Jidai
Akira Kurosawa: 1943 - Sugata Sanshiro
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Akira Kurosawa: Sugata Sanshiro
1943
Susumu Fujita, Denjiro Okochi, Yukiko Todoroki, Takashi Shimura, Ryunosuke Tsukigata
Sul finire del 1800 varie scuole di jujutsu si confrontano per avere la supremazia, inviando i loro migliori esponenti ai tornei che selezioneranno gli istruttori di esercito e polizia.
Il migliore allievo della scuola Kodokan di Jigoro Kano otterrà la vittoria aprendo la strada allo straordinario successo del judo.
Commissionato per esaltare in tempo di guerra le virtù tradizionali del popolo giapponese il film, che narra di queste vicende, venne poi seguito da un secondo episodio iniziato a girare poco prima della fine della guerra ma terminato dopo.
Infatti in alcuni confronti oriente-occidente introdotti ad arte vi si tenterà tra le righe una critica all’arroganza delle truppe di occupazione; ad esempio mostrando un confronto tra il judoka ed un pugile statunitense, che aveva brutalizzato i precedenti avversari.
Si tratta delle prime prove in assoluto di Akira Kurosawa, allora poco più che trentenne e reduce da travagliate vicende familiari che non gli avevano ancora consentito di trovare una sua via.
Sugata Sanshiro, questo è anche il nome del protagonista, è la sua prima prova in assoluto come direttore, dopo il tirocinio sotto il suo maestro Kanjiro Yamamoto: fu un'opera tormentata dalla censura bellica, per ragioni che non hanno ancora trovato una spiegazione convincente.
La lunghezza originaria era di 97 minuti, ma l'anno successivo l'intervento della censura obbligò ad eliminarne circa 17 e la versione rimaneggiata - l'unica rimasta fino al ritrovamento in Russia molti anni dopo di una copia con alcune scene tagliate - ne conta 72 circa. Va ricordato, forse è semplicemente questa la ragione principale, che una legge del 1944 limitava la lunghezza delle opere cinematografiche, e dopo il rimaneggiamento Sugata Sanshiro rientrava di giustezza nei limiti.
Si è tentato di ricostruire le parti mancanti attraverso un esame della sceneggiatura originale e una attenta osservazione delle scene in cui appaiono dei salti logici, ma come abbiamo detto senza arrivare a risultati definitivi. Particolarmente presa di mira dalla censura fu la discussione tra il maestro Yano (Denjiro Okochi) e il discepolo Sugata (Susumu Fujita) che precede il ravvedimento di questultimo.
Ma sembra che la versione eliminata parlasse della necessità di obbedire ad ordini superiori mentre quella post censura parla di generica opportunità di comportarsi rettamente. Non è chiaro quindi perché la censura bellica avrebbe dovuto tagliare una frase che poteva semmai essere di supporto alla propaganda militarista.
Lo stesso Kurosawa, che scrisse la sceneggiatura di un'opera omonima uscita nel 1965, diretta da Seichiro Yuchikawa, rinunciò a ritornare alla versione originaria né ha mai spiegato quali fossero le parti tagliate, pur ricordando nella sua autobiografia che si era trattenuto a stento dall'aggredire i componenti della commissione di censura e venne portato via da un provvidenziale intervento di Ozu e Taasaka, i due soli registi membri della commissione, che elogiarono anche il suo lavoro. Durante l'interminabile attesa due anonimi impiegati dell'ufficio discutevano animatamente tra di loro, ed uno dei due esclamando "Yama arashi!" (la tecnica di judo con cui il protagonista vinceva i suoi incontri) scagliò l'altro al solo. Kurosawa ebbe così conferma che il suo film nonostante tutto avrebbe incontrato il favore del pubblico.
I personaggi dell'opera provengono dalla vita reale. Sugata Sanshiro è tratto dall'omonimo romanzo - mai pubblicato per quanto ne sappiamo in occidente - di Tsuneo Tomita, legato per motivi familiari all'ambiente del Kodokan. Kurosawa ebbe una sorta di premonizione: tormentò incessanemente Nobuyoshi Morita, capo divisione della casa di produzione per acquistare i diritti del romanzo, ma dovette confessare non solo di non averlo letto, ma che nemmeno era stato ancora pubblicato. Finalmente si presentò di notte alla casa di Morita, avvolta nel buio, e bussò alla porta con la prima copia del libro chiedendo di leggerlo immediatamente.
La scuola Kodokan venne fondata nel 1882 da Jigoro Kano (1860-1938) che nel film viene chiamato Shagoro Yano, fino allora praticante di varie scuole di ju jutsu. Il suo metodo venne chiamato judo e si affermò in breve tempo, anche vincendo numerosi tornei interstile organizzati dalle forze dell'ordine e dall'esercito per selezionare gli istruttori.
I campioni più rappresentativi del Kodokan, chiamati Shitenno (Quattro Guardiani) furono Shiro Saigo (1866-1922), che è il personaggio principale del film con il nome di Sanshiro Sugata, Sakujiro Yokohama, Yoshiaki Yamashita e Tsunejiro Tomita (1865-1937). Tsuneo Tomita, l'autore del romanzo, era figlio di quest'ultimo.
Il film inizia con l'arrivo di Sanshiro al dojo Monma jujutsu, in Tokyo, presso cui intende praticare. E' l'anno 1882.
Non ne riceve una buona impressione: sono persone volgari e dedite al bere, ma gli promettono di dar mostra a breve della loro arte.
Hanno intenzione infatti di dare una lezione a Shagoro Yano, che ha da poco fondato una nuova scuola, permettendosi anche la sfrontatezza di darle un nome del tutto nuovo, in rottura con la tradizione: il judo.
Gli tenderanno un agguato per strada, di sera. Yano arriva a bordo di un ricsciò (jinrikisha), una carrozzina a ruote introdotta da poco, tirata da un uomo: in precedenza l'utilizzo di ogni veicolo a ruote era interdetto dalla legge, per regolamentare le comunicazioni e impedire il rapido spostamento di truppe, e si utilizzavano delle portantine.
Un tocco realistico che Kurosawa utilizza - assieme ad altri introdotti senza farli troppo notare - per rendere l'idea di un Giappone in rapido ed irreversibile mutamento.
Sul bordo di un canale, Yano viene affrontato dai malintenzionati; ha l'abbigliamento tradizionale della classe samurai, per quanto sia disarmato. E' di pochi anni prima (1876) la proibizione del porto delle due spade.
Ci viene presentato da Kurosawa come una persona matura, l'interprete come detto è Denjiro Okochi. Saigo (Susumu Fujita) ha invece un aspetto decisamente giovanile, per rimarcare la distanza che intercorre tra maestro e discepolo.
In realtà questa distanza è più culturale che fisica. Al momento del loro primo incontro Saigo/Sugata aveva 16 anni, ma Yano/Kano non era di molto più anziano.
Aveva 24 anni solamente, e possiamo vedere il suo vero aspetto da questa foto che risale proprio al 1882, dove appare in abiti e con acconciatura occidentali.
Non si hanno indizi che l'episodio dell'aggressione da parte della scuola Monma si sia effettivamente verificato ed in quei termini, è tuttavia sostanzialmente plausibile.
Il primo campione del Monma ryu affronta aggressivvamente Yano, e riesce a spingerlo fin sull'orlo del canale.
Yano riesce ad arrestarsi proprio sull'orlo, poi cedendo alla pressione dell'avversario si lascia cadere sulla schiena e lo proietta sopra di se nel canale, con una spettacolare tecnica che ogni praticante di judo conosce: tomoe nage.
Il brutto ceffo affonda nell'acqua melmosa, sollevando una marea di spruzzi. Kurosawa non si occupa più della sua sorte, e così faremo anche noi.
Il secondo attaccante non ha sorte migliore, ma Kurosawa preferisce mostrare una tecnica che sembra attingere al bagaglio tecnico dell'aikido.
Non è inverosimile: proprio nel 1942 la fondazione Aikikai veniva ufficialmente riconosciuta dal governo giapponese, e sappiamo che fin dagli inizi degli anni 30 il maestro Morihei Ueshiba aveva il suo dojo, allora chiamato Kobukan, a Tokyo.
Non conosciamo il nome del maestro d'armi che prestò la propria consulenza a Kurosawa, ma anche se si fosse trattato di un esperto di judo una sua conoscenza di base dell'aikido sarebbe la norma. Kano aveva inviato i suoi migliori allievi presso il Kobukan, ed alcuni di loro come ad esempio Minoru Mochizuki continuarono a studiarlo per tutta la vita.
Jigoro Kano aveva infatti conosciuto Ueshiba, elogiandolo pubblicamente ed accarezzando per qualche tempo l'idea di chiedegli un suo trasferimento al Kodokan.
Kano approfittava volentieri delle competenze altrui: dopo le iniziali vittorie nei tornei interstile, il Kodokan patì ad inizio 900 una sconfitta ad opera della scuola Fusen ryu, specializzata nella lotta a terra. Kano lungi dall'irritarsi invitò i rappresentanti del Fusen ryu a trasmettere le loro conoscenze al Kodokan, modificandone l'impostazione in modo da tenere in maggior conto i punti dimostratisi deboli.
Ad ogni modo, la tecnica con cui Yano manda a rinfrescarsi il secondo aggressore nelle acque del canale è indiscutibilmente un kotegaeshi eseguito con piena aderenza ai canoni dell'aikido.
Gli altri aggressori vengono liquidati con disinvoltura man mano che azzardano un attacco, con classiche proiezioni o con immobilizzazioni a terra, sempre provenienti dal bagaglio tecnico del judo.
Sanshiro Sugata è rimasto a bocca aperta.
Sanshiro non rimane per molto a guardare: ha capito subito che quello sarà, deve essere il suo maestro.
Il conducente del ricsciò si è dileguato, Sanshiro non ha esitazione a chiedere di prendere il suo posto e mettersi alle stanghe.
Porterà a destinazione il maestro Yano, e rimarrà con lui divenendone discepolo.
Ha un attimo di impaccio quando si rende conto che non può correre con gli alti eta, gli zoccoli di legno che venivano utilizzati per evitare pozzanghere, fango e neve.
Li lascia sul posto, così abbandonando simbolicamente anche la sua vita anteriore.
La cinepresa di Kurosawa indugia su quegli zoccoli: trasportati qua e là dal vento, sferzati dalla pioggia, in bocca ad un cagnolino, infilzati sopra una cancellata di tipo occidentale, indizio dei cambiamenti traumatici che sconvolgono il Giappone in quegli anni.
Ed infine trasportati via dalle acque del canale.
Lo spettatore comprende immediatamente che sta trascorrendo diverso tempo: la sequenza successiva forse non renderà conto di quanto successo nel frattempo, sicuramente ci porterà molto avanti, in una situazione completamente diversa.
Shiro Saigo fu l'ottavo discepolo ad essere iscritto nei registri del Kodokan. Uno dei primi dell'epoca, uno degli ultimi di quell'anno: il registro riporta solamente pochi nomi - nove - eppure il dojo doveva essere ben affollato: i tatami a disposizione erano solamente dodici.
Già l'anno seguente Shiro Saigo fu uno dei due discepoli a ricevere l'importante nomina a yudansha. Fu Kano per primo, in quell'occasione, ad istituire questo sistema di graduazione, e ad adottare una cintura di colore nero per tutti i diplomati a livello dan.
Kurosawa non ha però l'intenzione di mostrarci la rapida ascesa di Sanshiro, vuole piuttosto farci capire che la sua abilità tecnica e la sua forza fisica non ne fanno necessariamente un maestro, anzi probabilmente nemmeno un uomo maturo: è ancora, anche lui, un cucciolo che gioca.
Siamo ora presumibilmente in Yoshiwara, il quartiere dei piaceri di Tokyo.
E' chiaramente in atto una rissa, e il protagonista è Sanshiro, in preda ad una folle esaltazione ma non dimentico delle tecniche apprese da Yano.
Tra le sue mani gli avversari volano come fuscelli. Fin quando inavvertitamente attacca briga con un gigantesco sumotori.
Impassibile, divertito, costui lo fissa: accetta volentieri il confronto, ma senza animosità, senza aggressiviità.
Non sapremo come andrà a finire. Kurosawa si contenta di averci mostrato l'esaltazione giovanile di cui ancora è preda Sanshiro, e immediatamente sposta l'azione nella dimora di Yano.
La reprimenda di Yano al suo discepolo, che si presenta mortificato e con la veste strappata, è senza pietà: non è quella la strada che intende indicare ai suoi allievi e non sa che farsene di chi dimostra di non essere pronta a seguirla.
Come già detto non è facile ricostruire cosa effettivamente Kurosawa intendesse mettere in bocca al maestro.
Questa è sicuramente la scena che la censura ha maggiormente preso di mira, al punto tale da non poterne ragionevolmente tentare una ricostruzione sicura.
Rispettiamo quindi la volontà dello stesso Kurosawa, che ha rinunciato nel prosieguo della sua vita a chiarire il mistero.
Il senso generale non lascia però adito ad alcun dubbio.
Sugata Sanshiro non inizierà a seguire veramente la via del judo e non potrà essere un vero combattente se non quando avrà rinunciato alla sua giovanile ed inutile aggressività e al suo orgoglio.
Dovrà raggiungere attraverso il satori lo stato di reale armonia con se stesso, con gli altri e con l'energia dell'universo.
Disperato Sanshiro si alza, esce nella veranda - è una fredda ed inquieta giornata d'inverno - e si getta nello stagno sottostante, spezzandone la coltre di ghiaccio ed aggrappandosi ad un palo per non andare a fondo.
Giura di essere pronto a morire, e che non abbandonerà a nessun costo il suo proposito e la sua scomoda posizione.
Yano non ha alcun cedimento, gli augura anzi provocatoriamente di andare all'inferno.
Durante la notte interviene anche Osho (Kokuten Kodo), un saggio prete che frequenta il dojo e la casa di Yano.
Anche lui cerca di scuotere con aspre critiche il giovane presuntuoso, ma invano: non è ancora pronto a capire.
La notte di veglia nello stagno ghiacciato gli porterà però una luce, assieme a quella dell'alba che sta sorgendo.
Accanto a lui, un fiore di loto sboccia maestosamente.
In quel momento Sanshiro raggiunge il satori, la completa armonia con le forze della natura.
Comprende i suoi errori, e chiedendo scusa al maestro Yano per la sua arroganza, decide di iniziare una nuova vita.
Quello che Kurosawa non perdona sono gli errori di certi critici: si è detto e ridetto che i fiori di loto non sbocciano di notte, e Kurosawa commentava sconsolato che non saprebbe cosa altro aggiungere alla scena per far capire che è l'alba (si ode perfino il canto del gallo).
E lo schiudersi del fiore, accompagnato da un accordo musicale, e nella riedizione negli anni 60 da un percebile suono, sarebbe assurdo: i fiori non emettono alcun suono all'aprirsi. Kurosawa assicura nella sua non-autobiografia di essersene invece accertato di persona recandosi ad osservare l'apertura dei fiori nello stagno di Shinobazu.
Ma, soprattutto, osserva che chi confonde un fenomeno materiale con una espressione poetica non ha speranza di essere curato, e mai potrà comprendere, considerandolo una ovvietà, il celeberrimo haiku di Basshô:
Un vecchio stagno
Una rana vi si getta.
Il suono dell'acqua.
Una sfida attende immediatamente il nuovo Sanshiro. Ma non è più quello di prima, e dovrà rendersi conto che non ha ancora il diritto di accettarla.
Sta tranquillamente lavando i suoi panni come era uso in ogni parte del mondo prima che venisse introdotta l'acqua corrente nelle case, ossia pestandoli con i piedi in un rigagnolo.
Qualcuno gli si avvicina alle spalle, e lo tocca col manico dell'ombrello per farlo voltare.
E' uno strano personaggio.
Impeccabilmente vestito all'occidentale, dai modi freddi ed arroganti.
Si chiama Gennosuke Higaki (interpretato da Ryunosuke Tsukigata) ed è un campione di una scuola avversaria.
E' venuto a chiedere un confronto con il maestro della scuola del judo.
Shagoro Yano è però assente, e l'ospite viene ricevuto dal dojocho - responsabile della scuola - Saburo Kodama sensei (Yoshio Kosugi).
Questi acconsente solamente ad un incontro con uno degli allievi, vietando a Sanshiro di accettare la sfida
Igaki batte con facilità irrisoria il rappresentante del Kodokan.
Il suo modo di combattere è violento, ma efficace.
Il malcapitato avversario è ridotto a mal partito e lo si deve soccorrere.
Gennosuke Igaki ha fatto quello che era venuto a fare, ma non sembra soddisfatto. Ha istintivamente identificato in Sanshiro un nemico mortale, e lo fissa con aria di sfida.
Sanshiro Sugata rimane impassibile.
Sa già probabilmente che verrà il momento di dover accettare questa sfida, ma si rende anche conto che il momento deve ancora arrivare, e non potrà essere lui a giudicare quando sia arrivato.
O, perlomeno, dovrà essere un altro Sanshiro, ben più consapevole di quello attuale.
Poco tempo dopo arriva il momento di una tenzone importante, ma su un altro piano.
Gli allievi del Kodokan, in abiti civili, sono formalmente schierati all'interno del dojo, in posizione di seiza.
Attendono comunicazioni da parte del maestro.
Yano sensei ha tra le mani una lettera sigillata.
La apre e la legge ad alta voce, riservandosi di comunicare dopo la lettura la sua decisione.
Si tratta di una sfida ufficiale al Kodokan.
E ha deciso di accettarla.
Il campione designato per affrontarla sarà Sanshiro Sugata.
In realtà l'esito di queste sfide veniva stabilito attraverso lo svolgimento di un torneo a cui partecipavano 15 rappresentanti per scuola.
Naturalmente era la scuola che riportava il maggior numero di affermazioni individuali ad essere dichiarata vincitrice della sfida.
Per accentuare la drammaticità della vicenda Kurosawa decide però non solo di farne un duello uomo contro uomo, ma anche di scindere in due episodi distinti quanto si dice sia successo nel torneo.
Non fu tra l'altro causato da una sfida, si trattava di una manifestazione ufficiale organizzata dal Dipartimento di Polizia Metropolitana di Tokyio.
Ma torniamo a questo - immaginario - scontro sostenuto da Sanshiro Sugata.
Il suo antagonista ha un aspetto temibile.
Sul volto di Sanshiro traspare invece la tensione agonistica, ma senza alcuna traccia del furore e della mancanza di controllo che lo caratterizzavano fino a poco tempo prima.
E' veramente un altro Sanshito quello che si trova in quel momento sul tatami, ma dovrà imparare che anche nel momento del successo si può essere sconfitti nel modo più imprevisto e più assoluto, senza che si presenti alcuna possibilità di scampo.
Il regista si sofferma su uno degli spettatori.
E' un volto relativamente poco noto all'epoca, ma che verrà immediatamente riconosciuto da chiunque ami il cinema di Kurosawa e quello giapponese in genere.
Takashi Shimura, qui nei panni del maestro di jujutsu Hansuke Murai, appare già in questa opera prima di Kurosawa. Non lo lascerà praticamente più fino alla morte, apparendo per l'ultima volta in Kagemusha.
Attore impareggiabile, capace di ricoprire ogni ruolo, dal protagonista assoluto alla "spalla" fino al personaggio di contorno, in grado di assumere l'aspetto di ogni fascia di età, di ogni fascia sociale, di simulare ogni carattere umano.
Ci viene qui presentato come un uomo abbastanza maturo, sebbene abbia all'epoca solamente 37 anni.
Tornerà presto nella vicenda, in un ruolo catartico.
I due contendenti si affrontano senza darsi respiro. I combattimenti non prevedevano all'epoca limiti di tempo né interruzioni, tantomeno categorie di peso.
Sanshiro, più agile, si mantiene costantemente sulla difensiva ed elude i costanti attacchi dell'avversario.
Viene qui, nel combattimento immaginario, anticipato quanto le fonti storiche riportano avvenuto nel torneo della Polizia, la cui posta era l'appalto per l'addestramento alla difesa personale delle forze dell'ordine metropolitane.
Tra il pubblico appare anche l'enigmatico damerino Igaki, seduto a fianco di Murai sensei.
Il pubblico si agita, si alza in piedi.
Sanshiro improvvisamente ha preso l'iniziativa, è entrato nella guardia dell'avversario e sta per proiettarlo al suolo.
Kurosawa rinuncia a mostrare dettagliatamente le tecniche, le lascia solamente immaginare.
L'attacco di Sanshiro è andato a segno.
Il suo avversario è stato proiettato a grande distanza, urtando rovinosamente contro il muro del dojo e rimanendo a terra esanime.
Una folla muta è assiepata fuori dal dojo, dove hanno trovato posto solamente le autorità e gli addetti ai lavori.
Lo stupore è dipinto sugli occhi di tutti.
L'occhio dello spettatore cade invece inevitabilmente sulla donna è al centro del gruppo.
Apparentemente impassibile, quella donna ha la morte negli occhi e nel cuore.
E' la figlia del campione sconfitto, e ha compreso immediatamente che la caduta è stata fatale: suo padre è morto nel combattimento.
Sanshiro Sugata, anche senza averne minimamente avuto l'intenzione, anche mantenendo il suo sangue freddo e la sua serenità, ha ugualmente ucciso il suo avversario.
Si tratta in realtà di una diceria totalmente infondata, eppure a distanza di oltre un secolo dagli avvenimenti, il torneo si svolse nel 1886, continua a trovare credito in molti esperti.
Che Kurosawa l'abbia utilizzata per fini drammatici non deve però stupire né scandalizzare.
Nel 1886 come già detto il Dipartimento di Polizia di Tokyo organizzò un torneo per selezionare la scuola di arti marziali destinata alla formazione dei poliziotti.
Il prestigioso incarico avrebbe fatto la fortuna di qualunque scuola, e probabilmente furono molti i pretendenti e si dovette ricorrere a delle preselezioni.
La finale, al meglio di 15 combattimenti, si svolse tra il Kodokan, scuola centrale del nascente judo, e la branca -ha - Totsuka dello Yoshin ryu.
Jigoro Kano così parla del caposcuola:
Totsuka Hikosuke era considerato il più forte jujutsuka del periodo Bakumatsu [termine dello shogunato, che ebbe fine 18 anni prima del torneo]. Dopo Hirosuke, fu suo figlio Eimi a portare avanti il nome della scuola, formando numerosi jujutsuka di valore. Menzionando il nome Totsuka, ci si riferisce al più grande maestro di jujutsu dell'epoca. Gli stessi miei maestri delle scuole Tenshin Shinyo ryu e Kito ryu vivevano con tensione ogni confronto con i maestri del Totsuka jujutsu presso il dojo Komusho dello Shogunato.
Il nome esatto della scuola sembra sia stato Totsuka ha Yoshin koryu (antica scuola). Le origini del ramo principale si fanno risalire infatti al XVII secolo.
E' presumibile che nel 1886 Hirosuke Totsuka avesse tra i 50 ed i 60 anni, e la partecipazione del caposcuola ad un torneo è inoltre estremamente improbabile, dobbiamo quindi concludere che Kurosawa abbia anche in questo caso forzato la realtà per adattarla alle necessità del racconto.
In questa foto, risalente al 1906, vediamo Jigoro Kano (al centro, con il bastone) durante una riunione con i rappresentanti delle maggiori scuole di jujutsu.
Alla sua sinistra Hidemi Totsuka (trascritto come Eimi nel racconto di Kano), figlio di Hirosuke, che è chiaramente in età già avanzata.
Prima di narrarci dell'epico scontro tra Sanshiro ed il maestro Hansuke Murai, il regista vuole darcene un breve ritratto.
Tratteggerà poi anche le figure degi altri protagonisti della vicenda, sul tatami e fuori.
Murai è una persona amabile, per quanto sia temuto e rispettato sul tatami, e vive apparentemente solo con la figlia Sayo.
Il suo migliore allievo è l'inappuntabile, gelido e violento Gennosuke Higaki.
Egli ha già deciso che impalmerà Sayo, senza soffermarsi a interpretare i reali desideri e le aspettative della ragazza, ritenendolo praticamente un atto dovuto.
Diventera così anche il successore di Murai alla testa della scuola.
Il suo carattere viene efficacemente tratteggiiato da Kurosawa con un'unica sequenza, particolarmente efficace proprio in grazie della sua brevità e della sua apparente ininfluenza.
Mollemente adagiato in casa di Murai, Higaki getta con noncuranza la cenere della sigaretta sopra il magnifico fiore sistemato ad arte accanto a lui da Sayo.
Sanshiro nel frattempo non trova pace al suo tormento interiore.
Si aggira senza una meta precisa per i quartieri di Tokyo, deserti e polverosi.
Un cartello rotto dal vento, affisso ad un muro, acuisce il suo dolore.
E' la casa dove risiedeva l'uomo da lui ucciso in combattimento, ed il cartello informa che la casa è in affitto.
La figlia, il cui volto pietrificato continua a riaffacciarsi agli occhi di Sanshiro, vede spezzata la sua vita sia negli affetti che nella quotidianità.
Sayo e Sanshiro sono destinati ad incontrarsi presto, in circostanze drammatiche.
La ragazza si aggira nei precinti di un tempio, evidentemente vicino al Kodokan visto che il prete Osho ed uno dei discepoli si trovano là, e con l'aria di chi è di casa.
Sayo ha un'aria strana, e chiede incessantemente di Sanshiro: insospettiti i due la perquisiscono.
Ha un pugnale nascosto tra le vesti, intendeva uccidere Sanshiro per evitare al padre il pericoloso combattimento contro un uomo che ha già ucciso.
Poco dopo arriverà lo stesso Sanshiro, accompagnando il maestro Yano.
Questa sequenza, apparentemente senza particolare importanza, è una pietra miliare nella storia del cinema: è infatti la prima in assoluto girata da Akira Kurosawa come regista.
Racconta di essersi sentito osservato con stupore dall'intero staff quando, con voce che tentava di rendere normale, gridò "Yoi, staato!" (Pronti, start!). La sua tensione traspariva, ma era già scomparsa nel girare la seconda scena.
E' quella in cui Sayo, evidentemente redarguita ma senza prendere alcun provvedimento concreto contro di lei, è ancora al tempio e sta pregando per la salvezza di suo padre.
L'attrice, Yukiko Todoroki, chiese a Kurosawa se dovesse semplicemente pregare per la vittoria del padre. Si sentì rispondere di pregare anche, già che c'era, per la riuscita del film.
Ignari dell'antefatto Yano e Sanshiro ammirano la classica e composta bellezza di Sayo, ma non si avvicinano per non disturbarne il raccoglimento.
I due giovani si incontreranno qualche giorno dopo lungo la scalinata di accesso.
Sayo ha avuto un piccolo incidente, uno dei suoi zoccoli si è rotto e Sanshiro interviene gentilmente per una riparazione di emergenza.
E' un incontro fortuito che sembra destinato a non avere seguito, nessuno dei due pensa a presentarsi.
Eppure tra di loro nasce spontaneamente una naturale attrazione, e prendono l'abitudine di incontrarsi spesso lungo la scalinata, sempre ignorando ogni cosa l'uno dell'altra.
E' Sayo in un momento in cui desidera aprirsi a rivelare che le sue frequenti visite al tempio sono motivate dall'apprensione per la sorte del padre: lei viene per implorare la vittoria per lui, e la sconfitta per Sanshiro Sugata.
Improvvisamente la distanza tra i due, che sembrava doversi annullare, diventa siderale.
Sanshiro, con la morte nel cuore, rivela la sua identità.
Lascia su quella scalinata, assieme all'ombrello da lui dimenticato, i suoi sogni infranti prima ancora di cominciare a sbocciare.
La sequenza, definita sbrigativamente "scena d'amore", fu una di quelle più bersagliate dalla commissione di censura, che imputò a Kurosawa di avervi seguito una ispirazione smaccatamente "anglo-americana".
Per la verità sembra una scena, oltre che delicata, ispirata ad allusioni culturali squisitamente giapponesi, come il sottile gioco degli ombrelli dietro cui ci celano e si rivelano i due protagonisti.
Nella caldissima estate del 1886, a 20 anni, Sugata Sanshiro è il campione designato dal maestro Yano per affrontare l'importante prova che potrebbe cambiare il destino della giovane scuola, nata da appena 4 anni.
La vigilia è tormentata, densa di dubbi.
Con il suo modo burbero ma diretto il monaco Osho affronta Sanshiro e lo incita ad abbandonare ogni esitazione, dimostrandosi degno della fiducia accordatagli ed uomo maturo capace di dominare non solo la propria forza fisica ma anche i suoi sentimenti.
Il momento è arrivato: al'interno della sala - affollata da importanti personaggi - si respira a fatica per la calura.
Un ufficiale della polizia dirige l'incontro.
L'ambiente e la tensione sono tali da intimorire chiunque.
Tutti tranne Shagoro Yano.
Imperturbabile, sembra che stia attendendo l'inizio di una noiosa conferenza invece che l'esito di un confronto dal quale dipendono le sorti di due scuole di arti marziali.
Una antichissima, contando 2 secoli di storia, una ancora nascente.
La tensione di Sanshiro viene fortunatamente allentata da un buffo incidente.
Mentre si sta mettendo in posizione di seiza per salutare il suo antagonista, il suo keikogi, già lacero dopo anni ed anni di intenso allenamento, cede.
Un vistoso strappo si apre all'altezza del ginocchio sinistro.
Hansuke Murai, persona come abbiamo detto amabile e tendente al sorriso, ne è divertito.
Anche Sanshiro Sugata è contagiato da quell'imprevisto momento di allegria e spensieratezza.
Improvvisa, inattesa, una forte corrente di simpatia si sprigiona e corre tra i due irriducibili avversari.
Non per questo il combattimento è meno intenso. Le cronache, non si sa fino a che punto influenzate dal romanzo di Tsuneo Tomita, raccontano di un atteggiamento difensivo da parte di Shiro Saigo, che prevalse infine con la sua tecnica favorita, lo yamarashi (tempesta sulla montagna).
E' un tecnica presente nel primo gokyo (gruppo di 5 tecniche di base) del Kodokan pubblicato a fine 800, e sembra analoga a questa che vediamo tentare nella finzione da Hansuke Murai.
Forse una deliberata citazione di Kurosawa.
Col tempo lo yamarashi divenne nella fantasia di molti una tecnica leggendaria perduta nel tempo.
Alcuni la ricostruirono immaginandola come una sorta di koshinage di aikido, mentre altri sostennero trattarsi di una variazione di shihonage, proveniente dal bagaglio del Daito ryu aikijujutsu di Aizu (regione da cui proveniva Shiro Saigo), cui ha attinto anche l'aikido.
Non esiste alcuna prova in proposito, e i più autorevoli studiosi negano concordi tale ipotesi. Sembra accertato comunque che nel metodo Kodokan il maestro Jigoro Kano privilegiò lo studio delle tecniche dimostratesi maggiormente efficaci e che preservassero i praticanti dagli infortuni. Una eccessiva varietà di scelta rallentava infatti i processi decisionali del combattente e "annacquava" la pratica ostacolando l'approfondimento intensivo, mentre i numerosi infortuni mettevano spesso i praticanti nell'obbligo di interrompere gli allenamenti.
Hansuke Murai conduce l'incontro tentando in continuazione di atterrare Sanshiro (ci si perdonino questi continui passaggi dai personaggi reali a quelli immaginari).
La leggenda, il romanzo ed il film vogliono che Sanshiro sia rimasto sulla difensiva, atterrando miracolosamente in piedi - agile come un gatto - anche quando la proiezione sembrava inevitabilmente riuscita facendo marcare a Murai ippon (un punto).
Come già detto gli incontri non prevedevano intervalli.
Dopo numerosi minuti di corpo a corpo entrambi i contendenti, in un ambiente surriscaldato dove boccheggia anche il pubblico, sembrano quasi allo stremo.
Entrambi hanno bisogno di rifiatare.
Ed è proprio in quel momento che Sanshiro trova dentro di sé la volontà di superare ogni limite, e passa all'attacco con grande determinazione.
Murai viene più volte atterrato e proiettato a grande distanza. Kurosawa come di consueto accenna solamente a mostrare le tecniche, lasciando immaginare allo spettatore quanto non visibile.
Murai si rialza ogni volta, finché un'ultima energica proiezione lo lascia al suolo senza che possa più rialzarsi.
Il pubblico comprende che è finita.
Finiva con quella sfida, ripetiamo che si trattò di un torneo a squadre e non di un duello individuale, anche un'epoca: quella del jujutsu.
Iniziava l'epoca del judo e delle nuove arti marziali, più sistemi di formazione dell'individuo, nelle sue componenti mentali e fisiche, che metodi di combattimento.
Eppure per affermarsi dovettero dimostrare la loro superiorità anche sul campo.
Non si pensi tuttavia ad una frattura inconciliabile tra i due mondi; lo dimostra anche la foto già motrata, scattata a 20 anni di distanza, in cui Jigoro Kano e Hidemi Totsuka sono fianco a fianco, nella commissione incaricata di stabilire i kata di approfondimento da introdurre nel judo.
Sono Yano e Sanshiro i primi a correre in soccorso di Murai, che anche dopo essersi dichiarato sconfitto non sembra in grado di riprendersi
La folla festante attornia Sanshiro.
Ma lui non riesce a gioire, lo tormenta il pensiero che un'altra donna, e verso la quale prova dei sentimenti ancora indecifrabili ma forti, deve ancora soffrire a causa sua.
Siamo ora nella dimora di Hansuke Murai.
Non si è ancora ripreso del tutto dopo il combattimento, ma sembra sereno.
Si sta concendo una tirata con la pipa, che gli viene porta accesa da qualcuno accanto a lui.
E' Sanshiro Sugata.
Ha chiesto il permesso di rendere visita al suo ex avversario, ed è stato ricevuto con grande cortesia, anzi addirittura con una punta di affetto.
Anche Sayo partecipa all'accoglienza di Sanshiro.
La scena è idilliaca e sembra preludere ad un necessario lieto fine convenzionale.
Che non ci sarà: non ora almeno. Gennosuke Higaki si presenta come suo solito, senza preavviso, nella casa del maestro.
Una sola occhiata gli è sufficiente per comprendere quanto sta succedendo: è irrimediabilmente sconfitto in modo umiliante, davanti al suo maestro e a quella che considerava già la sua donna.
La sua lettera di sfida a Sanshiro non tarderà.
E dovrà essere un combattimento senza alcun limite.
La sfida si svolge in una brughiera di montagna squassata dal vento.
Il sole sta cedendo a nuvole minacciose: anche la natura sembra volersi adeguare alla tempestosità degli uomini.
Ottenuto il permesso di girare all'aperto invece che in uno studio di produzione, Kurosawa aveva ricercato a lungo un luogo adatto, scegliendo infine l'altopiano di Sengokuhara, ma era inaspettamente capitato in un periodo di mancanza di vento.
La produzione aveva posto la condizione di terminare le riprese entro tre giorni, ma solo sul finire del terzo si levò il vento. Kurosawa e il suo gruppo lavorarono come ossessi per sfruttare l'irripetibile occasione.
La ricerca come scenario dei fenomeni della natura fu una costante nella produzione successiva di Kurosawa, delizia per gli spettatori e croce per i produttori, che dovettero spesso sopportare la dilatazione dei tempi di lavorazione - la natura ha i suoi tempi - e di conseguenza delle spese di produzione.
E' il maestro Saburo Kodama ad arbitrare l'incontro, cui assiste un testimone per parte.
Sono di fronte due antagonisti che erano destinati in un modo o nell'altro a doversi affrontare, rappresentanti di due modi diversi di intendere il mondo e l'arte.
Non vi può essere, non vi potrà mai essere spazio per entrambi.
Sugata Sanshiro e Gennosuke Higaki sono l' uno di fronte all'altro nel momento della verità.
Higaki è animato da una furia cieca, ha bisogno di sfogare ogni sua frustazione, e la causa di ogni suo male è lì, di fronte a lui.
E' difficile resistergli, certamente la vittoria gli è necessaria, molto più di quanto.possa esserlo per Sugata.
Paradossalmente quello che è stato un punto di arrivo faticosamente conquistato dopo averlo a lungo cercato, si rivela per Sanshiro un pericoloso punto debole.
Higaki afferra la gola di Sanshiro stringendolo in una morsa, tentando un kubishime (strangolamento)
Sanshiro sta per soccombere, per lasciarsi andare.
L'ultima visione che rimarrebbe nelle sue pupille è quella del cielo tempestoso in cui si svolge il duello.
Improvvisamente, in quel momento, gli torna l'immagine della ninfea che si schiude di fronte a lui in quel gelido mattino, nello stagno del dojo in cui era immerso.
Ritrova di nuovo il satori, l'armonia con l'universo, e con quello la forza di combattere ancora.
Sottrattosi alla morsa di Higaki, lo afferra a sua volta e lo proietta a grande distanza.
Il corpo di Higaki scivola giù per la scarpata, mentre lui è annientato, incapace di ogni reazione.
Invano implora di ucciderlo.
Oramai tutto è finito.
Sono riuniti nel dojo Shagoro Yano, Saburo Kodama ed il reverendo Osho, visibilmente soddisfatti.
La vita di Sanshiro sembra aver preso la piega da tutti auspicata.
E' solo un lontano ricordo quella notte di tempesta nel cielo e nell'animo di Sanshiro, immerso in quello stagno che vedono fuori della veranda.
Sanshiro non c'è: è in viaggio.
Non ne vengono precisate le ragioni, ma intuiamo che si tratta di un viaggio abbastanza lungo, che lo porterà lontano per qualche tempo e darà inizio ad una nuova fase della sua vita.
Lo accompagna per un tratto Sayo.
Sanshiro rimane sulle sue, non sa bene cosa dirle e come.
Viene in suo soccorso un altro provvidenziale piccolo incidente.
O è forse una innocente malizia di Sayo.
Una di quelle malizie di cui fortunatamente ogni donna sa fare buon uso.
Qualcosa le è entrato nell'occhio: potrebbe Sanshiro essere così gentile da aiutarla?
L'ultima inquadratura di Kurosawa è dedicata alla buffa piccola locomotiva che porta i due giovani verso il percorso della vita.
Si chiude qui l'opera prima di Akira Kurosawa.
Non sappiamo in realtà come abbia condotto la sua vita Shiro Saigo, il personaggio storico cui si ispira Sanshiro Sugata.
Sappiamo che 4 anni dopo il torneo contro il Totsuka Yoshin ryu, nel 1890, mentre era all'apice della fama e nel pieno delle forze, abbandonò il Kodokan per non farvi più ritorno. Le cause sono ignote, e apparentemente sconosciute allo stesso Jigoro Kano che in quel momento si trovava in viaggio.
Shiro Saigo si spense nel 1922 nella terra di Aizu dove era nato. Jigoro Kano scomparve a bordo della nave che lo riportava in Giappone nel 1938. Tornava dall'avere ottenuto l'inserimento del judo nel programma dei Giochi Olimpici, ma la guerra rimandò al 1964 la realizzazione di questo suo sogno.
Perseguì per tutta la vita lo scopo di realizzare il wako yosaii, il principale obiettivo delle menti più illuminate del Giappone durante l'epoca Meiji: accettare la tecnologia occidentale, ma mantenere integro lo spirito del Giappone.