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Matthew Perry: forzò le porte del Giappone - La seconda spedizione: il diario di Perry

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Il tempo di decidere era ormai arrivato. Veniva avvistata al largo di Kanagawa nel febbraio del 1854 una nuova flotta americana, composta ora da otto vascelli da guerra: l'ammiraglio Perry stava tornando, per ritirare la risposta alle sue richieste.

Dopo lunghe trattative, tagliando corto infine con le discussioni, venne firmato in marzo a nome dello shogûn un trattato di amicizia con gli Stati Uniti. Seguivano a breve termine altri trattati analoghi con la Gran Bretagna, la Russia, l’Olanda.

Conoscere maggiori dettagli di quel primo incontro – scontro tra il sol levante e la “civiltà occidentale” è essenziale per cercare di capire cosa gli uni abbiano capito degli altri, ed attraverso quali sentieri.

Ci aiuterà, in modo molto più sottile di quanto possa sembrare a prima vista, un’esposizione unica nel suo genere: i reperti della spedizione Perry: quello che l’ammiraglio e i consulenti scientifici della sua spedizione ritennero importante, memorabile, necessario. Quello che acquistarono, quello che fu loro donato, quello che richiesero espressamente di avere per riportarlo in patria, classificarlo, studiarlo. O semplicemente come ricordo.

Ma iniziamo prima da una testimonianza diretta: il diario del commodoro Matthew Galbraith Perry (When We Landed in Japan, 1854, da Eva March Tappan, ed., The World's Story: A History of the World in Story, Song and Art, (Boston: Houghton Mifflin, 1914), Vol. I: China, Japan, and the Islands of the Pacific, pp. 427-437.)

Quando l’aria si schiarì e la riva si aprì alla visuale, l’industrioso lavoro dei giapponesi durante la notte venne rivelato, nello scenario maestoso della costa di Uraga. Schermi ornamentali di tessuto erano stati sistemati per donare un aspetto più dignitoso e anche dimensioni apparentemente maggiori ai bastioni ed al forte; e due tende si allargavano tra gli alberi.

Gli schermi erano tenuti ben tesi nella maniera usuale da pali di legno, e ogni intervallo tra loro era così distintamente marcato da dare in lontananza l’aspetto di una pannellatura. Su questi finti pannelli appariva il blasone delle armi imperiali, alternato con il motivo di un fiore scarlatto circondato da larghe foglie a forma di cuore.

Perry incorreva probabilmente in un significativo equivoco: è da escludere che apparisse sugli stendardi lo stemma imperiale (il kikumon, un crisantemo stilizzato), il tennô si asteneva scrupolosamente da ogni attività "politica" o semplice contatto e la delegazione giapponese era composta invece da rappresentanti dello shogûn.

Forse tradito dalla memoria nella descrizione, è probabile che Perry intendesse riferirsi con il "fiore scarlatto" allo stemma della famiglia Tokugawa, rappresentante 3 foglie di aoi (malva), a forma di cuore, racchiuse in un cerchio. L'altro simbolo era verosimilmente la foglia di kiri (pawlonia), emblema del potere governativo e che in epoca successiva divenne quello delle forze armate e ritroviamo quindi sulle spade usate ancora dagli ufficiali nipponici nella seconda guerra mondiale (shingunto).

Nella illustrazione: il mon dei Tokugawa, chiamato mitsuba aoi, accanto ad una tsuba della scuola Shoami in cui appaiono contemporaneamente il kikumon simbolo del tennô , il kiri simbolo dello shogûn ed il sol levante simbolo del Giappone.

Bandiere e stendardi, sopra i quali vari emblemi erano dipinti a vivaci colori, erano fissati su diversi punti delle schermature, mentre al didietro si addensavano fitte masse di soldati, schierati in costumi che non erano stati notati in precedenza, e che si supponeva riservati ad eventi eccezionali.

La parte principale della loro uniforme consisteva in una specie di tunica dai colori scuri, accompagnata da una corta gonna al di sotto della quale apparivano delle fasciature, priva di maniche e con le armi del loro signore in piena vista.

Prima che suonassero gli otto tocchi del mattino, il Susquehanna ed il Mississippi mossero lentamente attraverso la baia. Simultaneamente al movimento delle nostre navi, si videro sei battelli giapponesi navigare nella stessa direzione, ma tenendosi maggiormente a riva. I vessilli con bande del governatorato distinguevano due dei battelli, mostrando la presenza a bordo di qualche alto ufficiale, mentre gli altri portavano bandiere rosse e probabilmente imbarcavano un seguito o scorta di soldati. Doppiando il promontorio che separava il primo ancoraggio dalla parte inferiore della baia, i preparativi dei giapponesi nel porto vennero immediatamente in vista.

La parte della baia che costeggiava il promontorio era decorata da una lunga cortina di schermi dipinti di tessuto sopra i quali apparivano le armi dell’Imperatore. Nove alti stendardi si ergevano al centro di un numero immenso di bandiere dai differenti vivaci colori, sistemati sull’uno e sull’altro lato in modo che l’assieme formasse un cumulo crescente di bandiere dai vari colori, che sventolavano vigorosamente tra i raggi del sole nascente. Agli alti stendardi erano sospesi larghi pennoni di un ricco scarlatto che sfioravano il suolo ondeggiando nella loro lunghezza. Sulla spiaggia di fronte a quest’apparato erano schierati reggimenti di soldati, immobili in ordine serrato, chiaramente sistemati in modo da fornire una dimostrazione di forza marziale, in modo che gli americani rimanessero profondamente impressionati dalla potenza militare dei giapponesi.

In realtà gran parte di questa messa in scena non avrebbe retto ad un esame approfondito.

In previsione del ritorno di Perry ad esempio le coste delle baia di Uraga erano state fortificate e pezzi di artiglieria erano stati piazzati ovunque.

Si trattava infatti di cannoni posticci, eseguiti affrettatamente quanto rozzamente in legno ma che potevano apparire del tutto credibili vedendoli da una nave. (foto: da Wikipedia)

 

 

 

 

 

 

 

All’arrivo del commodoro, la sua scorta di ufficiali formò una doppia linea sulla spiaggia, e non appena lui fu passato tra di loro si schierarono in ordine dietro di lui, seguendolo.

La processione era così formata e prese a marciare in direzione del palazzo di ricevimento seguendo la via indicata da Kayama Yezaiman e dal suo interprete, che precedevano il gruppo.

I marines aprivano la marcia e i marinai subito dopo, il commodoro venne degnamente scortato lungo la riva. La bandiera degli Stati Uniti e il largo pennone erano portati da due atletici uomini di mare, che erano stati selezionati tra l’equipaggio della flotta in virtù del loro aspetto impressionante.

Due ragazzi, acconciati per la cerimonia, precedevano il commodoro, portando in un rivestimento di tessuto scarlatto lo scrigno di legno che conteneva le sue credenziali e la lettera del Presidente.

Questi documenti, di formato in folio, erano scritti con arte su pergamena, non arrotolati ma avvolti in velluto di seta blu. Ogni sigillo, attaccato a cordoni di seta ed oro con pendenti d’oro, era incastonato in scrigni circolari di sei pollici di diametro e tre di profondità, rivestiti d’oro puro. Ognuno dei documenti, assieme al suo sigillo, era contenuto in uno scrigno di legno di rosa lungo circa un piede con serratura, cerniere e montature in oro. A ogni lato del commodoro marciava un negro alto e ben proporzionato armato fino ai denti che fungeva da guardia del corpo personale. Questi neri, selezionati per l’occasione, erano i due ragazzi di migliore aspetto che la flotta potesse fornire.

Tutto questo, naturalmente, era studiato per l’effetto.

...

Per qualche tempo dopo che il commodoro ed il suo seguito avevano preso posto ci fu una pausa che durò qualche minuto, senza che venisse pronunciata una parola né da una parte né dall’altra. Tatznoske, l’interprete ufficiale, fu il primo a rompere il silenzio, chiedendo a Mr. Portman, l’interprete olandese, se le lettere fossero pronte per la consegna, e assicurando che il Principe Toda era preparato a riceverle; e che lo scrigno scarlatto all’estremità superiore della stanza era pronto ad accoglierle. Il commodoro dopo che quanto sopra gli fu comunicato fece cenno ai suoi ragazzi che erano rimasti nella hall da basso di avanzare, e loro immediatamente eseguirono i suoi ordini e vennero avanti, recando nelle mani gli scrigni contenenti la lettera del Presidente e gli altri documenti.

 

Il memoriale della spedizione Perry comprendeva inizialmente delle statue del commodoro e di un dignitario giapponese, a grandezza maggiore del naturale.

Nella foto, scattata nel giorno dell'inaugurazione alla presenza delle autorità giapponesi e di una delegazione statunitense, appare a sinistra, con il grande ombrello, Sukeshichi Hirai, che aveva allora 91 anni ed era probabilmente l'ultimo testimone oculare dell'incontro di Uraga.

Fu lui a permettere di identificare correttamente i luoghi dell'evento. Le due statue andarono in seguito disperse.

 

I due impressionanti negri seguivano immediatamente dietro i ragazzi, marciando fino al ricettacolo scarlatto dove ricevettero gli scrigni dalle mani dei portatori, li aprirono prendendo le lettere e, mostrando gli scritti ed i sigilli, li depositarono all’interno dello scrigno giapponese, il tutto in perfetto silenzio.

Yezaiman e Tatznoske allora si inchinarono e, camminando sulle loro ginocchia, chiusero i legacci attorno allo scrigno scarlatto e, informando il commodoro che non c’era altro da fare, uscirono dalla sala inchinandosi di fronte ad ognuno cui passavano davanti, ai due lati della sala. Il commodoro allora si alzò per uscire e, appena lui fu partito, i due principi, sempre rimanendo in assoluto silenzio, si alzarono a loro volta rimanendo in piedi finché gli stranieri non scomparvero dalla loro vista.

 

Va notato ancora una volta che le autorità statunitensi erano rimaste convinte a questo punto di avere concluso un accordo con l'imperatore del Giappone, mentre avevano trattato con una delegazione dello shogûn ed erano in possesso di un documento non avente alcuna efficacia in caso di contestazione o mancata ratifica da parte dell'imperatore.

La storia di Matthew Perry ebbe fine poco dopo. Ritornato negli Stati Uniti nel 1855, gli venne elargita una gratifica di 20.000$ per il complesso del suo lavoro in estremo oriente che comprendeva anche una esplorazione dell'isola di Formosa, di cui aveva suggerito l'occupazione militare. Dedicò gran parte di questa somma alla preparazione di un resoconto in tre volumi della sua missione, che apparve col titolo di Narrative of the Expedition of an American Squadron to the China Seas and Japan.

Venne collocato poco dopo nella riserva, soffrendo di una grave forma di artrite, e scomparve il 4 marzo 1858 in seguito ad una cirrosi epatica dovuta a problemi di alcolismo.

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