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Ryōhanji
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Incluso dall'Unesco tra i patrimoni dell'umanità il tempio di Ryōhanji è stato ed è citato nonché illustrato pressoché ovunque, dalle riviste di architettura ai siti "new age". Tuttavia è un po' fuori dall'efficientissimo sistema di bus turistici di Kyoto e chi lo vuole visitare deve uscire un poco dagli itinerari di routine, di conseguenza non è affollato come gli innumerevoli altri luoghi d'arte dell'antica capitale. Ma non mancano in ogni caso i visitatori.
Iniziato nell'XI secolo da Fujiwara Saneyoshi, che costruì il tempio Daijuin accanto a un grande stagno, il complesso venne ampliato nel XV da Hosokawa Katsumoto, che ne fece la sua dimora e vi costruì il Ryōhanj e - si pensa - il karesansui: un giardino di pietra che divenne col tempo ancora più noto e celebrato del tempio stesso.
Il tempio venne distrutto durante la guerra di Onin, scatenatasi per ragioni di successione allo shogunato tra i clan Hosokawa e Yamana, che lasciò esausti e privi di risorse lo stesso shogunato Ashikaga, i contendenti e infine la città di Kyoto, gran parte della quale venne ridotta a un cumulo di macerie.
Il complesso non fece eccezione, e venne ricostruito nel 1488 da Hosokawa Masumoto. E' incerto in quale periodo sia stato allestito il giardino e da chi, se dai monaci stessi o se dal famoso Soami assistito da esperti giardinieri.
Due delle pietre che lo compongono porterebbero infatti il nome di due di essi: Hirokojirō e Kotarō.
Inizialmente composto da 9 pietre che si dice simboleggiassero una famiglia di tigri intenta a passare un ruscello, venne più volte modificato nel corso del tempo e assunse la forma definitiva alla fine del XVIII secolo ad opera di Akisato Rito: 15 pietre, suddivise in 5 gruppi,
E' universalmente diffusa l'opinione che dal punto di osservazione, costituito da una veranda in legno leggermente sopraelevata situata su un lato dell'hōjō, la rresidenza dell'abate, non sia in alcun modo possibile vedere tutte le pietre, essendo stata la composizione studiata accuratamente per impedirlo.
Non sono pochi gli esperti che la ritengono attualmente opera essenzialmente astratta, che non intende rappresentare o simboleggiare alcunchè.
Come già detto il tempio, gestito dai monaci zen Rinzai della setta Myōshin-ji, non attrae moltissimi visitatori, ma chi vi si reca vi si trattiene a lungo, sulla non grande veranda (il karesansui misura circa 25 metri per 10), mentre altri attendono pazientemente il loro turno. E' evidente, molti di loro assumono la posizione formale in seiza fissando il karesansui, che la loro intenzione è di meditare contemplando l'assieme.
Una delle credenze più diffuse, vi abbiamo già accennato, è che sia possibile vedere dalla veranda solamente 14 pietre, e che solo chi riuscirà a vederle tutte otterrà l'illuminazione. Verrebbe allora da chiedersi, e non so se riusciremo a resistere alla tentazione, che senso abbiano queste intense prolungate meditazioni.
Il Ryōhanji non è enorme, ma nemmeno di modeste dimensioni come molti altri templi, e ha notevoli punti di interesse.
Ad esempio Le sette tombe imperiali, che raccolgono le spoglie mortali di imperatori vissuti dal lX all'XI secolo.
O i suggestivi interni, immuni da ogni ostentazione ma proprio per questo più serenamente godibili.
Ma allontandandosi dalla famosa veranda è raro incontrare altri visitatori.
Accanto all'edificio riservato al chanoyu, che come di consueto è immerso nel verde ed è di proporzioni estremamente ridotte, è possibile ammirare, ma anche qui nessuno sembrava farci caso, un singolare tsukubai, destinato alle abluzioni rituali e collocato abitualmente a livello del suolo, per obbligare il visitatore a chinarsi umilmente.
Ha la forma di una antica moneta, e l'intento è chiaramente provocatorio trattandosi di un oggetto destinato a una forma di arte cerimoniale dove il superfluo è bandito e la materialità non è concepibile.
Riporta incisi quattro ideogrammi, dal significato apparentemente incomprensibile.
In realtà vanno letti associando a ognuno di essi il kanji 口 (kuchi, apertura o bocca) rappresentato dal foro quadrato al centro della moneta.
Si può solo allora leggere WARE (io) TADA (solo) TARU (sufficiente, buono) SHIRU (conosco).
Conosco solo il buono (l'utile, il sufficiente, il gradevole...). Ma è solo una delle tante legittime interpretazioni.
Nel parco che si snoda attorno al grande stagno si potrebbero passare giorni e giorni, vedendo ogni istante qualcosa di nuovo e inaspettato.
La presenza dello stagno, e le copiose precipitazioni tipiche del Giappone, permettono una crescita lussureggiante delle essenze.
E' completamente sconosciuta in molte località, per quanto le estati siano torride, la desolante visione della siccità.
La vegetazione è apparentemente lasciata crescere disordinatamente senza alcun tentativo di creare ordine, e senza la ricerca della simmetria che connota molti giardini europei.
Gli interventi ci sono però, spesso a posteriori, quando un albero malato o dalle scelte di crescita infelici richiedon l'intervento umano a supporto.
Si tratta però talvolta di attenta programmazione dell'uomo, che guida la natura ad assumere aspetti suggestivi ma apparentemente casuali se non addirittura erronei e improduttivi. E che non nasconde sembra anzi voler evidenziare questi "difetti".
Il Ryōhanji è un piacevole e sorprendente portale di ingresso verso un mondo dove operano armoniosamente assieme l'uomo, la pietra, l'essenza arborea, l'acqua.
Un viaggio verso l'imprevedibile, lo sconosciuto, per ritrovare e riconoscere sé stesso.