stato sembrava ancora oscillare pericolosamente sulle onde delle passioni di parte, mentre il Partito gioito (avverso agli stranieri) e il Partito caicocuto (favorevole all'aper­tura del paese) se ne contendevano il timone.

 Mai forse il giovane Tenno Meigi, venerato poi come Cami, si trovò in maggiore pericolo di quando una tumultuosa scorta d'onore, costituita da uomini delle due spade, si prost[r]ò davanti alla sua portantina per dissuaderlo dal trasferirsi dalla sacra Chioto nella Iedo profanata dagli stranieri e nella fortezza degli shoguni conqui­stata dal Partito nazionale, offrendo poi il proprio turbolento appoggio al giovane e timido principe Mutsuhito, appena salito al trono, che poi divenne uno dei maggiori attori che agissero sui retroscena della storia mondiale.»

Mutsuhito all'atto della ascesa al trono, all'età di 16 anni ed apparente facile preda dei suoi scaltriti avversari, scelse il nome di Meiji che contrassegnerà la sua era (1868-1912). Era in realtà salito al trono nel 1867, a 14 anni ma il suo regno si calcola solamente a partire dall'anno seguente, con la capitolazione dello shogun, di cui Haushofer parla dopo accennando alla battaglia di Fushimi che concludendo il sensô Boshin (Guerra dell'anno del Drago) nel gennaio 1868 portò alla capitolazione dello shogun restaurando il potere imperiale.

L'ideologia imperiale in questo periodo si trasforma, e si allinea agli stilemi dell'imperialismo occidentale. Destò enorme scalpore l'apparizione delle prime immagini dell'imperatore, che era stato fino a quel momento una entità misteriosa di cui oltre alle fattezze si ignorava praticamente tutto.

Poco tempo dopo un ulteriore trauma ideologico: l'imperatore veniva raffigurato non solo in abiti occidentali ma addirittura in uniforme, e queste immagini venivano diffuse ed affisse nei luoghi pubblici. Venivano coniate, a cura dell'italiano Edoardo Chiossone, delle monete imperiali. Non riportavano l'effigie dell'imperatore, ma solamente lo stemma imperiale (il kikumon, il crisantemo a 16 petali), affiancato da foglie di aoi, simbolo delle forze armate di cui l'imperatore tornava ad avere il comando dopo millenni.

Allo stesso Chiossone veniva chiesto di fornire un ritratto ufficiale dell'imperatore. Rifiutandosi fermamente Mutsuhito di posare, venne rielaborata da Chiossone l'immagine che vedete a fianco, risalente a circa 10 anni prima.

«Con questa processione [lo spostamento della sede imperiale da Kyoto a Tokyo] si compì simbolica­mente, dopo la battaglia di Fuscimi [gennaio 1868] - l'ultima combattuta in Giappone all'arma bianca - il trasferimento del potere imperiale dal convento del Micado alla Reggia temporale, che, con i suoi bastioni caratteristici, costi­tuisce tuttora il centro della terza città del mondo.

...

In tutti questi sconvolgimenti e queste tempeste la tradizione dell'idea imperiale si è conservata in modo ammirevole nella sua evoluzione; in essa la dinastia ultrabimillenaria si è dimostrata effettivamente come la salda roccia cantata nel'inno imperiale "Kimigaioua"...»

...

Ciò che i governi «Taiscio», il figlio, e «Scioua», il nipote, apportarono all'impero Meigi in territorio e popolazione, corrisponde alle direttive ed alle conce­zioni territoriali stabilite dagli antichi giapponesi. E poiché questi acquisti rispondono alla coscienza dell'intima natura geopolitica essi non compromettono l'unità compiuta, attraverso le pericolose oscillazioni fra la politica continentale e quella di espansione sull'Oceano.

 

E' bene riassumere la successione al trono degli ultimi imperatori, a partire dalla restaurazione del potere imperiale. E' tradizione che chi salga al trono scelga un nuovo nome, che contrassegnerà il suo regno.

Mutsuhito

(Meiji)

Meiji jidai

Era del regno illuminato

1868 - 1912

Yoshihito

(Taishô)

Taishô jidai

Era della grande giustizia

1912 - 1926

Hirohito

(Showa)

Showa jidai

Era della pace illuminata

1926 - 1989

Akihito

(Heisei)

Haisei jidai

Era della pace ovunque

1989

E' fin troppo evidente che l'aspirazione dell'imperatore Showa alla creazione di un'era di pace illuminata venne tragicamente delusa.

Le conclusioni di Haushofer si prestano ad una doppia interpretazione. Da una parte possono suonare come servile ossequio ai regimi del tempo, che certamente non avrebbero permesso critiche nella sede di una istituzione ufficiale e altrettanto certamente si attendevano che nel testo della conferenza si rendesse loro esplicito omaggio.

«Un ulteriore monito era costituito dall'esempio del primo sciogun Tocugaua, che nel 1607 e nel 1615 pose ad Hideiosci un termine pacifico ai piani di espan­sione sul Continente, e che, nonostante gli invii di navi nel Messico e la fondazione di colonie sugli stretti della Sonda e nel Siam, preferì consolidare e delimitare l'Im­pero, anziché compromettere le proprie conquiste. Am­moniva infine il saggio esempio dell'imperatore Meigi col suo procedere guardingo, passo per passo, con la sua lealtà personale che valse, a mantenergli le armi ed il consiglio di una provata schiera di servitori, con la sua esemplare politica personale dietro le quinte, che lasciava ai politicanti di agire alla ribalta mentre i veri esponenti dell' idea imperiale preferivano servirla inosservati.

Per questa sua grande e costante tradizione, l'arci­pelago giapponese ha assunto, in virtù della sua so­lida ed elastica struttura, una parte dominante nella realizzazione dell'idea della grande Asia Orientale nel quadro della formazione dei grandi spazi del mondo. Ciò nonostante esso è sempre rimasto fedele a se stesso, senza subire quelle influenze dannose che tanto facil­mente subiscono l'anima dei popoli che cercano di con­quistare il mondo. Ma le potenze europee dell'Asse, esposte per l'affinità del loro divenire ad una lotta ana­loga, augurano al loro alleato di mantenere la propria Idea Imperiale in quella purezza ed integrità con cui gli è stata conservata, in virtù di fortuna e di destino, nel suo terzo millennio.»

Affiora però il sospetto, che non si lascia sopire, che questa chiusa volesse essere piuttosto un monito a non lasciarsi abbagliare da insensati sogni espansionistici: consolidare e delimitare l'impero, anziché compromettere le proprie conquiste ... lasciava ai politicanti di agire alla ribalta mentre i vari esponenti dell'idea imperiale preferivano servirla inosservati ... mantenere la propria Idea Imperiale in quella purezza ed integrità con cui gli è stata conservata.

Se questo era un monito, e i dubbi tendono a sciogliersi osservando che l'oratore utilizza deliberatamente questa esatta parola, certamente non venne ascoltato. Forse nemmeno notato. Haushofer concludeva con queste parole il suo intervento nel marzo 1942. Nel dicembre dello stesso anno il Giappone entrava come già detto in guerra, con l'attacco proditorio alla flotta americana ancorata a Pearl Harbor.

P.B.


 

[5] Probabilmente Shigeru Honjo (1876-1945). Messosi in luce durante la guerra contro la Russia (1904), dopo la prima guerra mondiale fu addetto militare in Europa ed in seguito comandante durante durante l'invasione giapponese della Manciuria (1932). Coinvolto in un tentativo di colpo di stato (1936) rassegnò le dimissioni. Morì suicida mentre era in attesa di giudizio da parte delle autorità di occupazione (1945). Non sappiamo a quali opere di Honjo si potesse riferire Haushofer.

[6] Kimi ga yo, l'inno nazionale giapponese, riprende un haiku di autore ignoto risalente probabilmente all'epoca Heian, e venne adottato nel 1880 su musica di Hayashi Hiromori, musico di corte. E' in realtà un inno all'imperatore:

Kimi ga yo wa

Chiyo ni yachiyo ni

Sazareishi no

Iwao to narite

Koke no musu made

Che il Vostro regno

Duri mille, ottomila generazioni,

Finquando i ciottoli

Divengano rocce

Coperte di muschio

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