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Seppuku. Alias Harakiri - Radici storiche

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Le radici storiche: periodo pre-Edo e Edo

Possiamo inquadrare la nascita e l’evoluzione del suicidio nipponico nel periodo che va dal XII secolo fino all’inizio del periodo Edo (1603-1868), quando se ne definirono “gli standard e le procedure”. Infine dopo il periodo Edo, poco dopo l’inizio della restaurazione Meiji, venne abolito nel 1873 come pratica “governativa” e rimase un episodio su base “volontaria”.

Essendo una pratica indissolubilmente legata alla casta dei samurai è solo nel tardo periodo Heian (794-1185) e l’inizio del periodo Kamakura (1185-1333), allorquando la casta dei samurai conosce l’ascesa, che molto probabilmente il rituale suicida si affaccia alle cronache. Nel periodo delle grandi guerre infatti il potere militare conosce un’affermazione presso la corte imperiale come indispensabile arma di controllo del territorio e dell’economia.

SeppukuMorimasaMa sarà solo nel periodo Edo (1603-1868), governato dallo shogunato Tokugawa, che il suicidio ritualizzato conoscerà una standardizzazione con regole e procedure, un vero e proprio protocollo. Il rituale del seppuku non è infatti stato sempre lo stesso. Da quando si ha la notizia del primo rituale avvenuto - Minamoto no Tametomo 1139–1170 la pratica si è affermata ma venendo cambiata, ridefinita e “regolarizzata” almeno due volte. In realtà Minamoto no Tametomo sembra sia stato il primo ma non se ne hanno notizie certe e scritte. Il primo di cui si ha una documentazione scritta è Minamoto no Yorimasa, dieci anni piu’ tardi (1180).

«Come un vecchio albero
da cui non si raccolgono i fiori
triste è stata la mia vita
destinata a non portare alcun frutto»

Minamoto no Yorimasa (1180 d.C.), poema d’addio o jisei

Prima dello shogunato Tokugawa, o periodo Edo, il rituale del seppuku vedeva coinvolto solo il suicida il quale preparatosi e messosi in ginocchio, seiza, apriva il vestiario e dopo aver individuato il punto preciso in cui effettuare l’incisione, s’infilzava il ventre introducendo la lama di un tantō (una lama corta, 20-30 cm di lunghezza) nel ventre e aprendo la pancia da sinistra a destra. Se il taglio che viene effettuato è abbastanza profondo, si riesce a recidere l’aorta discendente e morire rapidamente per dissanguamento. Il tantō era parzialmente avvolto in un panno bianco in modo da non ferire la mano che lo avrebbe impugnato e non far perdere la presa nell’atto del taglio.

Sono riportati casi in cui il samurai sceglieva una forma molto piu’ dolorosa di harakiri: dopo aver inciso il vente da sinistra a destra, effettuava un secondo taglio verso l’alto, formado una L o una croce detto jūmonji giri (十文字り, "taglio a forma di 10, essendo il kanji d questo numero simile a una croce"), o si tagliavano la gola dopo aver inciso il ventre oppure si lasciavano cadere in avanti con la lama media, il wakizashi, puntata contro il petto: una morta rapida invece di una dolorosa e atroce in attesa della morte che sopraggiungeva dopo qualche minuto.

Rimanere in seiza, cadere in avanti con la faccia nel terreno, e non verso l'alto: tutto ciò veniva favorito poiché rappresentava un morire onorevole; era invece considerato disonorevole morire mostrando le inevitabili smorfie di dolore che l’atto del suicido provocava.

Il seppuku era praticato da soli ma spesso vi era un pubblico che assisteva all’estremo atto, ma si dovette aspettare il periodo Edo per avere un pubblico definito e previsto per protocollo.

Con il periodo Edo, la fase della grandi guerre terminò e il Giappone fu relativemante stabile per circa 250 anni sotto la guida del clan Tokugawa e dei suoi shogun. Il seppuku smise di essere conseguenza degli scontri armati e divenne principalmente un atto di protesta, d’autorità, d’onore, giudiziale, si strutturò e se ne fissarono regole, tempi e condizioni.

Il samurai che sceglieva di togliersi la vita, lo faceva davanti a spettatori. Prendere un bagno, indossare vestiario del colore bianco usato per le sepolture - chiamato shini-shōzoku - e infine un ultimo pasto erano i preliminari del rituale. Quindi per i più letterati, vi era la parte della composizione di un poema a testimoniare ragioni, speranze e integrità rispettate; ma questo avveniva già in epoche precedenti come visto per Minamoto no Yorimasa

Seppuku02Nel caso di suicidio programmato, non quindi in battaglia per non cadere in mano ai nemici, il suicida richiedeva la presenza di un assistente, un “secondo” che lo aiutasse nella sua azione, che poteva essere un amico ma anche una persona per il quale provasse profondo rispetto.

Fece la sua comparsa durante questo periodo il kaishakunin (介錯人), o anche il “decapitatore”, una delle tante figure di suicidio assistito proposte dalle civiltà del passato. Fondamentale figura a cui era richiesto un compito di altissima precisione, che non rendeva fama o gloria ma era considerato un gravoso impegno e spesso una anticipazione di malaugurio.

Yamamoto Tsunemoto, nel Hagakure fa riportare infatti che : “ Da secoli è stato considerato un malaugurio dal samurai che viene richiesto come kaishakunin. La ragione di ciò è che non si guadagna fama anche se il lavoro è ben fatto. Inoltre, se uno dovesse sbagliare, rimane una vergogna per tutta la vita. Nella pratica dei tempi passati, c'erano casi in cui la testa volava via. Si diceva che fosse meglio tagliare lasciando un po 'di pelle rimasta in modo che non volasse via nella direzione degli ufficiali di verifica.”

Compito del kaishakunin era infatti quello di decapitare il suicida appena dopo questi avesse finito il taglio del ventre per evitare che la smorfia di dolore deturpasse l’atto del seppuku. Era un’azione che richiedeva una notevole dose di abilità. Un colpo netto che aveva il compito di recidere la colonna vertebrale e lasciare al suo posto la trachea, avendo cura di lasciare così metà collo intatto per permettere alla testa di rimanere al proprio posto mente il suicida cadeva in avanti. Un colpo netto in un solo “swing”: uno sbaglio nel taglio e il disonore sarebbe caduto anche su di lui.

Durante tutta la “procedura”, il kaishakunin rimaneva in piedi dietro il morituro, in silenzio e con la katana pronta ma in guardia bassa. Mentre il suicida si preparava anche il secondo si adeguava e nel momento immediatamente prima che il tantō toccasse il ventre questi era già con la katana in guardia alta, pronto per sferrare il suo colpo. Il rituale del seppuku prevede nei minimi particolari non solo i movimenti del suicida ma anche quelli del kaishakunin: il modo in cui deve sfoderare la katana, dove si deve collocare, come si deve muovere e così via. Terminato il suo compito e riposta la katana, il kaishakunin porgeva i suoi pensieri di rispetto genuflettendosi o inchinandosi per qualche secondo verso il morto.

 

Il seppuku al femminile

SeppukuOnoderaAlcuni si chiederanno: ma l’onore delle donne? Era una pratica tutta maschile? La risposta è: sì e no

Naturalmente vi erano anche donne samurai (così come ninja), ma la pratica del seppuku, come così come l’abbiamo narrata, come comunemente e solitamente si riscontrava, era tutta al maschile. Esiste però una versione femminile del seppuku chiamato jigai (自害), parola derivante dal verbo per suicidio: jisatsu (自殺), la fonte del nome è tuttavia incerta.

La sua pratica non era protocollata, standardizzata, regolarizzata come quella maschile. Avveniva principalmente in solitaria e avveniva anche per non divenire prigioniere evitando violenze e stupri, motivo per cui si perdeva l’onore preferendo passare quasi logicamente al jigai.

L’onore e la forma non erano prerogative solo al maschile e anche se il jigai non era protocollato, anche qui possiamo trovare che erano rispettate delle forme. Le donne che appartenenti a famiglie samurai, o mogli di samurai, commettevano suicidio tagliandosi la vena giugulare con un colpo secco, usando un piccolo tantō (kwaiken) di uso prevalentemente femminile. Anche qui lo scopo era raggiungere rapidamente la morte e nel modo piu’ dignitoso possibile A tal fine anche loro avevano previsto un espediente per non offrire uno spettacolo scomposto: si legavano le gambe mentre erano in posizione seiza. In questa maniera la morte sopraggiungeva prima di un movimento inappropriato dovuto alle convulsioni, e cadendo in avanti con la faccia nel terreno.

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