Gendai

Akira Kurosawa: 1948 - L'angelo ubriaco

Toshiro Mifune, al suo esordio con KurosawaL'angelo Ubriaco (Yoidore Tenshi)
Aikira Kurosawa - 1948
Takashi Shimura, Toshiro Mifune

Si compone in questo film una indimenticabile coppia che accompagnerà gli spettatori per decenni; in quasi tutti i successivi film di Kurosawa Takashi Shimura gioca in mille ruoli, spesso di contorno ma tutti magistralmente interpretati, mentre Toshiro Mifune ha sempre la parte dell'eroe, positivo o negativo, della vicenda.

Mifune aveva esordito nel cinema l'anno prima, ma questo è il primo di una lunga serie di opere da lui interpretate sotto la direzione di Kurosawa. Il sodalizio si ruppe dopo un ventennio, quando il regista durante le riprese del fallimentare quanto ambizioso progetto di Akahige soffrì la personalità di Mifune che diede al suo ruolo una impostazione non condivisa da Kurosawa.

E' strano notare come le vicende narrate nei film jidai di Kurosawa, pur venate di ricorrente pessimismo lascino sempre spazio a conclusioni e morali tutto sommato positive (la natura introversa e depressa di Kurosawa esplode irrefrenabile solo nelle grandi opere della vecchiaia, Kagemusha e Ran), mentre le opere di impostazione moderna sembrano spesso ammonire che nulla di buono può nscere da una società corrotta come quella che si è imposta nel XX secolo.

L'ambientazione dell'Angelo ubriaco ricorda molto quelle care al neorealismo italiano, di cui Kurosawa era dichiaratamente debitore. I desolati ambienti di periferia, lo squallore del degrado sociale ed umano, le acque torbide e maleodoranti degli acquitrini nelle borgate, gli sguardi assenti dei ragazzi di strada, potrebbero benissimo appartenere ad opere come Ladri di biciclette o, su un versante meno impegnato eppure profondo, I soliti ignoti.

Quel viadotto ferroviario sotto cui scorrono le acque inquietanti di un fiume malato quanto la città che attraversa, sembra proprio il "ponte di ferro" di Roma dove Vittorio de Sica colloca la chiatta del ricettatore nel suo Sciuscià...

Gli atteggiamenti dei personaggi, quel vano ricercare la perfezione estetica in chi vuole sottrarsi alla miseria dei luoghi e delle circostanze, le sciocche imitiazioni del modo di vestire e di comportarsi dei vincitori "americani", i riti sociali che obbligano a cercar di ricostituire il tessuto umano distrutto dalla guerra dentro squallide balere, il ricorrente accendersi della sigaretta.

Tutto ricorda analoghe situazioni dell'Italia degli anni 40 e 50: la guerra lasciò qui e lì le sue impronte, nel sangue dei campi di battaglia e nel fango delle periferie dilaniate.

La trama è semplice: il dottor Sanada, alcolizzato e burbero fino alla asocialità ma profondamente umano - come tanti personaggi di Kurosawa - prende a cuore le sorti di un giovane arrogante gangster malato, che lo ricambia con ceffoni ed insulti.

Lo strano rapporto viene reso alla perfezione da Takashi Shimura nella parte del dottore e dal ventisettenne Toshiro Mifune che impersona il gangster Matsunaga, che non riuscirà - questo era chiaro fin dalla prima inquadratura - a sfuggire al suo destino.

 

 

 

 

 

Il finale lascia un'ombra di speranza: mentre Matsunaga andava incontro alla sua sorte, una giovane e graziosa malata porta al dottore le sue lastre: è definitivamente guarita,e reclama la torta con crema che aveva scommesso sulla sua guarigione.

La strana coppia si allontana verso una pasticceria, lasciando lo spettatore tutto sommato un po' sollevato a vedere la parola fine sullo schermo.

 

 

 

 

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