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Haushofer: Lo sviluppo dell'idea imperiale nipponica

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Karl Haushofer

Lo sviluppo dell'idea imperiale nipponica

Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente, 1942

 

L'enigmatica figura di Karl Haushofer (1869-1946) probabilmente può essere inquadrata meglio solamente attraverso i suoi scritti, rinunciando alle fonti indirette. Di consequenza, il testo di questa conferenza, tenuta nel 1942 presso l'ISMEO di Roma (Istituto per il Medio ed Estremo Oriente, poi divenuto ISIAO e posto in liquidazione amministrativa nel 2012), riveste un particolare interesse. Dovremo chiarirne i motivi prima di passare alla analisi del testo. Va prevenuto il lettore che non sarà una esposizione breve ma nemmeno potrà scogliere molti dubbi, destinati a rimanere sul terrreno.

 

Nato a Monaco di Baviera, Haushofer proveniva da una famiglia di accademici e studiosi e sembrava destinato a proseguire su questo cammino. Terminato il liceo prestò il servizio di leva nell'esercito e si trovò a suo agio nell'ambiente militare decidendo di rimanervi. Perfezionò i suoi studi presso l'Accademia di Guerra del Regno di Baviera, che faceva parte dal 1871 dell'Impero Germanico, e venne sul finire del secolo assegnato allo stato maggiore con incarichi di insegnamento nelle Accademie. Nel novembre 1908 venne inviato in Giappone in qualità di osservatore e di istruttore di artiglieria presso l'esercito nipponico, tessendovi una  fitta rete di rapporti e ottenendo una udienza presso l'imperatore Meiji, giunto quasi al termine del suo lungo regno.

Haushofer si trattenne in Giappone fino all'estate del 1910 e viaggiò in numerosi altri paesi asiatici, tra cui Corea, Tibet e India, studiandone le lingue e la filosofia. Al ritorno in patria prese una lunga aspettativa dall'esercito per ragioni di salute e conseguì il dottorato in filosofia a Monaco discutendo la tesi Dai Nihon, Betrachtungen über Groß-Japans Wehrkraft, Weltstellung und Zukunf (Riflessioni sulla grande forza militare del Grande Giappone, sulla sua posizione nel mondo e sul futuro). Richiamato in servizio, durante la Prima Guerra Mondiale ebbe il comando di una brigata sul fronte occidentale, e al termine del conflitto aveva il grado di maggior generale, col quale si congedò per ritornare nel mondo accademico.

Ottenuto un incarico alla Università di Monaco nel 1919, Haushofer sviluppò le sue idee: gli insuccessi della Germania erano dovuti secondo lui anche ad una insufficiente conoscenza di quanto accadeva nel mondo, era pertanto necessario accrescere sia nel mondo accademico che nella società le competenze geopolitiche e diffondere la conoscenza dei meccanismi che governano le scelte esistenziali dei popoli e le dinamiche dei loro rapporti, conflittuali o di collaborazione e mutuo sostegno che fossero.

Ebbe tra i suoi assistenti un promettente giovane di nome Rudolph Hess. Negli anni successivi Hess si avvicinò alle idee di Adolf Hitler trasmettendogli il materiale elaborato da Haushofer, che venne adattato per utilizzarlo in numerosi discorsi o testi del futuro fürher.  Per questa ragione Haushofer viene spesso considerato un ispiratore o perlomeno un fiancheggiatore del regime nazista. Cosa peraltro da lui negata, in quanto sosteneva di non avere alcuna responsabilità nella appropriazione di alcune sue idee - peraltro malcomprese e distorte - da parte dell'ideologia nazista, e di esserne venuto a conoscenza solamente a posteriori.

I vincoli non solo professionali ma anche personali con Hess sono indiscutibili. Nel 1923 questi venne imprigionato assieme ad Hitler in seguito al fallito colpo di stato conosciuto come il Putsch di Monaco. Haushofer si recò a visitarlo in prigione, incontrandosi anche con Hitler.

Va rilevato che le teorie geopolitiche di Haushofer riscuotevano all'epoca grande interesse di conseguenza molti personaggi politici vollero incontrarlo, ma non solamente o principalmente quelli destinati a compromettersi con il regime nazista. Vanno ricordati soprattutto due pionieri dell'integrazione europea come il futuro cancelliere Konrad Adenauer e l'austriaco Richard Coudenhove-Kalergi, di madre giapponese tantevvero che il suo terzo nome era Eijiro. Fu Kalergi per primo a ricevere nel 1950 il premio Charlemagne e fu sempre lui a proporre l'adozione dell'Ode alla gioia di Beethoven come inno dell'Europa Unita.

Negli anni che precedettero la guerra, mentre il nazismo saliva al potere, i legami ideologici con Haushofer sembravano quasi cessare per dar luogo anzi ad aperta ostilità, mentre Haushofer continuava a mantenere rapporti con ambienti ed istituzioni internazionali estranei se non apertamente ostili alla Germania nazista. Nel 1933 la sua casa venne sottoposta a perquisizione per cercarvi armi, senza risultato.

Nel 1935 in seguito alla promulgazione delle leggi razziali di Norimberga alla moglie di Haushofer - che aveva alcuni ascendenti ebraici - e ai figli venne imposta la qualifica di misching (sangue misto). L'intervento personale di Hess, intimo amico di Halbrecht Haushofer (figlio maggiore di Karl e collega di studi dello stesso Hess) fece assegnare ai membri della famiglia un certificato: forse un Deutschblütigkeitserklärung (attestazione di sangue tedesco) che alleggeriva la posizione di chi ne era in possesso o forse quello cosidetto di "arianità ad honorem" che veniva concesso personalmente da Hitler e poteva essere in ogni momento revocato.

E' noto a tutti che in un momento della Seconda Guerra Mondiale in cui sembrava inevitabile ed imminente la vittoria nazista (maggio 1941) Rudolph Hess si impossessò di un aereo militare e pilotandolo personalmente sfuggì agli aerei da caccia che avevano l'ordine di abbatterlo raggiungendo l'Inghilterra, dove ebbe un atterraggio di fortuna.

Catturato dall'esercito inglese, chiese ed ottenne un colloquio con il duca di Hamilton, portando a garanzia la comune amicizia con Halbrecht Haushofer, chiedendogli di conferire con WInston Churchill. Gli scopi della sua missione non vennero mai resi noti, e parte della documentazione relativa è ancora considerata segreta. I colloqui con le massime autorità, se mai ci furono, non ebbero frutto ed Hess venne imprigionato.

Da parte sovietica si continuò sempre a negare il suo rilascio pertanto Hess nel 1987 morì suicida a 93 anni nel carcere tedesco di Spandau, in cui era rimasto l'unico prigioniero. I maggiori esponenti della alleanza occidentale si espressero ripetutamente contro la posizione sovietica, lasciando immaginare che Hess,  fuori di se mentre faceva le sue proposte,  non avrebbe dovuto essere preso sul serio. Churchill parlò apertamente di un caso clinico e non politico. Tutto lascia supporre che Hess intendesse proporre una pace tra Germania ed Inghilterra che avrebbero poi dovuto muovere guerra congiunta contro l'Unione Sovietica. Le circostanze della sua avventurosa fuga dalla Germania confermano però che si trattava solamente di una sua idea fissa - probabilmente patologica - che non trovava alcun credito in Germania.

Nel 1944 Halbrecht Haushofer, dopo il fallito tentativo di attentato contro Hitler da parte di Von Stauffenberg, si diede alla clandestinità ma venne rintracciato ed arrestato. Pochi mesi dopo, mentre la Germania stava crollando sotto i colpi incrociati degli angloamericani e dei sovietici, fu prelevato dalla sua prigione e fucilato da un reparto delle SS. Il professore Karl Haushofer venne internato dal regime a Dachau, ma ne uscì vivo. Nel setttembre 1945 venne sottoposto ad inchiesta da parte delle autorità di occupazione, che non riscontrarono sue implicazioni in crimini di guerra o nelle attività del partito nazista, prosciogliendolo. L'11 marzo 1946 Karl Hausofer e la moglie Martha si toglievano la vita avvelenandosi con arsenico. Assieme ad Haushofer scomparvero probabilmente per sempre le chiavi necessarie a comprendere le ragioni e le motivazioni delle sue dottrine e delle sue azioni.

Non si può fare a meno di osservare che l'epilogo della vicenda umana di Haushofer ricorda in modo impressionante quello del generale nipponico Nogi, di cui abbiamo parlato anche nella recensione al testo di Barthes L'impero dei segni e più in dettaglio qui. E' estremamente probabile che Haushofer abbia conosciuto Nogi durante il suo soggiorno in Giappone, sicuramente il suicidio di Nogi e della sua sposa era a sua conoscenza e deve avergli lasciato una profonda impressione.

Abbiamo già detto che il testo della conferenza riveste notevole interesse: venne tenuta a Roma il 6 marzo 1941. L'Italia era entrata in guerra l'anno precedente (10 giugno 1940) mentre il Giappone era in quel momento neutrale. L'azione contro Pearl Harbor che segnò l'apertura delle ostilità da parte del Giappone contro gli Stati Uniti d'America (azione che venne giudicata proditoria, tanto che il presidente statunitense Roosevelt definì quel giorno the Day of infamy) avrà luogo solamente il 7 dicembre di quello stesso anno. Rudolph Hess avrebbe spiccato il volo verso l'Inghilterra per la sua folle missione appena due mesi dopo la conferenza.

Ci troviamo quindi in un momento storico in cui le idee di Haushofer - teorizzate in diversi suoi testi - di una naturale e proficua alleanza tra Impero Nipponico, Italia e Germania, assumono particolare rilevanza e possono considerarsi concause di avvenimenti epocali, che vengono a maturazione proprio in quel periodo.

Non vengono date indicazioni sulle modalità con cui venne raccolto il testo, né sulla lingua in cui Haushofer tenne la sua esposizione. Sappiamo che padroneggiava molte lingue asiatiche ma non se fosse in grado di tenere una conferenza in italiano. Diversi indizi portano a credere che si tratti della verbalizzazione di un resoconto stenografico, come le trascrizioni fonetiche di termini e nomi giapponesi (Chioto, Tocugaua...) che vengono sporadicamente affiancate dalla trascrizione corretta inserita tra parentesi. Per quanto apparentemente indirizzata ad un pubblico generico non particolarmente addentro alla storia giapponese la conferenza non manca di lasciare interessanti spunti che potrebbero essere materia di proficui approfondimenti.

Cercheremo di citarne ampi stralci, rinunciando a pubblicarne il testo integrale. Non sono infatti ancora scaduti i termini dei diritti di autore: occorrerà attendere per questo il marzo 2016, quando saranno trascorsi 70 anni dalla morte di Karl Haushofer.

 


Come già detto è probabile che la conferenza sia stata stenografata ed in seguito trascritta da personale non addentro alla cultura giapponese. E' possibile che derivino da ciò  alcuni apparenti errori od omissioni in cui sembra incorrere Haushofer. Viene citata ad esempio la morte di Oda Nobunaga "nell'incendio di un tempio" senza precisare che in realtà era stato assalito a tradimento dal suo feudatario Hakechi Mitsuhide. Questi dopo averlo circondato diede fuoco al tempio di Honnoji ove Nobunaga pernottava, costringendolo presumibilmente al seppuku (i corpi di Nobunaga e dell'attendente Mori Ranmaru che era al suo fianco non vennero mai rinvenuti).

 

«Come unico esempio di salda fede teogonica ancora esistente in un grande popolo, l'idea imperiale nippo­nica sorge e si sviluppa, attraverso una serie ininterrotta di avi, dalla profondità della forza divina insita nella sua origine religiosa. Questa sopravvivenza durante due mil­lenni e mezzo è unica, e distingue l'idea imperiale nip­ponica da tutte le altre, anche da quelle che, pur avendo varcato in epoca precedente la soglia che separa il pri­mitivo mito nazionale dalla successiva leggenda sulla fondazione dello Stato, non hanno saputo conservare nel loro processo di evoluzione, l'intima connessione.

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Analoghe differenze [rispetto a quelle tra l'impero giapponese e quello cinese] distinguono l'idea imperiale nip­ponica da tutte le concezioni nazionali occidentali, per quanto grandi fossero le loro aspirazioni: dal Sacro Romano Impero della Nazione Germanica o dall'Im­pero che fieramente si ricollega alla fondazione della Città Eterna per rinnovarsi come massima potenza del Mediterraneo, all'Impero spagnuolo, il primo che ab­bracciasse effettivamente tutto il mondo, a quello assai più giovane della Gran Bretagna, all'Impero francese, al colosso russo dai piedi d'argilla.»

Nella mentalità media occidentale si dimentica spesso, infatti, che l'originalità e forse unicità dell'idea imperiale nipponica non deve far dimenticare che una fase imperiale, precoce o tardiva, reale o platonica come l'Impero "della massima potenza del Mediterraneo", era stata attraversata anche da tutte le grandi potenze europee. Era anzi a questi esempi che si era ispirato l'impero giapponese durante l'epoca Meiji, per rinnovarsi senza tuttavia perdere i legami con la propria storia e le proprie tradizioni.

Proprio in questa ottica di allargamento dei propri orizzonti va inquadrata la missione in terra giapponese di Haushofer sul finire del regno di Meiji, che si affianca a quelle analoghe di tanti militari, amministratori ed esperti dei vari campi delle arti, delle scienze e dell'amministrazione statale. Provenivano soprattutto da Francia, Italia, Germania, Inghilterra, Stati Uniti.

Forse l'attenzione nipponica verso gli imperi occidentali era tutto sommato malriposta, visto che non ne sopravvive nessuno. Sono ancora tali, ma più di nome che di fatto in quanto il loro imperium sopra altri territori e nazioni è minimo o inesistente, quello britannico e quello nipponico. Forse non a caso entrambi insulari.

«A tutte queste con­cezioni, l'idea imperiale nipponica quale è descritta dall'Avarna [1], dalla iamatologia tedesca e dai miei libri, si contrappone come una concezione a sé. Il solo fatto che, a differenza di quanto è avvenuto per tutte le altre concezioni nazionali, le migrazioni dei popoli non hanno esercitato alcuna influenza sulla concezione nazionale giapponese, ma che questa è sorta in modo autonomo dalle migrazioni di tribù, basterebbe, a caratterizzare in modo assoluto la genesi dello Stato giapponese.

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Importanza decisiva per gli ulteriori sviluppi dello Stato ha l'epoca in cui i suoi creatori escono dall'oscu­rità della preistoria e della storia primitiva e dal­l'aureola che circonda il periodo iniziale, semidivino ed eroico, per entrare nella luce viva della storia. Questo passo oltre la soglia che porta dalla semi-oscurità divina alla terra nutrice di eroi, si ricollega per il Giap­pone all'isola vulcanica Chiusciù, prospiciente l'Oceano, ed all'immagine eroica del vulcano Tacaciho.

Fu qui che il genio geopolitico del fondatore dell'im­pero, Gimmu Tenno, primo della serie ininterrotta di 124 imperatori, sentì la vocazione divina che lo indusse a cercare il nucleo del futuro impero insulare, a fondarlo ed a consolidarlo. Fin dall'origine esso ebbe il vantaggio di essere bicellulare: di avere cioè una cella marittima, il mare interno, ed una cella continentale, situata nel suo angolo più remoto, il Camigata,che si unirono in feconda unione.»

Incentrato sull'asse Kianai (mare interno) e Kamigata (Kyoto - Osaka) l'impero nipponico era destinato ad espandersi in una precisa direzione:

«Le popolazioni guerriere delle frontiere vogliono essere sempre occupate nel loro mestiere delle armi; quando le loro marche insulari non presentano più possibilità di guerre, esse volgono gli sguardi verso la vicina costa. Dei tentativi di espansione oltre il mare, in direzione della Corea, si verificarono quindi ben presto da parte delle isole meridionali, più densamente popolate, quando le tribù guerriere abitanti nella marca nord-orientale avevano ancora vasti campi di attività dinanzi a sé; essi si svolsero all'incirca nella direzione seguita nella sua spedizione nella marca orientale dall'unica persona­lità veramente guerriera della casa imperiale, il prin­cipe Iamatodache (Yamatodake). [2]
L'espansione verso il continente in direzione della Corea, legata leggendariamente alla figura dell'imperatrice Gingo Gogò (Jingo Kogo), si ricollega all'obbligo im­posto ad ogni conquistatore fin da tempi remotissimi di assimilarsi in qualche modo gli spazi conquistati. E così, al seguito degli eserciti, si vennero introducendo nell'Im­pero nipponico, sempre più consolidato ed accentrato, non solo l'uso dei cavalli e di altri beni culturali, ma anche il buddismo originario dall'India, la cultura politica cinese, e, nel V secolo, col coreano Uahi (Wahi), la scrittura. L'alta civiltà straniera conquistò in primo luogo i massimi esponenti dell' Idea Imperiale, nonostante che la dottrina dello scintoismo e la fierezza delle vecchie dinastie ugi vi si opponessero.»
 
Queste opposizioni alla penetrazione di culture esterne diede origine a un lungo periodo di turbamenti e di lotte
 

«Con la civiltà Nara e poi quella Heian, [710-794 e 794-1192] si raggiunse dopo accanite lotte «fra i santi e i cavalieri» - ed almeno per quanto concerne i paesi costituenti il nucleo centrale dell'impero - una specie di equili­brio politico e culturale. Questo, naturalmente, era limi­tato ad una cerchia relativamente ristretta degli am­bienti di corte «press'a poco come in Occidente all'epoca dei Carolingi, degli imperatori sassoni e salici» che le tribù guerriere delle frontiere e la nobiltà guer­riera consideravano con diffidenza. Ben presto risultò che l'idea imperiale poggiava su un equilibrio delle forze estremamente labile.»

 

 


 

[1] Carlo Avarna di Gualtieri, La politica giapponese del nuovo ordine, 1940.

[2] Probabilmente il leggendario principe Yamato Takeru (valoroso di Yamato) no mikoto, figlio dell'imperatore Keikô. Si tenga presente per un raffronto che lo si pensa  contemporaneo dell'imperatore romano Augusto


Dopo aver illustrato per grandi linee il nascere dell'impero e dell'ideologia imperiale in Giappone, attraverso processi non dissimili da quelli attraversati in differenti civiltà, Haushofer intende spiegare per quali ragioni questa ideologia si sia mantenuta sostanzialmente integra attraverso i millenni, sopravvivendo ai mutamenti epocali. Come spesso accade, questa inusuale conservazione di antichissimi costumi ancestrali è stata resa possibile da una costante capacità di adattamento. Senza intaccare la sostanza sono mutate a seconda delle circostanze sia le forme esteriori che i concetti guida dell'idea imperiale.

Va osservato che il principio di famiglia allargata (dôbô) di cui parla Haushofer, che comporta un complesso ma condiviso sistema di rapporti gerarchici, di mutuo sostegno e solidarietà, sopravvive tuttora a detta di alcuni studiosi nella società giapponese e ne costituisce anzi la caratteristica peculiare. [3]  Inserendo l'individuo in un sistema di rapporti predeterminati - per quanto possa apparirne limitata la libertà del singolo - la società nel suo complesso arriva con maggiore puntualità a perseguire i suoi obiettivi. 

 

« ... nemmeno i cancellieri e maggiordomi dell'epoca Fugiuara (Fujiwara), che poco a poco avevano assunta una specie di tutela sul Tenno, gran sacerdote del culto degli avi, e nemmeno i capi dell'opposizione costituita dai guerrieri delle fron­tiere, né la nobiltà cortigiana dei cughe (kuge), né quella appena formantesi dei samurai, osarono o tentarono vio­lare gli elementi, l'essenza dell'idea imperiale, la quale conservò perciò il sentimento di fraternità (dòbò) verso il capo famiglia.

Al contrario, allorché la forte reazione nazionale, che emanò dai guerrieri delle frontiere con la creazione di un contropeso politico contro i mag­giordomi Fugiuara, incominciò a costituire un effettivo pericolo con la costituzione di un secondo centro di gravi­tazione politica a Camacura, si diffuse la concezione del Dio-Imperatore. Mentre le selvagge lotte fra Taira e Minamoto, simili alla guerra delle due rose, e la scis­sione della casa imperiale sotto il Regno del Tenno Godaigo stavano compromettendo seriamente la com­pagine dello Stato, l'idea imperiale subì, attraverso i grandiosi poemi politici (1220-1339), una chiarificazione simile appena a quella raggiunta con i poemi dell'epoca Heian.

Dopo che l'abate Yien (1155-1225), basandosi sul punto di vista buddista, ebbe creato l'epopea di Stato Gu-cuansciò (Gukwanshô), opera che compendia il risultato delle osservazioni fatte dall'alto della sua montagna. sulla città di Chioto in preda alle lotte, Chitabatache Cicafusa scrisse, in circostanze difficilissime, esule, ma fedele all'Imperatore, il panegirico (Ginnosciotochi) della concezione dell' Imperatore come divinità, che uno sto­rico del Giappone moderno, Hiraizumi, chiamò a buon diritto una delle basi fondamentali dell' Impero, e che un traduttore tedesco, Bohner, ha paragonato alle can­tiche eterne di Dante.

Effettivamente questi due grandi poemi politici furono scritti alla sola distanza di due decenni l'uno dall'altro, il che costituisce una delle molte prove dello strano pa­rallelismo fra la storia occidentale e quella giapponese. Entrambi i poemi sono sorti nell'esilio. Per entrambi i poeti, provati anche come uomini di governo e guerrieri, la morte prematura dell'Imperatore da loro auspicato ha infranto per sempre le speranze della vita. Ma en­trambi sono poi divenuti per i loro popoli il punto di partenza di un rinnovamento spirituale.»

 

Nonostante questa tensione ideale l'idea imperiale conobbe nei secoli seguenti lunghi periodi di crisi, sia in occidente che in oriente, alcuni dei quali dovuti ad invasioni di barbari ma altri a decadenza delle istituzioni per ragioni endogene.

Al culmine della lunga crisi in cui cadde il Giappone sotto gli ultimi shogun Ashikaga, succeduti ai Minamoto, si rinnova la minaccia esterna. Questa volta non ad opera dei mongoli ma dei "barbari del sud" (namban) e la minaccia non consiste in una guerra ma in possibile inquinamento delle radici culturali. Risalgono infatti al XVI secolo i primi contatti dei missionari e mercanti europei con il Giappone. Ne abbiamo accennato nell'articolo che tratta dell'avventura del pilota inglese William Adams, che alla guida di un battello olandese approdò in Giappone nel 1600, pochi mesi prima della epocale battaglia di Sekigahara, in cui Haushofer identifica uno dei punti chiave nella evoluzione dell'idea imperiale.

 

«La spinta alla rinnovazione dell'Impero, che per le odierne potenze dell'Asse si verificò quasi contempo­raneamente, ma senza successo, per opera dì Massimiliano I, Franz von Sickingen, Ulrich von Hutten, a nord delle Alpi, e in Italia per opera di Machiavelli, Cesare Borgia, Giulio II, e tanti altri brillanti ingegni della seconda Italia, ebbe invece nel Giappone del XVI se­colo pieno successo per merito di Ota Nobunaga, il cavaliere fedele all'Imperatore, del condottiere Toiotomi Hideiosci (Taico) e del giovane principe Ieiasu (Jyeyasu) Tocugaca [sic], della stirpe Minamoto.

Malgrado questo successo, il Tenno, gran sacerdote del culto degli avi, esponente massimo dell'idea impe­riale e fonte suprema del diritto dello Stato, rimase in un primo tempo a Chioto sotto la vigilanza degli sciogun Tocugaua. Ma sotto il manto damascato della cultura Iedo e dello Stato di polizia che proteggeva la loro concentrazione, la via rimase aperta al rinnovamento dell'idea imperiale, rinnovamento che attinse vigore alle antichissime fonti dello Scinto, l'antica reli­gione popolare degli avi, alla potenza imperiale, ai poemi politici e al romanticismo nazionale. Tutte queste forze aspettavano la loro ora per prorompere e rafforzavano, nell'attesa, la loro forza etica.

L'idea imperiale ed il senso dello stile attraversano nel Giappone del XVI secolo un Rinascimento nel vero senso della parola.»

...

«È ammirevole con quanta sicurezza e senso dello stile anche l'idea imperiale abbia saputo, in questo paese di raffinazione ed eclettismo, adottare lo stile dell'epoca e manifestarsi in esso. Ciò risultò fin da quando il Giappone mutò per la prima volta la propria veste culturale e politica, re­stando tuttavia all'interno (cocoro) essenzialmente im­mutato, ossia all'epoca Taicua. Risultò nuovamente al­lorché le nobili, aspre e severe forme del primo periodo Nara crearono dei plastici che ricordano agli occi­dentali quelli del primo romanticismo ed allorché, ana­logamente a quanto Carlo Magno aveva fatto in Occi­dente, un Imperatore ordinò che le vecchie leggende ed epopee politiche del proprio popolo venissero raccolte nel Cogichi (Kojiki) e nel Nihongi.

Si manifestò, inoltre, con l'aspra scultura della scuola Unchei e col grande Budda di Camacura, e quando il potente sciogun Ioritomo Minamoto riformò il codice cavalieresco dei sa­murai basandosi sui vecchi costumi dei Miatsuco e dei suoi seguaci; si manifestò ancora una volta nel periodo Ascicaga, che ha dato la statua di Ascicaga Ioscimasa e molti begli utensili della vita quotidiana che potrebbero figurare accanto ai quadri ed ai tesori del Bargello; ed accompagnò l'evoluzione della cultura imperiale quasi come una altissima manifestazione dell'idea imperiale, una personificazione sempre nuova e pure immutabile dell'idea imperiale.»

Pur con queste elevatissime punte di produzione culturale, il potere centrale giapponese, sia quello materiale detenuto dallo shogun che quello ideale prerogativa dell'imperatore, attraversano a partire dal XV secolo una crisi che sembra irreversibile, essendo il potere effettivo ormai in mano di potenti feudi che rivendicano la loro autonomia.

Fino a quando, dalla seconda metà del XVII secolo, irrompono sulla scena nipponica quelli che Haushofer definisce i triumviri. Oda Nobunaga, che estende il suo dominio  fino ad apparire signore incontrastato del Giappone, Toyotomi Hideyoshi che raccoglie i frutti del suo lavoro e governa a lungo senza tuttavia ottenere mai il riconoscimento ufficiale cui ambiva, ed infine Yeyasu Tokugawa, che diviene shogun ed inaugura una dinastia che guiderà il Giappone per secoli.

 

«Le possibilità di compromesso fra la risorta idea im­periale di Oda Nobunaga e il cristianesimo non erano mancate. Ma questo aveva misconosciuto i rapporti fra ìl Tenno e i marescialli dell'Impero, confondendoli rispettivamente col potere spirituale e temporale dell'Occidente, e si appoggiava su taluni signori feudali di Chiusciù e Sendai [4] e su taluni principi indipendenti, esplicando in fondo un'attività contraria all'unità dell'Impero.

Tali possibilità svanirono peraltro comple­tamente di fronte al geniale condottiere Toiotomi Hideiosci, che, dopo una breve lotta, assunse in stile assai maggiore l'eredità di Oda Nobunaga. Nonostante che né il Taico, né il suo successore Ieiasu Tokugaua avessero letto Machiavelli, né conoscessero i procedi­menti di un Cesare Borgia e di un Giovanni dalle Bande Nere, entrambi adottarono per l'unificazione dell'Impero la ricetta di questi italiani, ottenendone ottimi risultati. Dopo alcune grandiose campagne per la liberazione delle marche nord-orientali a Satsuma, Scicocu e in Corea, e dopo un'ultima grande battaglia civile a Sechigahara nel 1600, cui seguì, nel 1615, l'assalto a Osaca, esse portarono, dopo un ultimo massacro a Scimabara, ad una radicale soppressione della «dottrina pericolosa» del cristianesimo, ed alla sua proibizione nel 1636. Con­temporaneamente il paese veniva completamente pre­cluso alle influenze straniere e segregato mediante il divieto di emigrazione.

Questo letargo dell'idea imperiale nei confini dello spazio vitale conquistato fino al 1615 rappresenta uno dei più singolari atti istintivi che il mondo ricordi nel campo della vita di uno Stato, un esempio di indistur­bata autarchia ed autonomia, in un popolo di circa 30 milioni, in mezzo ad un mondo che attraversava un periodo di particolare espansione. Esso fu oggetto di costante attenzione da parte dell'Occidente, a co­minciare dai gesuiti, quali il de Frois, da Engelbert Kaerripfer fino a Franz von Siebold. Gli australiani lo definirono l'errore di Ieiasu perché la forza na­zionale e lo stato degli armamenti avrebbe consentito agli shoguni di impadronirsi di tutto il mare del sud, compresa l'Oceania, che invece lasciarono agli inglesi.»

Indubbiamente il volontario isolamento del Giappone ha meravigliato, probabilmente deluso, il mondo occidentale. Dobbiamo però dissentire dallo stupore di Haushofer il quale, in quanto studioso, avrebbe dovuto rammentarsi di un esempio analogo fornito da un altro regime imperiale: quello di Roma, che per volontà del suo primo imperatore, Augusto, rinunciò ad ogni politica espansionistica, ritirandosi anzi da alcuni territori. Da allora l'impero romano si limitò per secoli a mantenere lo status quo all'interno, mentre cresceva ai confini la pressione delle popolazioni barbare confinanti.

Senza dimenticare che la concausa più importante della caduta dell'Impero è da tutti identificata proprio nel graduale venir meno nel  corso dei secoli successivi a queste linee di condotta, accettando per quanto giocoforza l'inserimento delle popolazioni barbare più irriducibili - e quindi socialmente più eversive - tra i sudditi dell'impero e nelle file dell'esercito.

 

 


 

[3] Takeo Doi, Anatomia della dipendenza, 2001.

[4] L'estendersi della penetrazione cristiana nell'isola meridionale di Kyushu e nel feudo nordico di Sendai rischiava di accerchiare la zona centrale (Kianai - Kamigata) in cui si incentravano sia il potere temporale dello shogun che quello ieratico dell'imperatore.


«Il fatto che tutti i valori razziali, e soprattutto la strut­tura agraria, fino allora acquisiti furono mantenuti nel sangue e nel suolo, e che la razza insulare, sorta da di­verse correnti razziali assai differenti, sia riuscita a fon­dersi in una quasi completa unità di gusti, di cultura e di vita, è uno dei grandi meriti - disconosciuti per molto tempo, nel paese stesso, fino ai lavori dello Hongio [5] del sistema dello Stato di polizia del periodo Tocugaua dalla graziosa vernice della cultura rococò di Iedo.»

 

L'utilizzo di termini come razza e razziali da parte di un teorico accusato di aver appoggiato l'ideologia nazista naturalmente mette in allarme. La storia personale di Haushofer però parla se non di persecuzioni sicuramente di discriminazioni razziste a suo carico; consiglia quindi cautela nel giudizio. E' plausibile, citazioni da alcuni altri suoi testi sembrano confermarlo, che nel sistema geopolitico dello studioso la parola razza vada intesa nel senso di "civiltà" ossia di sistema sociale determinato dalle condizioni ambientali, sociali e storiche, che prescinde dalle origini etniche dei componenti della civiltà stessa.

La frase chiave per comprendere il significato di queste affermazioni potrebbe essere interpretata di conseguenza in questo modo:

Che la [civiltà] insulare, sorta da di­verse correnti [culturali], assai differenti, sia riuscita a fon­dersi in una quasi completa unità di gusti, di cultura e di vita, è uno dei grandi meriti - disconosciuti per molto tempo, nel paese stesso.

Questa rilettura sembra corrispondere meglio al fenomeno di assorbimento all'interno dell'arcipelago giapponese e della cultura nipponica di impulsi provenienti da India, Corea, Cina. Non ci sono attestazioni invece di grandi flussi migratori e commistioni tra i popoli di queste culture.  Non sottovaluteremmo il termine insulare che Haushofer ha voluto utilizzare. E' obiettivamente incontestabile che gli imperi attualmente arrivati ai nostri giorni, sia pure solo nominalmente e senza rilevanti conseguenze politiche, sia pure attraverso profonde trasformazioni non ancora cessate, siano ambedue insulari: quello britannico e quello nipponico

Inoltre, volendo estendere i parallelismi di Haushofer tra civiltà nipponica e civiltà europee, potremmo tra il serio ed il faceto così parafrasare:

Che la [civiltà Romana], sorta da di­verse correnti [culturali], assai differenti, sia riuscita a fon­dersi in una quasi completa unità di gusti, di cultura e di vita, è uno dei grandi meriti - disconosciuti per molto tempo, nella [città] stessa.

Sappiamo infatti che la civiltà romana è nata dall'incontro di tre culture diverse, formalizzate nella istituzione romana della tribus, da cui derivano tanti concetti che ancora al giorno d'oggi, spesso incosciamente utilizziamo, tutti indicatori dell'apporto comune alla medesima civiltà di culture ed etnie diverse (tributo, tribunale, tribuno...), per tacere dell'incessante processo di amalgamazione di ulteriori culture ed etnie dei secoli successivi . Senza tuttavia disconoscere che questo processo di amalgama ha conosciuto lunghe e travagliate fasi conflittuali: nell'antica Roma  come nel Giappone.

Ma arriviamo al punto in cui Haushofer descrive il momento cruciale: la seconda "invasione" del Giappone da parte dei barbari del sud . Risale al 1853, e ne abbiamo parlato in un altro articolo.

«Le porte chiuse "dell'ultimo paradiso terrestre" furono aperte con la forza dalla flotta degli Stati Uniti al comando dell'ammiraglio Perry. Ad essi seguirono, con i loro satelliti, le potenze occidentali, le quali provocarono una forte perturbazione dell'equi­librio dello Stato dei Tocugaua determinando l'insur­rezione della nazione offesa nella sua fierezza dalla minaccia imcombente sul suo suolo sacro.

L'idea im­periale, fino allora rinchiusa nelle fortezze degli sciogun e nella sacra Chioto, potè cosi risorgere alla vita, indicando nel Tenno l'unico integro simbolo unifica­tore di potenza, analogo a quello che quasi alla stessa epoca fu la fiaccola delle potenze dell'Asse nella lotta per la formazione dell'impero e del regno. Anche in questo processo, che si svolse in Giappone fra il 1854 e il 1879 e quasi contemporaneamente in Germania ed in Italia, si riscontra quel singolare, fatale parallelismo della sorte delle potenze che formano il triangolo Berlino-Roma-Tokio.»

Haushofer allude qui alla creazione degli stati unitari in Germania in Italia, da parte delle dinastie rispettivamente degli Hohenzollern e dei Savoia, che per cementare rapidamente popolazioni divise da secoli e solo parzialmente accomunate dalla lingua e dai costumi, decisero di dare un forte impulso al potere centrale. In Germania venne immediatamente decisa per la nuova nazione la denominazione di impero (Kaiserreich).

In Italia, sembrò forse inopportuno dare l'idea di una sottomissione degli altri territori da parte sabauda, la "fondazione" di un impero venne quindi delegata a varie operazioni di espansione coloniale, più o meno coronate da successo. Formalmente però solamente nel 1936 il re d'Italia venne proclamato Imperatore d'Etiopia. Un impero dalla vita molto breve, in realtà già crollato nel momento in cui Haushofer teneva la sua conferenza in Roma (marzo 1941): la resa delle ultime truppe italiane in Etiopia al comando di Amedeo d'Aosta, asserragliate sull'Amba Alagi, risale a due mesi dopo. Le sue parole suonano come una forzosa ma non necessariamente condivisa apologia delle ideologie dominanti.

 

«A partire dalla metà del XIX secolo, lo sviluppo dell'Idea imperiale, ormai sciolta da ogni impedimento, si compì con rapidità e potenza eccezionali sotto la guida del giovane imperatore Meigi e della sua eletta schiera di consiglieri, i genro. La nave dello Stato sembrava ancora oscillare pericolosamente sulle onde delle passioni di parte, mentre il Partito gioito (avverso agli stranieri) e il Partito caicocuto (favorevole all'aper­tura del paese) se ne contendevano il timone.

 Mai forse il giovane Tenno Meigi, venerato poi come Cami, si trovò in maggiore pericolo di quando una tumultuosa scorta d'onore, costituita da uomini delle due spade, si prost[r]ò davanti alla sua portantina per dissuaderlo dal trasferirsi dalla sacra Chioto nella Iedo profanata dagli stranieri e nella fortezza degli shoguni conqui­stata dal Partito nazionale, offrendo poi il proprio turbolento appoggio al giovane e timido principe Mutsuhito, appena salito al trono, che poi divenne uno dei maggiori attori che agissero sui retroscena della storia mondiale.»

Mutsuhito all'atto della ascesa al trono, all'età di 16 anni ed apparente facile preda dei suoi scaltriti avversari, scelse il nome di Meiji che contrassegnerà la sua era (1868-1912). Era in realtà salito al trono nel 1867, a 14 anni ma il suo regno si calcola solamente a partire dall'anno seguente, con la capitolazione dello shogun, di cui Haushofer parla dopo accennando alla battaglia di Fushimi che concludendo il sensô Boshin (Guerra dell'anno del Drago) nel gennaio 1868 portò alla capitolazione dello shogun restaurando il potere imperiale.

L'ideologia imperiale in questo periodo si trasforma, e si allinea agli stilemi dell'imperialismo occidentale. Destò enorme scalpore l'apparizione delle prime immagini dell'imperatore, che era stato fino a quel momento una entità misteriosa di cui oltre alle fattezze si ignorava praticamente tutto.

Poco tempo dopo un ulteriore trauma ideologico: l'imperatore veniva raffigurato non solo in abiti occidentali ma addirittura in uniforme, e queste immagini venivano diffuse ed affisse nei luoghi pubblici. Venivano coniate, a cura dell'italiano Edoardo Chiossone, delle monete imperiali. Non riportavano l'effigie dell'imperatore, ma solamente lo stemma imperiale (il kikumon, il crisantemo a 16 petali), affiancato da foglie di aoi, simbolo delle forze armate di cui l'imperatore tornava ad avere il comando dopo millenni.

Allo stesso Chiossone veniva chiesto di fornire un ritratto ufficiale dell'imperatore. Rifiutandosi fermamente Mutsuhito di posare, venne rielaborata da Chiossone l'immagine che vedete a fianco, risalente a circa 10 anni prima.

«Con questa processione [lo spostamento della sede imperiale da Kyoto a Tokyo] si compì simbolica­mente, dopo la battaglia di Fuscimi [gennaio 1868] - l'ultima combattuta in Giappone all'arma bianca - il trasferimento del potere imperiale dal convento del Micado alla Reggia temporale, che, con i suoi bastioni caratteristici, costi­tuisce tuttora il centro della terza città del mondo.

...

In tutti questi sconvolgimenti e queste tempeste la tradizione dell'idea imperiale si è conservata in modo ammirevole nella sua evoluzione; in essa la dinastia ultrabimillenaria si è dimostrata effettivamente come la salda roccia cantata nel'inno imperiale "Kimigaioua"...»

...

Ciò che i governi «Taiscio», il figlio, e «Scioua», il nipote, apportarono all'impero Meigi in territorio e popolazione, corrisponde alle direttive ed alle conce­zioni territoriali stabilite dagli antichi giapponesi. E poiché questi acquisti rispondono alla coscienza dell'intima natura geopolitica essi non compromettono l'unità compiuta, attraverso le pericolose oscillazioni fra la politica continentale e quella di espansione sull'Oceano.

 

E' bene riassumere la successione al trono degli ultimi imperatori, a partire dalla restaurazione del potere imperiale. E' tradizione che chi salga al trono scelga un nuovo nome, che contrassegnerà il suo regno.

Mutsuhito

(Meiji)

Meiji jidai

Era del regno illuminato

1868 - 1912

Yoshihito

(Taishô)

Taishô jidai

Era della grande giustizia

1912 - 1926

Hirohito

(Showa)

Showa jidai

Era della pace illuminata

1926 - 1989

Akihito

(Heisei)

Haisei jidai

Era della pace ovunque

1989

E' fin troppo evidente che l'aspirazione dell'imperatore Showa alla creazione di un'era di pace illuminata venne tragicamente delusa.

Le conclusioni di Haushofer si prestano ad una doppia interpretazione. Da una parte possono suonare come servile ossequio ai regimi del tempo, che certamente non avrebbero permesso critiche nella sede di una istituzione ufficiale e altrettanto certamente si attendevano che nel testo della conferenza si rendesse loro esplicito omaggio.

«Un ulteriore monito era costituito dall'esempio del primo sciogun Tocugaua, che nel 1607 e nel 1615 pose ad Hideiosci un termine pacifico ai piani di espan­sione sul Continente, e che, nonostante gli invii di navi nel Messico e la fondazione di colonie sugli stretti della Sonda e nel Siam, preferì consolidare e delimitare l'Im­pero, anziché compromettere le proprie conquiste. Am­moniva infine il saggio esempio dell'imperatore Meigi col suo procedere guardingo, passo per passo, con la sua lealtà personale che valse, a mantenergli le armi ed il consiglio di una provata schiera di servitori, con la sua esemplare politica personale dietro le quinte, che lasciava ai politicanti di agire alla ribalta mentre i veri esponenti dell' idea imperiale preferivano servirla inosservati.

Per questa sua grande e costante tradizione, l'arci­pelago giapponese ha assunto, in virtù della sua so­lida ed elastica struttura, una parte dominante nella realizzazione dell'idea della grande Asia Orientale nel quadro della formazione dei grandi spazi del mondo. Ciò nonostante esso è sempre rimasto fedele a se stesso, senza subire quelle influenze dannose che tanto facil­mente subiscono l'anima dei popoli che cercano di con­quistare il mondo. Ma le potenze europee dell'Asse, esposte per l'affinità del loro divenire ad una lotta ana­loga, augurano al loro alleato di mantenere la propria Idea Imperiale in quella purezza ed integrità con cui gli è stata conservata, in virtù di fortuna e di destino, nel suo terzo millennio.»

Affiora però il sospetto, che non si lascia sopire, che questa chiusa volesse essere piuttosto un monito a non lasciarsi abbagliare da insensati sogni espansionistici: consolidare e delimitare l'impero, anziché compromettere le proprie conquiste ... lasciava ai politicanti di agire alla ribalta mentre i vari esponenti dell'idea imperiale preferivano servirla inosservati ... mantenere la propria Idea Imperiale in quella purezza ed integrità con cui gli è stata conservata.

Se questo era un monito, e i dubbi tendono a sciogliersi osservando che l'oratore utilizza deliberatamente questa esatta parola, certamente non venne ascoltato. Forse nemmeno notato. Haushofer concludeva con queste parole il suo intervento nel marzo 1942. Nel dicembre dello stesso anno il Giappone entrava come già detto in guerra, con l'attacco proditorio alla flotta americana ancorata a Pearl Harbor.

P.B.


 

[5] Probabilmente Shigeru Honjo (1876-1945). Messosi in luce durante la guerra contro la Russia (1904), dopo la prima guerra mondiale fu addetto militare in Europa ed in seguito comandante durante durante l'invasione giapponese della Manciuria (1932). Coinvolto in un tentativo di colpo di stato (1936) rassegnò le dimissioni. Morì suicida mentre era in attesa di giudizio da parte delle autorità di occupazione (1945). Non sappiamo a quali opere di Honjo si potesse riferire Haushofer.

[6] Kimi ga yo, l'inno nazionale giapponese, riprende un haiku di autore ignoto risalente probabilmente all'epoca Heian, e venne adottato nel 1880 su musica di Hayashi Hiromori, musico di corte. E' in realtà un inno all'imperatore:

Kimi ga yo wa

Chiyo ni yachiyo ni

Sazareishi no

Iwao to narite

Koke no musu made

Che il Vostro regno

Duri mille, ottomila generazioni,

Finquando i ciottoli

Divengano rocce

Coperte di muschio

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