Émile Guimet
Promenades japonaises (Tokio - Nikko)
2006
Elibron Classics
Émile Guimet (1836-1918) ebbe formazione mista. Era infatti figlio dell'industriale Jean Baptiste Guimet mentre la madre era pittrice e lo indirizzò agli studi artistici.
Praticò le varie arti figurative e fu anche apprezzato musicista ma l'attività industriale gli prese gran parte delle sue energie e del suo tempo. Portò avanti l'impresa familiare, che produceva il primo blu oltremare artificiale, un colore molto apprezzato dagli artisti ma di difficile reperibilità ed estremamente costoso, e diresse l'industria chimica Merle, destinata poi a diventare una multinazionale con il nome di Pechiney e rimasta attiva fino a pochi anni fa quando venne assorbita da un gruppo svizzero.
Questo fece sì che si distinguesse più come collezionista e mecenate che come artista.
Viaggiò molto per affari ma nel 1876-1878 decise di compiere un viaggio intorno al mondo assieme al pittore Félix Regamey, che aveva l'incarico di fissare con i suoi schizzi quanto ritenuto degno di nota, per studiare le produzioni artistiche e le usanze dei vari popoli.
Era un tipo di esperienze che molti avevano piacere di affrontare nell'800 e che produsse molta letteratura.
Ricordiamo, per restare in Francia, il Voyage en Espagne di Charles Davillier di pochi anni prima, accompagnato dal pittore Gustave Doré che sarebbe divenuto celeberrimo più tardi per le sue illustrazioni della Divina Commedia. Il titolo si ispira invece probabilmente a Promenades Romaines di Stendhal, pubblicato nel 1828.
Guimet si fermò a lungo anche in Giappone, paese che lo aveva impressionato fortemente, e questo libro è il resoconto illustrato delle sue esperienze in quei luoghi che solo allora si aprivano all'occidente.
Verso gli inizi del XX secolo Guimet decise la creazione di una fondazione che raccogliesse e rendesse visibili al pubblico le opere d'arte ed i manufatti da lui raccolti nei suoi viaggi. Il Museo Guimet si trova a Parigi, mentre il materiale che venne lasciato al Museo di Lione - sua città natale - che ha chiuso i battenti nel 2007 è in corso di trasferimento presso un nuovo museo di cui è prevista l'apertura nel 2014.
Il testo in esame non è una riedizione ma una copia anastatica, ossia una riproduzione fedele di una delle prime edizioni (nel frontespizio viene erroneamente riportata la data del 1860, mentre venne pubblicato in realtà nel 1878-1880).
Va detto che questo genere letterario non va generalmente preso senza beneficio di inventario: gli autori ricorrevano spesso a descrizioni fantasiose di luoghi mai visitati e incontri mai avvenuti con noti personaggi, se non addiritura a plagi, e chi legge con cognizione di causa Davillier e Stendhal se ne può facilmente rendere conto anche se non lo mettessero all'erta le note degli editori.
In una anastatica ovviamente mancano queste note, mente noi non siamo all'altezza di esprimere alcun parere sulla attendibilità di Guimet. E' tuttavia una personalità di rilevante spessore, impegnata per tutta la sua vita nel campo della cultura, quindi ci sentiremmo di dire che gli va prestata fede fino a prova contraria.
La qualità della riproduzione non è esaltante e ne soffrono soprattutto alcune illustrazioni in chiaroscuro, mentre quelle al tratto ne risentono strutturalmente di meno.
All'epoca del soggiorno in Giappone di Guimet e Regamey erano passati circa 30 anni dalla forzata apertura della nazione verso il mondo esterno e 20 dalla accettazione di questa realtà irreversibile da parte del giovanissimo imperatore Mutsuhito, che salendo al trono assunse il nome di Meiji che contrassegnò quella lunga epoca di radicali cambiamenti.
Dopo un primo capitolo introduttivo dedicato alla subitanea trasformazione della antica capitale della dinastia Tokugawa, Edo, qui chiamata Yeddo (anche altrove le trascrizioni dal giapponese, non ancora uniformate nel 1800, sono differenti da quelle cui siamo abituati) in Tokyo (Tokio come abbiamo visto nel sottotitolo), non più sede dello shogun ma adesso dell'imperatore, quelli immediatamente successivi rendono immediatamente l'idea del crogiolo di nuovo ed antico che era in quel momento il Giappone.
Nel secondo capitolo, sbarcati a Yokohama, i viaggiatori hanno immediatamente il problema di recarsi a Tokyo, privi di conoscenze sul posto e senza alcuna possibilità di farsi intendere non avendo ancora ingaggiato un interprete. Un connazionale viene loro in soccorso spiegando che esiste già una ferrovia, ed è l'occasione per parlare del rapido progresso del Giappone ma anche della inaugurazione della ferrovia da parte del Mikado (imperatore) che per la prima volta da tempo immemorabile si mostrava in pubblico.
Mentre queste note guardano al futuro, il capitolo successivo guarda al passato: illustra la saga dei 47 ronin.
Onestamente però non è ben chiaro come possa Guimet fornire una descrizione tanto dettagliata di un evento avvenuto prima del suo arrivo in Giappone (l'inaugurazione della prima ferrovia) e corredarla addirittura di una illustrazione del Regamey. In quanto alla saga dei ronin, è forse la storia giapponese più conosciuta nel mondo, ma non era certamente così nel 1878, per quanto ne avesse già parlato nel 1700 l'olandese Isaac Tsitsingh.
Il piccolo mistero non dura molto: le illustrazioni vengono inequivocabilmente da Tales of Ancient Japan, pubblicato in inglese nel 1871 da Algernon Mitford, che dedica un lungo capitolo ai 47 ronin. Per la verità qui Guimet rinuncia ad attribuire a Regamey le illustrazioni ma le correda di una didascalia fuorviante: Fac-simile d'un dessin japonais. Ma va ripetuto che queste disinvolte abitudini per quanto deprecabili erano prassi nel 1800. L'interesse del testo rimane intatto, ed è molto alto.
Era stato da poco abolito il divieto per gli stranieri di viaggiare al di fuori delle enclavi loro riservate e i due francesi ne approfittarono senza riserve, servendosi anche della recente innovazione dei rikisha (ricsciò vennero chiamati in italiano), leggere carrozzelle ad uno o due posti trainate da un 'uomo forte' (jinriki) che avevano rapidamente sostituit le portantine che erano state fino ad allora l'unico mezzo di trasporto oltre al cavallo.
Visitando Ueno, Jiso, Shiba o Nikko, ristoranti o teatri, parchi pubblici o templi, Guimet raccoglie probabilmente dalla viva voce dei suoi conoscenti giapponesi, sia pure con l'intermediazione di interpreti, una serie di leggende, racconti, episodi ed usanze.
Come pregano i giapponesi, e come in particolare pregano i bambini; la strana vicenda di una bella pasticciera; le fiere buddiste; i negozi di materiali per il kyudo, l'arte del tiro con l'arco; esibizioni di danza; festini...
E che impressione lasciano su uno straniero preti e malfattori (così si intitola un capitolo), pittori e cameriere, traghettatori e pellegrini.
Guimet ci restituisce un affresco impressionistico e soggettivo ma non per questo meno efficace della società giapponese in bilico tra il glorioso quanto duro passato ed un futuro pieno di incertezze e timori ma anche di attrattive.