Cronache

2009, febbraio: la scuola Tsuda, l'aikido che non si fa

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La conferenza pubblica tenuta da Regis Soavi prim del suo ultimo seminario, che si è svolto a Roma dal 13 al 15 febbraio 2009, presso il dojo Nozomi, si intitolava "L'arte del non fare". Poiché la Scuola del maestro Itsuo Tsuda associa una didattica particolare dell'aikido alla pratica del katsugen undo, una forma di ginnastica della parte inconscia del corpo umano, elaborata e messa a punto nel secolo scorso dal maestro Haruchika Noguchi e che ha come metodo quello di non adottarne apparentemente alcuno e di lasciar fare al corpo, viene naturale la conclusione: in questo seminario probabilmente si sarebbe richiesto di non fare aikido, ma lasciare che nascesse da solo. E' cosa facile, magari per chi ha anni di esperienza alle spalle e dovrebbe avere interiorizzato e poi superato la tecnica? Assolutamente no, come andremo a vedere.

 

Le conferenze

 

Ogni seminario della Scuola Itsuo Tsuda è accompagnato da una serie di conferenze che hanno un tema in comune: come utilizzare nella vita di tutti i giorni la sensibilità che si cerca di ottenere attraverso la pratica dell'aikido e del katsugen undo. E' ovvio che non esistono ricette valide per ogni stagione quindi Regis Soavi partendo da semplici esempi concreti ha sempre cercato di risalire ai concetti profondi che motivano e giustificano questa o quella decisione, questo o quel comportamento. Non essendo ragionevole tentare di riportare per esteso tutto quanto detto dal maestro Soavi nelle 5 conferenze che hanno preceduto ed accompagnato il suo seminario, tenteremo qui di renderne lo spirito.

Le conferenze hanno come detto lo scopo di illustrare con esempi pratici le infinite applicazioni dell'idea di riequilibrio del corpo (seitai) che è alla base della dottrina del maestro Haruchika Noguchi, da cui deriva la pratica di mantenimento dell'equilibrio psico fisico nota come katsugen undo (movimento rigeneratore). Il maestro Itsuo Tsuda, a lungo allievo di Noguchi, poi praticante di aikido presso l'Hombu Dojo di Tokyo e quindi discepolo diretto del grande maestro Ueshiba Morihei, ha accoppiato il katsugen undo con la pratica dell'aikido. Scomparso nel 1984 il maestro Tsuda, il suo metodo didattico viene proseguito da Regis Soavi, presso il dojo di Parigi e presso i dojo affiliati, anche In Italia.

Nel disegno schematizzato sulla tavola il maestro Soavi sta mostrando due esempi di modelli ideali della società moderna, non perfettamente condivisibili: il classico cultore del body building tenta di adeguarsi ad un modello fisico che promette ed esibisce sovrabbondanza di forza corporea ma ad un esame obiettivo appare palesemente privo di equilibrio e lontano dal modello tradizionale di essere umano avente il baricentro nella posizione denominato in Giappone seika no itten (punto unico), che si trova al disotto dell'ombelico. Un altro dei canoni ideali correnti, il militare stilizzato sulla destra della tavola, propone un modello di potenza basato principalmente se non esclusivamente su "appendici" esterne, come armi dalla sofisticata tecnologia, da cui in definitiva il soldato dipende, invece di utilizzarle come meri strumenti, e il cui utilizzo viene di norma comandato piuttosto che mosso da esigenze reali o da decisioni concrete della persona che detiene l'arma.

Anche senza ricorrere agli esempi estremi di cui sopra, si osserva spesso che l'essere umano moderno si affida troppo frequentemente a supporti esterni per superare le sue difficoltà, vere o presunte. Di fronte a difficoltà deambulatorie ecco allora che si ricorre troppo spesso, o troppo prematuramente all'aiuto di una stampella che certamente attenua immediatamente - ma temporaneamente - il disagio ma aggrava lo squilibrio corporeo invece di tentare un riequilibrio


E' allora facile, fin troppo facile, discendere ulteriormente la china inseguendo altre "facili" soluzioni che purtroppo portano nella maggior parte dei casi ad una esasperazione del problema iniziale piuttosto che ad un suo superamento.

Ad una prima protesi ne aggiunge una seconda, poi una terza e poi ancora, fino a che il corpo umano ne è talmente sovraccarico e condizionato da avere ormai irreparabilmente perso ogni possibilità di autoregolazione.

Occorre osservare, prima di procedere ancora, che secondo il metodo seitai, ma anche secondo ogni altro metodo tradizionale nonché secondo logica ed evidenza, quando si parla genericamente di "corpo" si include implicitamente anche quella parte meno evidente che alcuni definiscono come "spirito" ma che forse sarà bene limitarsi a chiamare "mente" per evitare ogni possibilità di equivoco e di confusione col pensiero religioso: l'esistenza nell'essere umano di funzioni non direttamente osservabili ed analizzabili con metodi obiettivi è evidente ed innegabile e non richiede per ammetterlo l'adesione a alcun credo religioso.

Il maestro Soavi osserva, e dimostra con un altro schema alla lavagna, che l'essere umano in realtà è un assieme molto complesso ed inscindibile.
Di conseguenza non è possibile intervenire su alcun suo elemento, compresi quelli che potrebbero essere considerati "periferici" o di importanza non rilevante, senza causare mutamenti nell'equilibrio complessivo della persona, che agiscono attraverso una catena di trasmissione di cui non conosciamo ancora a fondo né i meccanismi né i percorsi.

E' inevitabile che un qualsiasi intervento, anche apparentemente irrilevante, su ogni estremità di questa catena di trasmissione si ripercuota in tutto l'organismo ed in tutta la persona.

Il particolare dello schema aiuta a comprendere quanto sopra. D'altra parte, oltre ad essere una possibile causa di squilibrio, questa particolarità è anche utilizzabile a scopo terapeutico o semplicemente di riequilibrio psicosomatico.

Non è ad esempio strettamente necessario raggiungere fisicamente un organo interno, o difficilmente accessibile, per poterlo influenzare e riequilibrare.

 


 

Uno dei metodi del katsugen undo è infatti quello della trasmissione dell'energia attraverso esercizi di respirazione detti yuki, che ha in comune con altri metodi di ricerca dell'equilibrio psico-fisico, citiamo tra tutti lo shinshinto toitsu hô del maestro Nakamura Tempu.

In realtà non possiamo definire lo yuki una tecnica vera e propria essendo un procedimento che richiede sì pratica ed allenamento ma del tutto naturale e che non sottintende particolari approfondimenti metodologici. In questo modo è possibile trasmettere energia o anche semplicemente condividerla.

La conclusione ideale di questo discorso, o per meglio dire di questa serie di discorsi, può essere sintetizzata nella esortazione finale del maestro Soavi: sostituire alla "società del più", in cui è imperativo e categorico produrre di più, guadagnare di più, "progredire" di più, un modello di società a misura di uomo e non a misura di presunti ideali, spesso attraenti ma fallaci come miraggi nel deserto.

Una società composta da persone che sappiano rinunciare al "più" e siano capaci di coltivare il senso del " meno", della volontaria e non sofferta rinuncia a quanto non è necessario ed in fin dei conti spesso nemmeno è utile.


L'aikido

La prima differenza che viene sottolineata dai cortesi praticanti a chi per la prima volta partecipa ad un seminario della Scuola Tsuda è che la lezione è divisa in due parti.

La prima individuale, ripetendo fedelmente quanto proposto dall'insegnante, la seconda con un compagno.

In realtà la differenza rispetto ad una lezione di aikido "normale" si limita alla disposizione sul tatami all'inizio della lezione, intervallati invece che su un'unica fila di fronte al kamiza, mentre quello che segue potrebbe tranquillamente essere definito come una sessione di aikitaiso che precede la parte tecnica.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Qui le differenze ci sono, si vedono e soprattutto si apprezzano.

La Scuola Tsuda ricerca costantemente l'esecuzione della tecnica attraverso il raggiungimento del momento di massima armonia tra i due partner, che materialmente coincide con quello di minima o nulla resistenza da parte di uke.

Per quanto si tratti di un concetto che dovrebbe tornare familiare al praticante dell'aikido "tradizionale" o "classico" nella realtà l'applicazione non è immediata e facile.

Si percepisce una sensazione di forzatura quando si tenta di portare ugualmente al termine la tecnica senza aver centrato il momento di massima coincidenza delle energie sommate di uke e tori, ma la reazione istintiva è di proseguire nonostante ci si renda conto di non aver impostato il "rapporto" nel migliore dei modi, specialmente quando ci si sente a torto forti di una buona conoscenza tecnica della forma e di un buon numero di anni di allenamento.


 

Non è necessario ripetere qui che i numerosi metodi di insegnamento dell'aikido non possono essere misurati con criteri utilitaristici per stabilire sciocche graduatorie di merito.

Quando elaborati con rigore ed insegnati con metodo rappresentano altrettante alternative vie di accesso ad una stessa meravigliosa vetta.

Non ha la minima importanza se una richiede attrezzatura specialistica, preparazione estrema ed estreme scalate ed un'altra magari preferisce procedere lungo dolci declivi ed allungare il percorso per offrire nuove vedute.

 

 

 

 

 

 

Una lezione tipica di aikido della Scuola Tsuda si articola come abbiamo detto attraverso una seduta di aikitaiso, non dissimile da quelle che si tengono in altre scuole, e da una sessione di lavoro in coppia, normalmente mantenendo lo stesso compagno per tutta la durata della lezione.

Si inizia, anche qui nulla di particolarmente "alieno", con tecniche di kokyu ho che aiutano a stabilire un giusto rapporto con il compagno di allenamento, poi tecniche apparentemente più convenzionali di immobilizzazione al suolo o proiezione, ma focalizzate sempre su alcune linee guida.

Non inedite ma che vengono poste in primo piano là dove altri metodi le lasciano per così dire nel coro: evitare le linee di attacco senza tentare di opporvisi, mantenendo quindi un atteggiamento mentale oltre che corporeo tendente al perfetto equilibrio e non alla contrapposizione.

Attirare in questa situazione di equilibrio le energie di uke, stabilire una nuova situazione di equilibrio ed armonia e condurla ad una equilibrata soluzione finale.

 

 

 

 

 

 

 

Le differenze risiedono in fin dei conti non tanto in quello che si fa (o non si fa) ma nel come si fa.

La parte finale della lezione normalmente è assimilabile a quello che in metodi differenti si definirebbe jiyuwaza oppure randori ossia alla esecuzione libera delle tecniche che scaturiscono naturalmente dai principi di base mostrati durante la lezione.

Le lezioni terminano come anche nell'aikido classico con tecniche di kokyu ho suwariwaza, dove però la posizione e l'atteggiamento finali sembrano più finalizzati a stabilire un rapporto equivalente di energia tra tori ed uke che al controllo di tori nei confronti di uke.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una nota a parte meritano le lezioni di spada, definite ame no ukikashi ken, un termine nemmeno questo inedito e che viene adottato anche in altre scuole.

Servendosi dell'arma come evidenziatore delle linee di attacco e di difesa, il maestro Soavi ha mostrato ancora una volta come sottrarsi alle intenzioni aggressive della controparte senza diventare a propria volta aggressivi.

 

 

 


Il katsugen undo

 

Non è possibile far comprendere cosa sia il katsugen undo (活元運動, movimento rigeneratore), o perlomeno come sia nato e per quali scopi, senza accennare alla sua genealogia, al suo fondatore e ad alcuni dei suoi allievi.

Il maestro Haruchika Noguchi (1911-1976) studiò varie forme di medicina, sia occidentali che orientali ed autoctone giapponesi, arrivando infine sulle basi apprese dal maestro Michio Takahashi ad elaborare un suo metodo particolare chiamato seitai (整体. riequilibrio del corpo).

Questo metodo si basa su una attenta e approfondita osservazione delle condizioni della persona, alla ricerca delle cause dei suoi squilibri e delle soluzioni più naturali e meno traumatiche per fargli riacquistare un equilibrio accettabile.

Tuttavia Noguchi si scontrò ben presto con due ostacoli pressoché insormontabili che impedivano al seitai di avere un impatto decisivo sulla società: innanzitutto i lunghissimi tempi di preparazione necessari per la formazione di un terapeuta, valutabili in circa 20 anni, e la relativa conseguente brevità della sua vita utile.

In secondo luogo la constatazione dello stato di dipendenza dal terapeuta che si creava troppo spesso: le persone sottoposte a terapia non curavano più il proprio equilibrio ma lo delegavano al terapeuta, tornando da lui ad intervalli regolari o non appena un nuovo inevitabile problema veniva alla luce.

Per questa ragione Noguchi studiò un metodo per esaltare le caratteristiche innate di riequilibrio che esistono latenti all'interno di ogni persona, e lasciare che facessero il loro "lavoro" libere da ogni costrizione o sovrastruttura artificiale: il katsugen undo o movimento rigeneratore, che fu da lui definito in questo modo: "un esercizio del sistema motorio extrapiramidale, cioè del sistema che muove il nostro corpo senza l'intervento della volontà. Di fatto il movimento rigeneratore corrisponde a qualcosa di estremamente preciso. Non si tratta di un movimento immaginario, né dell'acquisizione di un nuovo metodo. Allenare il sistema involontario attiva la nostra facoltà innata di riequilibrio organico. Il sistema extrapiramidale, che funziona indipendentemente dal conscio, lavora sempre nel senso di ristabilire l'organismo.”

Consiste in una serie di semplici esercizi di respirazione che aiutano ad entrare in uno stato di rilassatezza mentale e fisica che agevoli la percezione delle necessità o degli impulsi del proprio corpo, e a lasciare che essi si manifestino: un po' come la mano si dirige automaticamente verso il punto dove il corpo avverte un prurito, senza alcun intervento della volontà e con una strana quanto potente energia: arrestare volontariamente il movimento involontario di un'altra persona, anche facendo uso di tutta la propria forza, è cosa non facile. Non sarebbe sensato di descrivere nel dettaglio cosa in pratica "si fa" nel katsugen undo, si tratta dell'ennesimo caso di un'arte in cui è più importante "non fare" che fare. Chi è interessato trova in questo stesso articolo i riferimenti necessari per iniziare la pratica.

In Italia i fondamenti del seitai e del katsugen undo vennero introdotti dal maestro Masatomi Ikeda, attivo nell'insegnamento dell'aikido nell'Aikikai d'Italia fin dagli anni 60 e nell'Aikikai di Svizzera dagli anni 70. In Roma praticò terapia seitai e tenne sessioni di katsugen undo il maestro Hideo Kobayashi, fino alla sua scomparsa avvenuta nel 1988. Il maestro Pasquale Aiello, dell'Aikikai d'Italia, seguì entrambi i maestri e durante i suoi raduni tiene regolarmente sessioni di katsugen undo.

Il maestro Itsuo Tsuda (逸夫 津田, 1914-1984) si recò in Francia nel 1934 per studiarvi antropologia ed etnosociologia, facendo ritorno in Giappone all'inizio della seconda guerra mondiale.

Negli anni 50 iniziò lo studio del seitai con il maestro Noguchi e dell'aikido presso l'Hombu Dojo di Tokyo con il grande maestro Ueshiba Morihei.

Fece definitivamente ritorno in Francia nel 1970 rimanendovi fino alla sua scomparsa. Fondò un suo sistema di insegnamento, il cui sistema integra sia katsugen undo che aikido e che attualmente è proseguito dal maestro Soavi presso il dojo di Parigi e attraverso seminari tenuti in vari dojo d'Europa che aderiscono alla associazione Ecole Itsuo Tsuda.

 


A colloquio con Regis Soavi

 

Durante il seminario abbiamo avuto la possibilità di un colloquio con il maestro Soavi, che ringraziamo, che ha toccato vari aspetti della pratica e dei concetti che vi sono alle spalle.

Anche qui non sarà possibile riferire di tutti i temi affrontati, ci auguriamo di avere modo di ritornarci sopra in futuro.

Riportiamo alcune delle domande e tentiamo di rendere conto al meglio delle risposte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dal punto di vista del praticante di aikido "classico" la prima cosa che colpisce nella Scuola Tsuda è l'attenzione rivolta al lavoro di uke. Ammesso che sia possibile quantificare, quanto dovrebbe contare il lavoro di uke, quanto quello di tori?

Una risposta precisa e valida per ogni situazione non è possibile darla. Certamente uno dei fulcri del nostro metodo, rispetto a quello tradizionale, è la richiesta di maggiore positività al ruolo di uke. D'altra parte, è mai possibile essere tori se non è presente un uke che rende necessario questo ruolo? Partendo da questo dato di fatto incontestabile, che tori ha bisogno di uke, se proprio dovessi far pendere il piatto della bilancia da una parte piuttosto che dall'altra, direi che il lavoro di uke, la funzione di uke, riveste maggiore importanza che quello di tori.

L'accoppiamento tra aikido e katsugen undo è stato meditato e programmato per ragioni di metodo, o è piuttosto legato a ragioni storiche?

Io credo che sia soprattutto una scelta storica, dovuta alle esperienze personali del maestro Tsuda. Egli non aveva alcuna conoscenza dell'aikido. Fu solo quando il signor André Nocquet, che soggiornò alcuni mesi in Giappone, chiese il suo intervento come interprete per seguire le lezioni presso l'Hombu Dojo, che conobbe l'aikido ed il maestro Ueshiba Morihei rimanendone talmente impressionato da decidere di iniziare la pratica dell'aikido. Aveva allora circa 45 anni. Il maestro Noguchi non era favorevole alle discipline marziali ed allo sport in generale, trovava che formasse individui spesso privi di equilibrio, e che non fosse nemmeno particolarmente vantaggioso per il corpo, bisognoso anch'esso più di acquistare e mantenere il giusto equilibrio che non di esaltare una o più caratteristiche a detrimento delle altre. Il giudizio di Noguchi tuttavia fu in questo caso perlomeno neutrale: "Quello che fa il maestro Ueshiba va bene".

Quindi è possibile concludere che ci fosse conoscenza reciproca tra i maestri Noguchi e Ueshiba?

Su questo non è possibile dire nulla di definitivo [qui intervistatore ed intervistato confrontano i dati a loro conoscenza, concordando su questa conclusione]. Ci sono diversi indizi che portano a pensarlo ma non ci permettono di arrivare ad una conclusione certa. Sicuramente possiamo dire che ci sono diversi punti in contatto tra le due discipline, e che si possono ben integrare, soprattutto con il metodo didattico scelto dal maestro Tsuda.

Una delle obiezioni mosse a questa possibilità, od opportunità, è che il praticante di aikido deve essere in grado di esercitare il massimo controllo, mentre il praticante di katsugen undo deve essere in condizioni di abbandonarlo, al punto a volte di rischiare lo sconcerto di altre persone.

Questo dello sconcerto potrebbe essere vero... In alcune circostanze il comportamento spontaneo può sembrare inappropriato al luogo o alle circostanze. Ma le cosiddette circostanze si basano soprattutto su convenzioni: ad esempio in Giappone è considerata educazione l'emissione di un elegante rumore quando si mangiano gli udon [tagliatelle giapponesi, normalmente servite in brodo], mentre in occidente questo comportamento viene considerato inappropriato anzi assolutamente ineducato. Chi è in grado veramente di dire quando sia il momento di agire secondo le regole e quando secondo le esigenze più profonde? La pratica del movimento rigeneratore deve aiutare proprio a distinguere al meglio tra queste esigenze a volte discordanti.


I libri del maestro Tsuda hanno oramai conosciuta una certa diffusione, e posso dire anche per conoscenza diretta che non mancano i casi di persone che decidono tranquillamente di "provare" quanto hanno letto; è possibile e consigliabile l'autodidattica?

[Il maestro Soavi sembra rimanere un attimo sorpreso: non aveva forse preso in esame questa possibilità, e l'intervistatore gli conferma di essere a conoscenza di diversi "esperimenti"].

Questo non è impossibile, ma c'è un rischio. In se e per se il katsugen undo non ha nulla di pericoloso o potenzialmente negativo, tuttavia ci possono essere anzi probabilmente ci saranno diversi effetti collaterali, del tutto naturali, ma che possono essere interpretati in modo errato dalla persona e portarlo a comportamenti sbagliati.

Il caso tipico è quello di una persona che nel processo di riequilibrio psico-fisico avvertisse un dolore in qualche parte del corpo, segno che quell'organo si sta riequilibrando, tornando alla vita. Potrebbe facilmente correre in farmacia e farsi prescrivere qualcosa che addormenti di nuovo l'organo, annullando il lavoro fatto e aggravando i suoi problemi in quanto un antidolorifico riduce o annulla la sensibilità del corpo.

Per queste ragioni la pratica nei nostri dojo deve sempre iniziare con un seminario nel corso del quale il praticante ha modo di avvicinarsi all'aikido e al katsugen undo in un ambiente controllato e sotto la guida di una persona esperta. Non un maestro, questo concetto è lontano dalla nostra disciplina, ma semplicemente una persona che ha fatto alcune esperienze per cui altri ancora non sono passati.

Avendo seguito il maestro Hideo Kobayashi nella pratica del katsugen undo credo di conoscere la risposta ad una inevitabile osservazione, quella che fa sempre chi inizia il movimento. Ma vorrei che la risposta fosse data da chi ha l'autorità per farlo. Se il movimento nasce da solo ed è per definizione "giusto", allora come mai l'insegnante interviene durante il movimento per correggere?

In realtà non c'è molto che l'insegnante possa o debba fare durante il movimento, e in nessun modo può verificare che un suo intervento sia stato giustificato e sia andato a buon fine. L'esperienza certamente aiuta, ed aiuta molto: è soprattutto questione di sensibilità e questa con la pratica viene, ed aumenta con gli anni. Fondamentalmente ci sono due tipi o due gruppi di intervento: nel primo gruppo rientrano quelli per "sbloccare" una persona che non sia in grado di avvertire le necessità o i desideri di movimento del proprio corpo, o pur avvertendoli non sia in grado di assecondarli ma in qualche modo li trattiene. In questo caso l'insegnante, o semplicemente una persona con esperienza, poiché il katsugen undo si può praticare anche in coppia, può unire la propria energia attraverso lo yuki e agevolare la nascita del movimento. Il secondo gruppo di interventi è indirizzato a quella percentuale fisiologica di persone che sentono di "dover fare qualcosa" e cominciano a muoversi senza in realtà sentire veramente il proprio corpo. In questo caso, e forse è quello più ricorrente, l'intervento dell'insegnante è necessario per arrestare un movimento immaginario e ricreare le condizioni per ritornare al vero movimento rigeneratore.

Trattandosi di un movimento spontaneo potrebbe sembrare una domanda strana. Ma la vita che facciamo normalmente è talmente innaturale che spesso la nostra sensibilità è un po' insonnolita: ogni quanto praticare il movimento, e per quanto tempo?

Nel corso dei raduni o o delle lezioni ovviamente dobbiamo seguire delle regole per esigenze organizzative. Solo per questo l'insegnante stabilisce l'inizio, decide una durata e indica la fine del movimento. Altrimenti è preferibile non porsi il problema della durata, ma lasciare che il movimento duri quanto deve durare e si arresti da solo. Un po' più complesso il problema della frequenza: anche qui non esistono regole valide per ognuno di noi, ogni essere umano è diverso da ogni altro, è proprio questo il nocciolo del pensiero seitai, e si potrebbe seguire il ritmo naturale che viene dallo stimolo, dalla voglia, piacere o bisogno di fare il movimento. A volte però si può essere distolti da troppi fattori esterni, e tenere un ritmo regolare praticando almeno una o due volte a settimana è consigliabile.

E' bene praticare da soli, almeno in coppia o in gruppo? Ed è preferibile praticare con partner con cui ci si trovi già in armonia, o cercare l'armonia anche in condizioni meno favorevoli?

Se possibile almeno in coppia: la sensibilità si acuisce soprattutto quando siamo in termini di relazione con un altro essere umano, e se preesiste uno stato di disponibilità è sicuramente meglio, perlomeno all'inizio. La pratica regolare in un dojo aiuta ad essere disponibili verso tutti, ed è per questa ragione molto importante anch'essa.

Ringraziamo per il momento il maestro Régis Soavi, augurandoci di avere ancora modo in futuro di praticare ai suoi raduni e di potergli chiedere degli approfondimenti.

Paolo Bottoni

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