Cronache

2009, febbraio: la scuola Tsuda, l'aikido che non si fa - Colloquio con R. Soavi

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A colloquio con Regis Soavi

 

Durante il seminario abbiamo avuto la possibilità di un colloquio con il maestro Soavi, che ringraziamo, che ha toccato vari aspetti della pratica e dei concetti che vi sono alle spalle.

Anche qui non sarà possibile riferire di tutti i temi affrontati, ci auguriamo di avere modo di ritornarci sopra in futuro.

Riportiamo alcune delle domande e tentiamo di rendere conto al meglio delle risposte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dal punto di vista del praticante di aikido "classico" la prima cosa che colpisce nella Scuola Tsuda è l'attenzione rivolta al lavoro di uke. Ammesso che sia possibile quantificare, quanto dovrebbe contare il lavoro di uke, quanto quello di tori?

Una risposta precisa e valida per ogni situazione non è possibile darla. Certamente uno dei fulcri del nostro metodo, rispetto a quello tradizionale, è la richiesta di maggiore positività al ruolo di uke. D'altra parte, è mai possibile essere tori se non è presente un uke che rende necessario questo ruolo? Partendo da questo dato di fatto incontestabile, che tori ha bisogno di uke, se proprio dovessi far pendere il piatto della bilancia da una parte piuttosto che dall'altra, direi che il lavoro di uke, la funzione di uke, riveste maggiore importanza che quello di tori.

L'accoppiamento tra aikido e katsugen undo è stato meditato e programmato per ragioni di metodo, o è piuttosto legato a ragioni storiche?

Io credo che sia soprattutto una scelta storica, dovuta alle esperienze personali del maestro Tsuda. Egli non aveva alcuna conoscenza dell'aikido. Fu solo quando il signor André Nocquet, che soggiornò alcuni mesi in Giappone, chiese il suo intervento come interprete per seguire le lezioni presso l'Hombu Dojo, che conobbe l'aikido ed il maestro Ueshiba Morihei rimanendone talmente impressionato da decidere di iniziare la pratica dell'aikido. Aveva allora circa 45 anni. Il maestro Noguchi non era favorevole alle discipline marziali ed allo sport in generale, trovava che formasse individui spesso privi di equilibrio, e che non fosse nemmeno particolarmente vantaggioso per il corpo, bisognoso anch'esso più di acquistare e mantenere il giusto equilibrio che non di esaltare una o più caratteristiche a detrimento delle altre. Il giudizio di Noguchi tuttavia fu in questo caso perlomeno neutrale: "Quello che fa il maestro Ueshiba va bene".

Quindi è possibile concludere che ci fosse conoscenza reciproca tra i maestri Noguchi e Ueshiba?

Su questo non è possibile dire nulla di definitivo [qui intervistatore ed intervistato confrontano i dati a loro conoscenza, concordando su questa conclusione]. Ci sono diversi indizi che portano a pensarlo ma non ci permettono di arrivare ad una conclusione certa. Sicuramente possiamo dire che ci sono diversi punti in contatto tra le due discipline, e che si possono ben integrare, soprattutto con il metodo didattico scelto dal maestro Tsuda.

Una delle obiezioni mosse a questa possibilità, od opportunità, è che il praticante di aikido deve essere in grado di esercitare il massimo controllo, mentre il praticante di katsugen undo deve essere in condizioni di abbandonarlo, al punto a volte di rischiare lo sconcerto di altre persone.

Questo dello sconcerto potrebbe essere vero... In alcune circostanze il comportamento spontaneo può sembrare inappropriato al luogo o alle circostanze. Ma le cosiddette circostanze si basano soprattutto su convenzioni: ad esempio in Giappone è considerata educazione l'emissione di un elegante rumore quando si mangiano gli udon [tagliatelle giapponesi, normalmente servite in brodo], mentre in occidente questo comportamento viene considerato inappropriato anzi assolutamente ineducato. Chi è in grado veramente di dire quando sia il momento di agire secondo le regole e quando secondo le esigenze più profonde? La pratica del movimento rigeneratore deve aiutare proprio a distinguere al meglio tra queste esigenze a volte discordanti.

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