Gendai
Kon Ichikawa: 1956 - L'arpa birmana - Il destino di Mizushima
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Al reparto nessuno ha più avuto sue notizie, ma il capitano Inoue non sa darsi pace e continua le ricerche del sergente, di cui si sente responsabile: ha giurato di ritornare in Giappone con tutti i suoi uomini. Ma nessuno sa dargliene notizia, e la supposizione più sensata è che sia morto durante l'attacco.
Però qualche tempo dopo, ritornando dal campo di lavoro, il reparto incrocia lungo un ponte un monaco con un pappagallo sulla spalla. Sembra proprio Mizushima, ma non risponde alle loro domande e i soldati non possono fermarsi a parlare, vengono costretti dalle guardie a proseguire.
Il film ricostruisce gli avvenimenti con una serie di flashback incrociati, che la logica dello scritto obbliga a trasgredire, ricostruendo cronologicamente quanto successo a Mizushima prima ed al suo reparto poi.
Il solo sopravvissuto al terribile cannoneggiamento inglese era stato proprio Mizushima, scaraventato dallo spostamento d'aria di uno dei primi proiettili in fondo alla caverna dove era relativamente al sicuro. Al suo risveglio, intorno a lui è un'ecatombe.
Trova appena le forze per lasciarsi rotolare a valle dalla imboccatura della caverna, per poi perdere i sensi. Lo ritroverà un bonzo che lo curerà salvandogli la vita .
Per qualche tempo Mizushima si trattiene con lui, ma solo il tempo di rimettersi in forze: sente il dovere di ricongiungersi al reparto. E' in grado di parlare la lingua locale ma non alla perfezione, celandosi sotto le vesti di un bonzo silenzioso invece può passare inosservato. Quindi si appropria delle vesti del suo salvatore e si incammina.
Lungo un'aspra pietraia tra le montagne che sta attraversando troverà ad attenderlo l'orrore della guerra cui pensava di essersi sottratto, e che lo condurrà verso il suo nuovo destino.
Il percorso è cosparso di cadaveri di soldati giapponesi rimasti insepolti. I birmani, come gli spiegherà poi il bonzo, che non lo ha perso di vista, non usano seppellire i corpi degli invasori.
Mizushima avverte dapprima l'impulso di fuggire, ma sente che non può, e si ferma a ricomporre i loro resti.
Ma il suo calvario è solo iniziato: nell'attraversare una fitta boscaglia, si imbatte di nuovo nei resti di numerosi soldati. Dai loro effetti personali si possono ricostruire i loro sogni spezzati.
Raccoglie quanta più legna può e brucia in una pira i loro corpi, per poi riprendere il suo cammino.
Giunto sulla sponda di un largo fiume che non sa come attraversare vaga alla ricerca di un guado.
Ma incontra solamente cataste su cataste di cadaveri ammucchiati oscenamente, nella stessa posa in cui li ha colti la morte.
Si arresta e ancora una volta tenta di dare umana sepoltura a quei poveri corpi abbandonati agli uccelli rapaci ed alla corrente del fiume.
Ma l'impresa è troppo grande per le sue forze e soprattutto per il suo animo ormai irrimediabilmente scosso.
La temporanea salvezza giunge in barca: è l'impassibile bonzo senza nome.
Non fa nemmeno menzione del furto delle sue vesti da parte di Mizushima, sembra non importargli nemmeno che il suo travestimento profani l'abito talare.
Gli lascia a disposizione la barca e la guida, che lo porterà fino al campo di concentramento dove potrà ricongiungersi con i suoi compagni.
Mizushima va, ed arriva fino ad un passo dalla meta che ha così testardamente perseguito.
Ma la visione dei suoi camerati morti insepolti non lo lascia. Capisce che non lo lascerà mai. Torna indietro: ha deciso a dedicare la sua vita al recupero delle loro salme, violentando sé stesso fino al punto di non voler nemmeno più vedere i suoi camerati, per non far vacillare la sua decisione.