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Akira Kurosawa: 1963 - Anatomia di un rapimento - Il rapimento

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Come in altri fiilm di ambientazione contemporanea Kurosawa propone nelle immagini di apertura delle panoramiche di una grande città (Tokyo). Non sono più le desolazioni del dopoguerra: ora mentre scorrono i titoli di testa ci appare una metropoli in chiara crescita, ove si scorgono fitte qua e là le gru delle nuove costruzioni.

Nota: purtroppo l'edizione italiana è di qualità veramente scadente, ed è una sorpresa in quanto una copia reperita in Inghilterra, visionata in precedenza, era invece molto buona. Inoltre il formato Tohoscope - estremamente largo - costringe a tagliare le immagini oppure a mantenere integre le inquadrature a discapito della resa dei particolari. Abbiamo dovuto scegliere questo secondo sistema, l'altro avrebbe evidenziato ancora di più i difetti visivi di cui abbiamo parlato.

Appaiono gli immancabili palazzoni anonimi e scadenti dell'edilizia popolare, che ha fatto i suoi danni ovunque nel mondo negli anni 50 e 60 del secolo XX. Non mancano numerosi edifici di notevole altezza, che dominano dall'alto l'aggolomerato urbano.

Sono sormontati dagli enormi cartelloni pubblicitari che paradossalmente sono inequivocabili indicatori del buono stato di salute, perlomeno mercantile, della società: ove ci sono cartelloni pubblicitari ci sono affari, si può vivere "bene".

Le prime sequenze dell'azione sono traumatiche. Le ragioni ce le spiega lo stesso Kurosawa:

I miei film cominciano bruscamente con una dissolvenza. L'inizio è "drammatico", annuncia un racconto. Ho un soggetto che arricchisco piano piano ma lo sviluppo sotto forma di racconto. Insomma, mi piace raccontare. In generale, conosco già lo sviluppo generale della trama ma il più difficile è trovare il punto di partenza.

Il brano è tratto da una intervista di Yoshio Shirai, Hayato Shibata e Koichi Yamada ad Akira Kurosawa. Pubblicata in Cahiers du Cinema 182, tradotta e pubblicata in italiano in Akira Kurosawa, opuscolo redatto dall'Istituto Giapponese di Cultura in Roma per accompagnare il ciclo di proiezioni del febbraio-maggio 1980. Dal contesto si deduce che Kurosawa intendeva riferirsi soprattutto all'incipit di Vivere (1952) in cui le prime inquadrature mostrano la radiografia di un uomo affetto da un tumore intestinale, mentre una voce fuori campo informa che a quell'uomo restano solamente pochi mesi di vita.

In questo caso abbiamo invece un bambino vestito da cow boy che imperversa nei suoi giochi, armato di un enorme fucile con cui "uccide" tutti quanti gli capitino davanti, con una ingenua violenza che colpisce e traumatizza lo spettatore.

Una immensa vetrata, dall'interno di quella casa che sembra sospesa nel cielo, permette una visione dominante delle degradate borgate sottostanti.

Facciamo poi conoscenza col padre del bambino, l'industriale Kingo Gondo (Toshiro Mifune): sta comunicando al suo braccio destro i particolari del programma di azione che lo porterà ad assumere il controllo della fabbrica.

Ha impegnato tutto quanto aveva per racimolare la cifra necessaria: 50 milioni di yen, che il suo uomo di fiducia dovrà recapitare al destinatario prendendo un aereo per Osaka in mattinata.

L'autista è stato già allertato per accompagnarlo all'aeroporto, ma mentre si prepara è un po' preoccupato per suo figlio, che sta giocando con quello di Gondo: non prenderà freddo? Reiko, la moglie di Gondo (Kyoko Kagawa) lo rassicura: gli presterà un maglione.

Gondo si preoccupa invece di dare ai piccoli, che stanno uscendo per andare a giocare in giardino, la sua lezione di vita giornaliera: anche quando si tratta di un gioco, devono uccidere, od essere uccisi: è la sua filosofia di vita.

Poco dopo arriva una telefonata, cui Gondo risponde inizialmente con la noncuranza dell'uomo d'affari che fa uso ininterrotto del telefono.

E' invece la telefonata che cambierà il corso della sua vita.

Il figlio è stato rapito: per riaverlo dovrà pagare un riscatto di 30 milioni di yen in contanti di vario taglio, che deve iniziare immediatamente a preparare.

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