Chambara
Kihachi Okamoto: 1966 - La spada maledetta - La fine
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Gli intrecci delle vicende personali sono quasi inestricabili e rinunceremo a seguirli fino in fondo. Riferiremo però che Ryutaro apprende che Utsugi Hyoma, chiamato in punto di morte dal padre di Ryunosuke / Ryutaro, ha ricevuto ordine di ucciderlo perché irrimediabilmente corrotto ed è stato inviato alla scuola di Shimada per perfezionarsi.
Otsuma è intanto entrata al servizio del signore di Kamio, che stava dietro le quinte del gruppo di miliziani Shinsengumi che ha assoldato Ryutaro.
I due si incrociano senza riconoscersi, del resto non si sono mai visti e l'autore di quel delitto rimase sconosciuto.
La riunione dei miliziani con il feudatario, che ha deciso di prendere una posizione cauta ed opportuniista, è senza risultati. D'ora in poi si sentiranno liberi di agire di loro iniziativa.
Da questo momento gli avvenimenti si accavallano: Ryutaro si rivela a Hyoma e lo sfida, ma Shimada sensei vieta a questultimo di accettare immediatamente il duello.
Non ha ancora sufficiente maestria per poter nutrire alcuna speranza: deve lavorare intensamente e raggiungerla quanto prima possibile.
Solo allora affronterà Ryutaro, per vincerlo ed ucciderlo.
Otsuma nel frattempo ha abbandonato il servizio del signore Kamio, che ha tentato di violentarla, e lo zio cui è affidata non sa come rintracciarla. E' stata in realtà venduta a Kyoto dalla tenutaria della casa da te dove viveva.
Nemmeno l'agguato notturno al dignitario in portantina, sotto una incessante nevicata, manca mai nei film ambientati all'epoca della guerra civile.
Contrariamente al solito però sono questa volta i 'progressisti' seguaci dello shogun ad attentare alla vita di un 'reazionario' seguace del tenno.
Il lupo solitario Ryutaro si tiene come di consueto in disparte, pronto ad intervenire ma senza mescolarsi con gli altri.
Gli attentatori seguono a lungo furtivamente la portantina, per attendere che le case si diradino in prossimità del monte Ueno, dove potranno agire senza dare nell'occhio.
Le ignari vittime e la lunga teoria degli assalitori, celati sotto i loro cappelli, passeranno naturalmente per tutti i luoghi deputati a questo genere di scene, tra cui il cimitero affollato di lapidi e pietre tombali, il ponte di legno e così via.
La turba dei malintenzionati avrà l'amara sorpresa di trovare all'interno della portantina non la vittima designata ma un apparentemente furente Toranosuke Shimada che ne aveva preso il posto, e che dopo avere abbattuto con la sua lama i primi incauti assassini, chiede paradossalmente che si scusino dei loro modi, troppo inurbani perfino per un agguato.
Naturalmente non se ne daranno per inteso e tenteranno di finire la loro opera, sono una trentina circa, ma davanti agli occhi esterefatti di Ryutaro, che non interviene, Shimada sensei li annienta fino all'ultimo uomo.
Se ogni film in cui appare Tatsuya Nakadai vale la pena di essere visto già solo per questo, lo stesso dobbiamo dire a riguardo di Toshiro Mifune. Questa scena in particolare, estrapolata dal contesto, viene replicata incessantemente in innumerevoli siti internet.
Ryutaro è allo stesso tempo affascinato e paralizzato dalla visione diretta di un uomo che è arrivato ad essere, attraverso la via della spada, quello che lui non potrà mai essere, vittima delle passioni umane.
Se Shimada, anche quando la sua lama colpisce spietatamente, rappresenta la spada che dona la vita, Ryutaro è legato indissolubilmente, suo malgrado, al lato negativo della via della spada, quella che può portare solo morte.
Il resto del percorso di Ryutaro potrebbe anche essere tralasciato: è evidente, dal momento in cui prende consapevolezza della propria sconfitta interna, che il suo destino è segnato e la sua ora scoccherà a breve.
Le leggi della rappresentazione esigono però che questo percorso venga esplicitato anche quando già conosciuto o già previsto.
Proprio perché sa quanto sta per succedere, il pubblico esige di vederlo e una volta visto chiederà, sia pure attraverso una rappresentazione in qualche modo apparentemente differente, di vederlo ancora.
Sembrerebbe infatti che sia rimasto poco da dire, eppure il film è giunto ad appena due terzi del suo cammino.
La morale esige che il degrado ed il crollo di Ryutaro vengano illustrati senza tralasciare alcun particolare, per renderne maggiormente evidente l'ineluttabilità e l'atrocità.
Ovviamente non avrebbe senso che anche noi seguissimo questo criterio, e ne accenneremo solo sommariamente.
Ryutaro sta per recarsi a Kyoto assieme al reparto Shinsengumi cui era aggregato e Shimada rompe gli indugi facendogli recapitare il consenso per la sfida a duello da parte di Hyoma Utsugi.
Il duello non ci sarà, poiché gli avvenimenti precipitano. Hama tenta di uccidere Ryutaro per liberarsi da un malefico rapporto che inquina entrambi. Fallito il compito chiede ed ottiene da Ryutaro di darle la morte.
Hyoma Utsugi ha nel frattempo rintracciato Matsu, e finalmente sembra pronto a dichiararle le sue intenzioni, riscattandola dalla vita di servitù cui era destinata. Ma occorre prima chiudere i conti con Ryutaro Yoshida.
Nessuno dei protagonisti arriverà fino in fondo ai suoi propositi. Ryutaro sta partecipando ad un festino assieme agli altri membri della milizia quando viene convocato dal capo, che gli affida l'incarico di uccidere il suo vice Isami Kondo, di cui non si fida più. Mentre i due sono intenti al colloquio lo stesso Kondo - il personaggio storico che abbiamo visto assistere al duello che ha dato origine a tutta la storia - sta prendendo accordi con i suoi fidi per uccidere loro.
Matsu viene sorpresa mentre sembra che stia origliando. Ryutaro la trattiene e le ingiunge di non muoversi da lì se non vuole essere uccisa all'istante.
Colpiti da inquientanti sensazioni i due finiscono per confidarsi, e Ryutaro comprende che la donna è legata all'assassinio da lui commesso al passo di montagna di Daibosatsu toge (che è anche il titolo giapponese del film).
Tormentato dai rimorsi e dai fantasmi della sua immaginazione, incapace di dimenticare le ammonizioni di Shimada sensei, che gli aveva ricordato come la spada dovesse essere l'orgoglio e l'onore del samurai, e una mente malvagia rendesse malvagia anche la sua spada, Ryutaro estrae la lama e cerca di uccidere con essa i suoi cattivi pensieri.
Taglia in realtà all'impazzata, senza trovare pace, solamente le cortine che separano un ambiente dall'altro.
Finirà naturalmente per attirare sul posto gli uomini della milizia, che pensando ad una aggressione si getteranno su di lui per ucciderlo, ma cadranno a decine sotto i suoi colpi prima di riuscire ad averne ragione.
E' anche questo uno stilema, il cui prototipo è probabilmente la scena conclusiva di Harakiri (1962) interpretato dallo stesso Nakadai sotto la direzione di Masaki Kobayashi, regista con cui ha collaborato sovente.
Da allora è una situazione che si ripropone in numerosi film chambara e ad interpretarla veniva quasi sempre chiamato Nakadai, che ironizza elegantemente su questo suo destino in una intervista di cui abbiamo dato conto nella recensione di Joi Uchi, sempre di Kobayashi.
Ma non vi si sottrasse nemmeno lo stesso Toshiro Mifune, usualmente chiamato ad interpretare personaggi positivi ma talvolta credibile interprete di uomini dannati alla perdizione: una carriera speculare a quella di Nakadai, rimasto nell'immaginario come il cattivo per eccellenza.
Come sempre in questi casi ogni nuova versione tenta di aggiungere qualcosa a quelle precedenti, e i quattro anni trascorsi dalla uscita di Harakiri possono dare una idea di cosa attendersi.
Difficilmente si aggiungono nuove idee, spesso ci si limita ad aggiunte quantitative e non qualitative.
Aumenta qui di conseguerza la durata della carneficina finale, aumentano le dosi di sangue ed il numero delle vittime, aumentano le ferite che la belva ferita riesce incredibilmente a sopportare prima di cadere abbattuto, all'arrivo sullo schermo della liberatoria parola FINE.