Tecnica/Cultura

Il bokken: strumento di lavoro, simbolo di una antica tradizione marziale

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Tutti o quasi i praticanti di aikido sanno che cosa è il bokken, più propriamente detto bokuto: una spada di legno lunga circa un metro che riproduce la forma di una katana, la spada maggiormente utilizzata dai samurai, adottata oggigiorno nella pratica del’aikido (aikiken) ma già da diversi secoli nelle scuole di kenjutsu. Piú difficile naturalmente trovare qualcuno che sappia anche a quali caratteristiche deve rispondere il bokken, e quale è la sua storia.

 

 

 

Iniziamo da una succinta descrizione: il bokken è una robusta spada di legno da allenamento, di solito leggermente ricurva, lunga normalmente 102cm.

 

La parte che rappresenta la lama è lunga 72cm, 4cm sono riservati alla guardia ed all'anello calzato sulla lama che la mantiene ferma nel fodero e fissa la guardia, - elementi che normalmente non vengono montati nella pratica dell'aikido - che erano un tempo di cuoio ed attualmente sono di gomma (l'habaki, la guarnizione) e di plastica (la tsuba, guardia).

 

La lunghezza dell'impugnatura (tsuka)è di 26 cm, misura che sarebbe insolitamente lunga  per una spada occidentale ma è giustificata dall'uso che si fa della spada nella scherma giapponese: viene infatti impugnata a due mani: la destra in prossimità della guardia, la sinistra dal lato del pomolo.

 

 


Secondo una diffusa leggenda il bokken fu introdotto dal maestro Tsukahara Bokuden dopo un memorabile duello con Miyamoto Musashi, agli inizi del XVII secolo, e prenderebbe il suo nome proprio da lui (Bokuden => bokken).

Una stampa giapponese di Yoshitoshi, del 1880, mostra infatti Miyamoto Musashi, armato delle due spade utilizzate nella sua scuola (Niten ichi ryu), nell’atto di avventarsi su Tsukahara Bokuden. Le fonti che citano l'episodio affermano che Tsukahara istruí intensivamente Musashi per un periodo di sei mesi.

Dopo il suo ritiro, avvenuto quando aveva già superato gli 80 anni, avrebbe incontrato di nuovo il suo antico allievo affrontandolo in un duello amichevole in cui riuscì ad avere la meglio. E sarebbe proprio in questa occasione che adottò per la prima volta il bokken, oppure gli balenò l’idea di adottare un simile attrezzo da allenamento.

Molto bello, e suonerebbe abbastanza plausibile, ma già alcune incongruenze nella stampa, su cui torneremo, dovrebbero mettere in allarme il praticante non alle prime armi e fargli concludere che quella stampa, per quanto antica, non costituisce una prova.

Senza tirarla troppo per le lunghe, arriviamo subito alla smentita, inequivocabile e incontestabile, di questa leggenda. L’anagrafe non perdona: Tsukahara Bokuden, 1489-1571 (1572 secondo alcune fonti) morì in tarda età ma sicuramente prima della nascita di Miyamoto Musashi, che si pensa nato nel 1584 anche se alcuni propongono la data del 1581. Non è assolutamente possibile di conseguenza che questo duello sia avvenuto.

Un giapponese di media cultura non avrebbe nemmeno bisogno di consultare un libro per controllarvi le rispettive date di nascita in quanto i due personaggi appartengono ad epoche storiche differenti. Tsukahara Bookuden visse sul finire dell'epoca Muromachi (1338-1573), mentre Miyamoto Musashi nacque in epoca Azuchi Momoyama (1568-1600) ma le sue imprese appartengono tutte all'epoca Edo (1600-1868). Scatta insomma l'allarme istintivo che dovrebbe scattare in ognuno di noi leggendo di un incontro tra Napoleone e Vittorio Emanuele III.

Per comprendere come nascono queste leggende ci dovremo allontanare momentaneamente dal tema del bokken, ma non saranno digressioni inutili.

In ogni cultura, le belle storie hanno avuto da sempre l’abitudine di duplicarsi e di venire attribuite a differenti personaggi in epoche anche assai distanti. Lo conferma anche la storia occidentale: chiunque abbia letto un testo di storia sull'antica Roma si sarà imbattuto in molte avvertenze dello stesso tenore: questo o quell'episodio non sarebbero in realtà mai avvenuti, trattandosi di mere duplicazioni di episodi posteriori, retrodatate e abbellite per la naturale tendenza degli esseri umani alla esagerazione, o per nobilitarle dando loro una patina di antichità. Non dovremo esimerci dall’utilizzare lo stesso metro di giudizio per la storia, e le storie, del Giappone feudale. Non pretendiamo quindi di demolire aprioristicamente tutto quello che leggiamo, ma prepariamoci ad esercitare il nostro spirito critico.

Molte delle false piste che il ricercatore incontra nel suo cammino nella storia del Sol Levante hanno origini popolari. era infatti d’uso fino al 1930/1940 circa che i cantastorie girassero per i villaggi giapponesi raccontando nei loro kodan di inverosimili leggende in cui venivano mescolati senza alcuna remora personaggi appartenenti ad epoche molto lontane. Non era infrequente sentirli cantare le imprese di Minamoto no Yoshitsune (XII secolo) alle prese col già citato Musashi (XVII secolo), e spesso le imprese dell’uno venivavo attribuite all’altro, perché sono i due guerrieri più conosciuti nella storia del Giappone, ed un loro incontro o duello costituisce automaticamente una forte attrattiva, tanto più forte proprio perché inverosimile

A titolo di esempio, aggiungiamo che lo stesso Tsukahara avrebbe secondo alcune cronache combattuto anche contro Sasaki Kojiro (ucciso in duello da Musashi il 13 aprile del 1612) anzi sarebbe stato proprio lui ad insegnargli il famoso colpo a coda di rondine per cui andava famoso. Di Sasaki si conosce molto poco, si pensi che la sua età al momento del duello fatale viene calcolata addirittura tra i venti anni (in quel caso sarebbe stato una decina di anni più giovane di Musashi) e i cinquanta.

E troviamo una duplicazione pressoché perfetta del duello Tsukahara - Musashi in un'altra tenzone, su cui veramente non si sa molto, ma che interessa anchessa il praticante di aikido.

Muso Gonnosuke Katsuyoshi è il fondatore della scuola di jodo Muso Shinto Ryu, ma nemmeno di lui si conosce molto. Si crede che sia l'inventore del jo, il bastone da combattimento di 4 shaku e 8 bu (circa 128 cm) ben noto anch’esso ai praticanti di aikido. Si dice che ebbe l'intuizione di accorciare il bo, un bastone dritto lungo 6 shaku (180 cm) ottenendone un’arma ben piú maneggevole e micidiale.

Ebbe un primo duello con Musashi in epoca e località imprecisate, secondo alcuni armato di bokken, secondo la maggior parte delle fonti utilizzando il bo, e venne sconfitto. Musashi bloccò la sua arma utilizzando le due spade incrociate a formare una x, una tecnica chiamata in giapponese jujidome (il numero 10, juji, rappresentato con un ideogramma simile ad una croce, è l'equivalente del nostro x).

 

Va precisato per completezza di informazione che nella panoplia del samurai esisteva già un'arma paragonabile al jo; si chiamava yarite e consisteva in una lancia più corta del consueto, da utilizzare prevalentemente per combattimenti in luoghi ristretti. Erano infatti armati di yarite molti dei 47 ronin già appartenuti al clan degli Asano che in una fredda notte del dicembre 1702 (gennaio 1703 secondo il nostro calendario) assalirono la dimora fortificata in cui si era rifugiato il signore di Kira, causa della rovina del loro feudo e della morte del loro signore Asano Takumi no kami.

Tornando alla storia di Gonnosuke Katsuyoshi, si vuole che si sia ritirato nel tempio di Shinto, da cui poi prese il nome la sua scuola, per seguire delle pratiche ascetiche al termine delle quali avrebbe intrapreso un lungo musa shogyo, pellegrinaggio marziale senza meta per incontrare gli esponenti delle maggiori scuole di spada e confrontarsi con loro.

In circostanze sconosciute, le prime cronache che ne fanno menzione risalgono al Kaijo Monogatari, che venne compilato solamente dopo la metà del XVII secolo, sarebbe avvenuto un secondo duello con Musashi, da cui Gonnosuke uscì vittorioso grazie all'uso del jo. La sua scuola, Muso Shinto ryu, ancora oggi si basa soprattutto sull'utilizzo del jo per difendersi da un attacco di spada.  Ne riparleremo ovviamente quando tratteremo del jo.

 


Va da sé che non fu certamente Tsukahara Bokuden ad inventare il bokken.

Appare irrealistico credere che in una paese con una tradizione marziale già millenaria all’epoca di Tsukahara - cioè nel XVI secolo -  nessuno avesse ancora pensato di allenarsi con un bastone di legno robusto che riproducesse grosso modo la forma, l’equilibrio ed il peso di una spada, come il rudis utilizzato nel Campo di Marte della Roma arcaica, diversi secoli a.C., per addestrare i coscritti.

Publio Vegezio Renato nel tardo testo Epitoma rei miliitaris, risalente al V secolo d.C., afferma: "Gli antichi, come si trova nei libri, in questo modo esercitavano le reclute. Preparavano scudi di vimini arrotondati come canestri, fatti in modo da pesare il doppio dello scudo pubblico. Ugualmente affidavano alle reclute spade di legno pesanti il doppio di un gladio."

Quindi la risposta più verosimile che si possa dare sull’origine del bokken è che essa si perde nella notte dei tempi.

 

 

 

Secondo ulteriori fonti Bokuden avrebbe introdotto non il bokken ma lo shinai: la spada lamellare di bambu utilizzata nella pratica del kendo. Il suo scopo sarebbe stato quello di evitare i numerosi incidenti, anche gravi, causati dall’uso del bokken. Ma sembra che sia stato in realtà Yamada Heizaemon o forse ancora suo figlio Naganuma Shirozaemon Kunisato (1688-1767), parliamo quindi di circa 200 anni dopo.

Di sicuro Yamada che, partendo dall’amalgama di Kashima Ryu e Shinkage Ryu insegnato da Bokuden sotto il nome di Kashima Shinto Ryu ed adattandolo al suo sentire aveva creato la scuola Jikishin Kage Ryu, scriveva:

Per giungere ad una comprensione effettiva del combattimento mortale è necessario che entrambi gli adepti indossino do, men, kote e altre protezioni, e forgino se stessi [evitando] la confusione generata dall’ingaggiare combattimenti senza alcuna regola.

Il do è una armatura protettiva in lamine di bambu rivestite di cuoio che protegge dal colpo all'addome, il men è un casco di protezione munito di griglia, che scende a proteggere anche la gola; i kote sono guanti che proteggono anche il polso. I colpi ammessi nel kendo sono tre fendenti, men al capo, kote al polso, do all'addome e un affondo, lo tsuki diretto alla gola. Nel testo di cui dispongo, in inglese, appare la parola throught (attraverso, per mezzo di); il senso della frase sembra però opposto, e propongo la parola [evitando]

Già nei primi tornei affrontati da Tsukahara Bokuden, in età molto giovane, si menziona espressamente l'uso del bokken: nella finale del torneo tra i campioni dell'est che si tenne nel 1511 il maestro Matsumoto gli spezzò il bokken con un colpo, e Tsukahara chiese il ricorso al corpo a corpo finendo per avere la meglio.

Quello utilizzato in epoca antica non era probabilmente un bokken come quelli che siamo abituati a vedere oggi: era raro l’uso della katana, generalizzatosi solo a partire dal 1600, e le spade da allenamento avrebbero con ogni probabilità tentato di emulare piuttosto il tachi¸ arma piú lunga della katana perché generalmente utilizzata a cavallo. Ne troviamo conferma anche dal nome di una delle scuole studiate da Tsukahara Bokuden: il Kashima no tachi.

 


Il bokken utilizzato da Bokuden era per quanto ne sappiamo praticamente dritto e molto robusto, mentre oggigiorno si utilizzano nelle scuole derivate dai suoi insegnamenti vari tipi di armi da allenamento ma tutte di peso e dimensioni nella norma, e molte delle sue tecniche erano originariamente destinate a guerrieri coperti da pesanti armature che affrontassero avversari ugualmente in assetto di battaglia.

Bokuden visse infatti nel periodo dei Regni Combattenti, uno dei piú infuocati della storia del Giappone, pertanto le sue tecniche miravano particolarmente all’efficacia sul campo di battaglia o nelle sfide all’ultimo sangue. Lui stesso sostenne 37 duelli, vincendoli tutti ed uccidendo 17 dei suoi avversari

Ulteriori conferme vengono dalla insolite - per noi - lunghezze dei bokken di Miyamoto Musashi (che vince 64 duelli uccidendo la metà circa dei suoi avversari, utilizzando quasi sempre il bokken) e Muso Gonnosuke. Un bokken di Musashi, la cui replica figura nel catalogo della Tozando, arrivava a 130 cm.

Il bokken “moderno” nasce sul finire del 1600, quando lo Shogun emanò alcune direttive dirette alla standardizzazione delle armi; emula il tipo di katana chiamato kanbun-to dal nome dell’epoca Kanbun in cui ne vennero definiti i parametri. La “lama” è lunga 2 shaku e 4 bu; lo shaku (piede) corrisponde a 30,3 cm ed il bu è un suo decimale, la misura corrisponde quindi a circa 72 cm, misurati sulla linea che va dalla estremità della punta all'estremità del manico. Questo tipo di bokken è leggermente koshizori cioè con curvatura maggiore nel primo terzo della lama a partire dal manico, e con raggio di curvatura medio.

Oltra a questa tipologia di bokken che potremmo definire di uso generico, molte scuole di kenjutsu tradizionale hanno conservato l’uso di tipi particolare di bokken. Il loro peso va dai 600 gr scarsi nelle scuole in cui si privilegiano i movimenti rapidi e le tecniche dinamiche ai 1200 delle scuole che preferiscono una maggiore conformità al peso reale di una spada da combattimento. Va ricordato infatti che nemmeno gli iaito, spade prive di filo ed in lega di zinco utilizzate per la pratica nel dojo, superano normalmente i 900 gr; e anche gli shinsakuto – spade costruite in acciaio ai tempi odierni ma secondo gli antichi canoni, però destinate agli allenamenti – arrivano difficilmente al peso di una spada da combattimento, che andava mediamente dai 1200 ai 1500gr.

I bokken utilizzati per il suburi cioè per la pratica solitaria della forma, sono invece normalmente più pesanti, e ci sono esemplari utilizzati per tecniche di potenziamento che arrivano perfino agli 8 kg.

Non servono però a fortificare polsi e braccia come si potrebbe pensare, ma la spina dorsale. Vengono caricati con un grande movimento circolare che porta il corpo ad arcuarsi vistosamente all’indietro, e il colpo viene portato con tutto il corpo, mentre normalmente viene insegnato ad adoperare l’arma come se fosse indipendente dal resto del corpo.

L'esemplare che vedete nella foto è invece assolutamente fuori misura, anche se non insolito come forma,  e non abbiamo informazioni certe su un suo eventuale utilizzo reale e sulle scuole che ne farebbero uso.

 

 

 

Come già detto un bokken di tipo generico riprende la forma e le dimensioni di una spada di dimensioni jusen - ossia normali - dell'epoca Kanbun. Qui ne vediamo uno messo a raffronto con uno iaito. A differenza del bokken lo iaito va adattato necessariamente alla statura del praticante: uno iaito con lama di 72 cm è la misura appropriata per una persona alta intorno ai 175 cm. In realtà sarebbe preferibile anche per il bokken ma è quasi impossibile fuori dal Giappone trovarne di lunghezza diversa dallo standard.

 

 

 

 

 

 

Dai-sho (lunga-corta) in legno di palissandro;

il wakizashi in alto ha le misure raccomandate per l'esecuzione dei kata dalla Zen Nihon Kendo Renmei. In molte scuole di kenjutsu ancora viene studiato l'utilizzo del wakizashi.

Anche il bokken è di misura canonica.

 

 

 

 

 

 

In alto, bokken del tipo utilizzato nella scuola Jikishinkage Ryu per la pratica del kata Hojo, eseguito in legno di carrubo nostrano e costruito dal maestro Pasquale Aiello; è del tutto privo di sori ossia curvatura (ma ne esistono tipologie differenti con leggero sori); il suo notevole spessore è giustificato sia dalla necessità di resistere a colpi vibrati con la massima energia, sia da quella di avere un peso corrispondente ad una vera spada, tra i 1000 ed i 1500gr, contro i 500/700gr di un bokken normale.

In basso, bokken utilizzato nella scuola Katori Shinto Ryu, eseguito in quercia bianca giapponese e molto leggero.Diverse scuole preferiscono utilizzare bokken con punta mozza, per limitare al massimo il rischio di incidenti

 

 

A sinistra, un bokken di tipo normale, in quercia rossa. Riprende come si vede la sezione pentagonale della spada: un dorso (mune), due costolature ai suoi lati (shinogi) e due fianchi che in una lama di acciaio si dividerebbero a loro volta  in due diversi settori con tempra differenziata: l'hira, dal lato dello shinogi, temprato con l'obiettivo di dargli flessibilità e resistenza, e l'ha, il tagliente, temprato per dargli la massima capacità di taglio.

Al centro il bokken della scuola Katori Shinto ryu già visto prima; è possibile notare che oltre ad avere una sezione pressoché ovoidale, che lo rende meno suscettibile di ammaccarsi o addirittura fratturarsi in seguito ai colpi, non si rastrema verso la punta ma mantiene un diametro pressoché costante.

A destra la sezione di un bokken della scuola Jigen ryu; la forma insolita, è in realtà molto razionale: un bokken non deve tagliare, meglio quindi che abbia il massimo della sezione nella zona dove è sottoposto agli impatti; i lati con profilo inverso inoltre facilitano bloccaggi e parate.

La venatura del primo è particolarmente inadatta: è praticamente ortogonale alla lama, causa quindi di fragilità e distorsioni destinate ad accentuarsi con il tempo; è un bokken infatti conservato praticamente per ragioni affettive, ormai si è deformato al punto di essere quasi inutilizzabile. Quello di centro ha una venatura quasi perfetta, in verticale ed anche gli anelli di accrescimento assecondano il profilo. Quello di destra ha una venatura decisamente inclinata, che in un legno meno compatto potrebbe causare distorsioni.

Roma, 1979: il maestro Tada, nel cortile del Dojo Centrale (alle sue spalle le sostruzioni dell'acquedotto romano). Sta utilizzando un bokken della scuola Jigen Ryu; secondo la sua testimonianza il maestro Ueshiba Morihei conosceva, praticava ed insegnava tecniche di questa scuola. Il bokken della foto dopo una lunga quanto onorata carriera si ruppe irreparabilmente negli anni 80. In seguito il maestro ha spesso utilizzato bokken Katori Shinto ryu, ultimamente ha adottato anche modelli in stile Keishi ryu, che viene frequentemente utilizzato dai corpi di polizia.

Il bokken di cui abbiamo mostrato prima la sezione è stato eseguito in Italia con legno di leccio calabrese, e sottoposto all'esame del maestro che l'ha trovato conforme ai requisiti richiesti. Attualmente, dopo circa 30 anni, è ancora in servizio sia pure saltuario. Occorre dire che molto raramente è possibile trovare legno nostrano che possa essere utilizzato per la fabbricazione di un buon bokken. Le essenze che si presterebbero, essendo troppo dure e pesanti per la fabbricazione di mobili od altri oggetti, non sono reperibili sul mercato.

 


Il bokken viene tradizionalmente ricavato da alcune essenze giapponesi, non necessariamente tutte rispondenti alle medesime caratteristiche. Oggigiorno queste essenze diventano sempre più rare ed è ormai utilizzata prevalentemente la quercia bianca (kaji). Si tratta di un materiale di forte durezza e di peso elevato ma ancora sufficientemente elastico. Ha la tendenza ad ammaccarsi per i colpi ricevuti durante il kumitachi ma ben difficilmente arriva a rompersi. Difficile ormai a trovarsi la quercia rossa, piú dura e pesante ma soggetta a rompersi di schianto per un forte colpo. Del tutto scomparsi, perlomeno dal mercato ordinario, i bokken giapponesi in ciliegio (sakura), di aspetto molto gradevole ma anch’essi di una certa fragilità. Se ne trovano di cinesi, di qualità variabile dall'accettabile all'inadoperabile anche nello stesso lotto.

Sopravvivono per il mercato amatoriale, quello dei praticanti esperti disposti a spendere molto più della media per avere un prodotto di qualità,  bokken lavorati con altri legni come il nespolo (biwa), legno abbastanza leggero, molto chiaro e delicato, sconsigliabile quindi per un impiego “pesante”, che si ammacca e graffia facilmente ma non si rompe praticamente mai.

Venivano prodotti fino a pochi anni fa bokken di pregio in essenze esotiche come il palissandro e l’ebano. E’ ormai però vietata la loro importazione in quasi tutti i paesi del mondo, per ragioni di equilibrio ecologico, e le poche tavole superstiti dei tempi in cui il loro taglio era lecito hanno raggiunto prezzi da capogiro. In Giappone gli esperti utilizzano spesso bokken di un legno pregiato, il sunuke, di cui non si hanno notizie certe. La ragione è semplice: in pratica non esiste... si tratta di un nome generico con cui vengono chiamati oggigiorno tutti i legni di pregio di colore scuro.

Da diversi anni si trovano come detto più frequentemente bokken fabbricati in Cina che quelli originali giapponesi. Hanno naturalmente i prezzi molto competitivi di tutta la produzione cinese, ma spesso sono ancora di qualità insufficiente e il loro uso è assolutamente sconsigliato. Fino a poco tempo fa erano praticamente tutti in legno di ciliegio, ma di qualità andante molto al disotto delle essenze giapponesi,  pertanto soggetti a distorsioni e rotture frequenti e pericolose. La lavorazione è quasi sempre sommaria, sono pertanto errati anche le dimensioni e le proporzioni, sovente sono ricoperti di vernice trasparente spiacevole al contatto e che indebolisce la struttura del bokken impedendo la traspirazione del legno ma cela le imperfezioni. Talvolta ha la funzione di proteggere il colorante che tenta di far sembrare un legno qualsiasi una essenza pregiata.

Ancora più recentemente i fabbricanti cinesi hanno iniziato ad utilizzare anche loro la quercia bianca, producendo dei bokken maggiormnente curati che difficilmente una persona inesperta riuscirebbe a distinguere da quelli originali, se non fosse per il prezzo: un bokken giapponese costa almeno il doppio di una imitazione cinese, e qualità migliori di ciliegio, che sembrano addirittura considerare più pregiato della quercia. Infatti lo scrivente riducendo le dimensioni di un jo per una donna di statura minuta ha scoperto con stupore che era di quercia bianca: simulava il ciliegio con l'utilizzo di un mordente (tintura) rosso.

 

I "cinesi" sono purtroppo ancora sconsigliabili per un uso intensivo: un esame attento delle venature (l'esemplare giapponese è quello superiore) mostra al di là di ogni possibile dubbio che si tratta di qualità di legno non paragonabili tra di loro.

La venatura dei bokken giapponese è fitta e regolare, quella dei "colleghi" cinesi è più rada ed irregolare. Di conseguenza la resistenza del legno è molto minore. Quasi tutti gli esemplari cinesi esaminati hanno mostrato inoltre sintomi di insufficiente o scorretta stagionatura (il legno dovrebbe essere stagionato per non meno di tre anni prima della lavorazione). Nel dubbio, percuotere il bokken con le  nocche della mano: il suono assomiglierà a quello di un bicchiere sbreccato più che a quello cristallino di una coppa integra, ed esercitando la propria sensibilità la differenza è avvertibile anche da chi non ha dimestichezza con il legno.

Già nella vista laterale si apprezza la maggiore ergonomia della tsuka (impugnatura) del bokken giapponese, per quanto le differenze siano esaltate dalle differenti ripologie. Il bokken giapponese è del tipo che abbiamo detto si chiamava in origine kambun-to, quello cinese riproduce il più massiccio modello "Iwama ryu", che come abbiamo detto è in realtà adottato da molte scuole, da molti insegnanti, da molti praticanti. In pratica è analogo alla tipologia Katori Shinto ryu che abbiamo visto prima.

 

Esaminando la sezione della impugnatura emerge un particolare che permette di identificare un bokken ben fatto anche ad un praticante non esperto: il bokken di sinistra, quello giapponese, è lavorato accuratamente per permettere di impugnarlo al meglio, ha una sezione praticamente ovale ed è rastremato verso il codolo. Quello cinese è stato lavorato a macchina con una fresatrice e rifinito sommariamente agli angoli, la sua sezione quindi è quasi rettangolare per quanto gli angoli siano smussati. Inoltre la sezione è pressoché costante dal pomolo fino all'inizio della lama, rendendo l'impugnatura meno agevole. Da notare anche che il bokken giapponese è punzonato col marchio del fabbricante, che si intravede appena; è un fiore di ciliegio, il fabbricante è appunto la ditta Sakura (Ciliegio).

 

Da quanto detto sopra emerge chiaramente che chi volesse cimentarsi nella costruzione di un bokken, impresa non facile ma nemmeno proibitiva non avrà vita facile, e la prima difficoltà sarà proprio quella di procurarsi il legno adatto. La famiglia delle querce è ben diffusa nel mondo e molto utilizzata in falegnameria, ma sempre nelle varianti più leggere e meno dure, essendo quelle adatte al nostro scopo troppo pesanti per farne mobili e troppo dure per lavorarle senza usurare anzitempo le macchine. Sconsigliabile quindi l’uso del rovere o succedanei, usati per i parquet o per mobili di pregio, per quanto l’aspetto esteriore possa far credere che sia esattamente lo stesso legno usato in Giappone.

Alcune razze nostrane di querce per contro, non reperibili sul mercato ma solamente girando qua e là per le campagne, hanno dato risultati perfino superiori alla quercia giapponese. Sono adatti anche altri tipi di legno, tipo il pero od il bosso, ma sono di reperimento difficile o impossibili da trovare nelle giuste misure; il bosso pur avendo caratteristiche eccellenti di resistenza meccanica - ci si facevano una volta le rotelle dei pattini - è di accrescimento lentissimo e si trova quasi solo sotto forma di siepe.

Quindi dovrà quasi obbligatoriamente ricorrere ad essenze esotiche di caratteristiche intermedie, la cui reperibilità diventa però sempre più difficile essendone stata proibita la commercializzazione per ragioni ecologiche. Sono stati provati con risultati soddisfacenti la noce del tanganika, alcune varianti del mogano (un po' troppo leggero il carrubo nostrano, usato appunto come succedaneo del mogano), il bobinga, l’iroko. CI riserviamo di ritornare sull'argomento.

 

E' opportuna una considerazione finale. Come abbiamo visto, nell'antica Roma nell'addestramento si utilizzavano spade di legno pesanti il doppio di quelle vere. Ed anche nelle antiche scuole giapponesi di spada (koryu) si utilizzavano spesso bokken di peso e quindi dimensioni superiori a quelli utilizzati oggigiorno, che pesano non più del 60/70% rispetto alla spada per cui sarebbero propedeutici.

Naturalmente l'utilizzo di armi pesanti ed ingombranti non permetterebbe di ben figurare nei kata e kumitachi moderni, quindi i bokken di peso maggiore sono riservati al suburi, all'allenamento a solo ove si cura soprattutto l'esattezza della forma.

Ma probabilmente varrebbe la pena per i praticanti più interessati ad approfondire i sentieri dell'arte di tentare un approccio diverso, utilizzando spade e bokken di tipo "filologico". Anche nello iaido questo è previsto: nella foto vengono mostrati a confronto due diversi iaito; quello di sopra è di tipo normale, e pesa intorno agli 800 grammi, completo di fornitura ma senza fodero. L'altro è del tipo che viene chiamato Dotanuki, che cerca di approssimarsi come peso e come bilanciamento a quello di una vera spada ed arriva a 1200gr circa.

E' purtroppo visibilmente meno elegante, ha un aspetto "obeso". Per curare contemporaneamente la funzionalità, l'estetica e la sicurezza, si dovrebbe ricorrere - ma il prezzo è probitivo - a degli shinsakuto in acciaio privi però di filo tagliente.

 

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