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Williams Adams, il pilota - Gli inglesi
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La vicenda umana di William Adams è straordinaria e merita tutta la nostra attenzione. Il suo impatto sulla storia dei rapporti tra occidente e Giappone è stato tuttavia inferiore alle potenzialità e lo stesso rapporto con lo shogun Tokugawa è stato con ogni probabilità meno stretto di quanto potrebbe far pensare la lettura del romanzo di Clavell.
Abbiamo visto infatti come non potesse avere grande interesse il carico di armi trasportato dalla nave con cui Adams toccò terra a Bungo nel 1598: già nella generazione precedente la grande battaglia di Nagashino era stata decisa dalle armi da fuoco, e lo stesso Takeda Shingen perse la vita presumibilmente per gli esiti di una ferita da arma da fuoco.
Il suo ruolo di controinformatore ai danni dei gesuiti è stato amplificato proprio da questi ultimi, alla ricerca di una giustificazione per un insuccesso dovuto principalmente al'approccio coloniastico da loro avuto nei confronti di una civiltà millenaria, solo temporaneamente corretto dalla grande personalità dell'italiano Alessandro Valignano che aveva imposto ai religiosi di studiare la cultura giapponese e di adeguarsi ai costumi locali senza dare sciocca esibizione di quelli molto più rozzi propri degli europei dell'epoca.
Non è infatti pensabile, come riportano molti commentatori, che informazioni dettagliate sulle controversie teologiche tra cattolicesimo e protestantesimo provenissero da un marinaio inglese.
Adams era certamente assieme ai connazionali inglesi ed agli olandesi un testimonio attendibile delle divisioni insanabili di una cultura che si cercava di far passare come indissolubilmente unita dal credo cattolico, ma il suo grado di attendibilità su motivazioni, ragioni e torti venne reso nullo dalla guerra che doveva scoppiare non molti anni dopo tra Inghilterra ed Olanda che erano stati millantati come alleati inseparabili.
Il ruo ruolo infine di pilota rimase un progetto mai realmente attuato, per quanto accantonato per ogni evenienza. La sua conoscenza delle rotte e delle tecniche di navigazione avrebbe potuto tornare utile in occasione di un invio di flotte giapponesi sulle rotte oceaniche, che non avvenne mai. Nemmeno le sue conoscenze in materia di costruzioni navali furono sufficienti per l'allestimento di battelli adatti a navigare sugli oceani. Era probabilmente dotato delle capacità tecniche di esecutore ma non di quelle di progettista.
Le ragioni portanti del suo fondamentale insuccesso vanno però ricercate presso i suoi connazionali. Abbiamo già accennato al loro arrivo in Giappone: nel 1603 una compagnia commerciale aveva aperto un fondaco a Bantam, nell'isola di Giava, con l'intenzione di allargare man mano il suo raggio di influenza.
Adams, che tentava all'epoca di mettersi disperatamente in contatto per lettera con i suoi connazionali nel tentativo di rimpatriare, non ne venne tuttavia a conoscenza: le sue lettere non venivano consegnate dagli "amici" olandesi cui le affidava, tuttaltro che interessati ad attirare nuovi concorrenti.
Questa mancanza di informazioni doveva portare anche i nascenti progetti inglesi al fallimento. Nel 1611 venne approvato un progetto per l'invio della nave Globe in Giappone, facendo scalo a Bantam. La missione era approvata dal re Giacomo primo, che le aveva affidato una lettera per l'imperatore del Giappone.
Dal punto di vista commerciale però non vi era alcuna possibilità di successo: le navi inglesi imbarcavano merci che non erano di alcun interesse in Giappone; la mancanza di una rete di comunicazioni commerciali e l'ambiguo comportamento degli alleati olandesi avrebbero poi impedito di trovare alternative.
E ancora una volta poi gli uomini incaricati di svolgere la missione erano gravemente inadeguati al compito di fare da tramite nell'incontro di culture differenti: i loro obiettivi erano esclusivamente mercantili, ma anche in questo fallirono mancando di professionalità e spesso di correttezza nei rapporti con gli altri e perfino tra di loro.
A Bantam finalmente arrivarono a destinazione alcune delle lettere di Adams ed iniziò con immaginabili difficoltà vista la grande distanza, uno scambio di corrispondenza in cui il pilota incoraggiava i suoi connazionali ad approfittare delle ricche opportunità commerciali offerte dal Giappone. Nel 1612 una nave battente bandiera inglese: il Clove al comando di John Saris, che era relatore di altre missive di re Giacomo.
Nel giugno 1613 il Clove entrava nel porto di Hirado, un'isola all'estremo sud del Giappone. Consegnando al feudatario locale, Shigenobu Matsura che venne sbrigativamente ribattezzato re Foyne degli inglesi, una delle lettere del re, si sentì rispondere (disponeva come interprete di uno spagnolo con qualche dimestichezza delle lingue orientali) che la lettera sarebbe stata aperta solo all'arrivo del pilota che era l'unica persona in Giappone in grado di decifrarla. Fu così che per la prima volta dopo 13 anni William Adams prese di nuovo contatto con altri inglesi.
Con grande sorpresa di questi, si era ormai ambientato al punto non solo di vestire alla giapponese ma anche di avere preso abitudini giapponesi in tutto. Rifiutò infatti la loro ospitalità per alloggiare presso un conoscente. Le sue capacità di adattamento avrebbero dovuto essere sfruttate meglio: invano, accompagnando una delegazione inglese ad Osaka per presentarla allo shogun, diede minuziose istruzioni sulla etichetta giapponese e sul protocollo di corte. I suo consigli vennero ignorati da Saris, che nemmeno fu in grado di rendersi conto che le diplomatiche e dilatorie risposte dello shogun erano equivalenti a netti rifiuti, motivati dalla cattiva impressione che suscitavano i modi degli ambasciatori e dallo stesso tono della lettera di re Giacomo, scritta da persone evidentemente ignare delle forme di cortesia in uso in un paese per loro completamente sconosciuto.
La presenza inglese sul suolo giapponese venne quindi di fatto tollerata ma non particolarmente agevolata. Lo stesso Adams, rendendosi conto di non essere capace di riadattarsi al mondo da cui proveniva, lasciò cadere la proposta di un passaggio sulle navi inglesi per riportarlo in patria. Si sarebbe trattato di un viaggio molto lungo, da uno a due anni, in compagnia di personec on cui non si trovava - non più - a proprio agio.
Accettò comunque un ruolo di consulente per la delegazione commerciale inglese in Hirado, ma non sembra in realtà che i suoi consigli venissero ascoltati. Invano consigliò di spostare la delegazione da quella piccola isola lontanissima dalle principali vie di comunicazione alla baia di Uraga, non lontana dalla capitale amministrativa Edo.
Le difficoltà economiche del fondaco inglese furono un ostacolo insormontabile, essendovi nei magazzini merce prevalentemente invendibile all'epoca in Giappone anche quando di alto valore nominale, come i chiodi di garofano. Le distanze che separavano il Giappone dalla madrepatria erano inoltre troppo grandi per poter chiedere rifornimenti o sovvenzioni ma anche per dare tempestivamente informazioni e ricevere istruzioni.
Alcuni dei membri del fondaco ignorarono disinvoltamente il divieto di commerciare in proprio, acumulando fortune di molto superiori ai beni del fondaco stesso e alla eredità che doveva lasciare alla sua morte Adams. Per completare il quadro, occorre ricordare che i rapporti con gli olandesi, mai buoni, si ruppero del tutto in occasione della guerra tra le due nazioni.
Il 22 dicembre del 1623 la delegazione inglese rimpatriava mestamente abbandonando Hirako. Adams era scomparso poco prima per una malattia probabilmente contratta durante uno dei suoi viaggi commerciali, non infruttuosi ma eseguiti su incarico dei giapponesi e non dei suoi compatrioti.
Del resto né i loro rivali né momentanei alleati ebbero sorte molto migliore: i gesuiti erano stati espulsi dal Giappone già da tempo e la religione cattolica interdetta, anche se gi ultimi focolai di resistenza vennero soffocati soltanto diversi anni dopo.
Gli olandesi vennero autorizzati al mantenimento di una sola stazione commerciale nell'isola artificiale di Deshima (Dejima, nel porto di Nagasaki) ed un lmitato numero di navi vi poteva attraccare ogni anno.
Il Giappone aveva deciso di chiudersi definitivamente ad ogni contatto: nonostante tutto, che non mancarono tensioni sociali, carestie ed altri momenti di emergenza quel periodo viene ricordato come una sorta di Età dell'oro.