Testi

Giglioli: Giappone perduto

Enrico Hillyer Giiglioli
Giappone perduto
Viaggio di un italiano nell'ultimo Giappone feudale
A cura di Roberto Tresoldi
Luni Editrice, 2005

 

 

Il sottotitolo di questo interessantissimo libro potrebbe trarre in inganno: non si tratta del resoconto di viaggio di un esploratore solitario, ma di un giornale di bordo informale tenuto dall'allora poco più che ventenne Giglioli, zoologo aggregato alla spedizione ufficiale della corvetta Magenta della Regia Marina italiana, che nel 1866 intraprese un importante viaggio di esplorazione intorno al mondo, toccando tra l'altro il Giappone, dove la missione assunse anche contorni politici.

Negli anni precedenti infatti una grave epidemia di pedrina aveva imperversato negli allevamenti europei e soprattutto italiani di bachi da seta, e l'industria manifatturiera del nord Italia ne aveva pesantemente risentito. Numerosi commercianti si recarono in  estremo oriente ed in particolare in Giappone, ove venivano allevate diverse razze di bachi di alto pregio e resistenti a quel tipo di malattie: il trattamento ed il trasporto dei bachi erano particolarmente delicati quindi molti preferivano negoziare direttamente l'acquisto ed accompagnare la spedizione.

Erano quelli solamente i primi tempi in cui il Giappone cominciava a mostrare caute aperture verso il commercio con l'estero, si rendeva quindi necessaria una missione ufficiale del governo per stringere accordi commerciali e diplomatici, sull'esempio di quelli stipulati poco prima dagli Stati Uniti, dalla Russia  e da diverse potenze europee.

La Magenta salpò da Montevideo, dove la nave si trovava in attesa che la missione, programmata già da due anni e che avrebbe dovuto essere finanziata dall'industria della seta mentre la marina avrebbe messo a disposizione nave ed equipaggio - potesse inziare. Ci restano le memorie dell'ammiraglio Arminjon che comandava la nave e la missione ed il resoconto scientifico dello stesso Giglioli, una pubblicazione di oltre 1000 pagine intitolata "Viaggio in torno al globo della Regia pirocorvetta Magenta". Infatti il giovane Giglioli si trovò improvvisamente sulle spalle il carico delle osservazioni scientifiche in seguito alla morte dopo pochi mesi di navigazione del senatore De Filippi, che lo aveva voluto come assistente.

Il seguito della carriera di Giglioli fu brillante, ricoprì numerosi importanti incarichi ed il materiale da lui raccolto nelle varie esplorazioni è depositato in parte presso il Museo della Specola di Firenze di cui era direttore, in parte è pervenuto per lascito al Museo Etnografico Pigorini di Roma, sul cui sito potete consultare assieme ad altre la scheda dedicata a Enrico Giglioli (il ritratto di Giglioli in età matura viene dalla stessa fonte).

 

 

 

 

Purtroppo non ebbero altrettanta fortuna né la missione diplomatica, per ragioni non chiare gli importanti accordi ottenuti dall'Arminjon non ebbero seguito, né la corvetta Magenta che pochi anni dopo venne messa in disarmo ed infine ceduta dalla Regia Marina.

Possiamo vederla in questa incisione, tratta da un ampio resoconto della missione della Magenta pubblicato in Cile col titolo La exploraciòn cientifica del mar chileno, disponibile qui.

Ma è ora di parlare del libro, che raccoglie solamente la parte che riguarda il Giappone. E' evidente che è basato su un giornale di bordo informale - Giglioli infatti non faceva parte della spedizione militare e non era tenuto a mantenere un giornale. Venne comunque sicuramente rivisto con gli anni ed in un certo senso col senno di poi.

Non mancano infatti le descrizioni di abitudini e costumi del Giappone riprese da Mitford (conosciuto maggiormente come lord Redesdale) e Chamberlain, due pionieri inglesi che avevano soggiornato in Giappone a lungo mentre Giglioli, non dimentichiamolo, vi rimase solamente due mesi. Ma nonostante la permanenza troppo breve e  la giovane età di Giglioli il libro è molto acuto, ci mostra ampi squarci di una civiltà sul punto di trasformarsi radicalmente. Dimostra un grande interesse da parte dell'autore verso il misterioso mondo del Giappone ed una grande capacità di osservazione. Che del resto non deve stupire in uno scienziato.

I suoi racconti sono vividi, impressionistici eppure analitici, alla maniera di certe stampe dei grandi artisti giapponesi:

Potei ossevare viaggiatori di ogni ceto, dall'umile pedone il quale andava lentamente appoggiato su di un bastone col sacco gettato sopra a una spalla, a chi si faceva portare a cavallo o nel kango, piccola e rozza portantina aperta usata dalla povera gente, e al signore o samurai chiuso ermeticamente nell'informe norimon. Il kango, portato soltanto da due uomini, il cui vestiario, nell'estate almeno, è ridotto a una stretta fascia, è una specie di cesta di vimini e legno a forma di U, usualmente aperta completamente ai due lati, talvolta chiusa da una stuoia ad uno. Superiormente è coperta da un tetto piatto, di vimini, più largo del fondo, che è anch'esso piatto; sotto il coperchio passa l'asta che serve a portare quel primitivo veicolo. Sopra, si vedono il largo cappello e le scarpe di chi è dentro il quale è costretto a piegare il corpo a C per potervi stare; notai che le donne sembrano adoperare più frequentemente il kango. Entro questo non si farebbe mai portare un samurai; per lui, e per gli alti personaggi, compreso lo Sciogun, v'era il norimon, grossa cassa informe a tetto inclinato ai due lati, sotto il cui spigolo passa una grossa sbarra di legno sostenuta sulle spalle da almeno quattro uomini. Le pareti di quella portantina sono di tavole di legno levigato, del suo colore naturale, e vi sono due larghe finestre laterali che possono essere chiuse da leggere persiane di bambù. Il norimon è proprio fatto ad imitazione di una casa.

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Nelle mie passeggiate nella parte giapponese di Yokohama io avevo spesso veduto, ora soli, ora in coppie, dei ciechi, i quali avevano la testa rasa e la lunga veste dei bo-san o preti buddiati. Si appoggiavano sopra un lungo bastone e avevano un fischietto di bambù col quale annunziavano la loro presenza ... non sapevo che essi formavano una distinta confraternita e che monopolizzavano funzioni speciali nella società giapponese ... nella loggia della servitù indigena trovai la madre del suo kotsukai [inserviente di albergo] stesa a terra, cogli abiti sciolti e la testa sorretta da uno dei caratteristici guanciali giapponesi; accanto a lei era accovacciato uno di quei ciechi, il quale le faceva subire un minuzioso e complicato massaggio... Questi ciechi si dividono in due sette: una prende nome dal figlio di un Mikado, che secondo la tradizione divenne cieco a forza di piangere la morte di una sua amante; l'altra riconosce il suo capo in un eroe dell'antichità, il quale, vinto in guerra, si cavò gli occhi per resistere alla tentazione di uccidere il vincitore generoso. Oltre il massaggio, quei ciechi fanno anche il mestiere di musicanti, e seppi poi, anche di strozzini, prestando danaro ad usura.

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