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Kenji Mizoguchi: 1946 - Le donne di Utamaro
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Keniji Mizoguchi: Utamaro o meguru gonin no onna
1946
Minosuke Bando, Kinuyo Tanaka, Kotaro Bando, Hiroko Kawasaki, Toshiko Iizuka, Kyoko Kusajima, Eiko Ohara
Tradotta sbrigativamente in italiano come Le donne di Utamaro, quest'opera porta in realtà un titolo ben più descrittivo: Cinque donne attorno ad Utamaro, probabilmente una allusione non troppo velata all'ultima opera di Kitagawa Utamaro, Le cinque concubine di Hideyoshi, che trascinò l'artista in prigione. Come spesso - purtroppo - succede l'edizione francese (Carlotta film - Allerton film, 2007) è molto più ricca di contenuti e meglio curata di quella italiana, e abbiamo scelto di utilizzarla per questa recensione.
Vediamo già nella copertina del dvd le cinque protagoniste, che attorniano il celeberrimo pittore Utamaro (1753--1806), che ebbe vita breve e tormentata per quanto coronata da un successo artistico che sfida il passare dei secoli. Fu ammiratore della bellezza femminile, e aedo del modo fluttuante - ukiyo - del quartiere dei piaceri di Yoshiwara in Edo, la cui rappresentazione diede impulso e vigore alla stampa giapponese, ancora oggi conosciuta soprattutto col nome di ukiyo-e. E tutti coloro che ammirano la pittura giapponese conoscono Utamaro con un preciso appellativo: il pittore delle donne.
Non fu certamente soltanto questo, e solo un artista di vaglia come Kenji Mizoguchi (1898-1956), scomparso prematuramente ma lasciando una intensa produzione a cui Akira Kurosawa guardava con grande ammirazione, poteva rendere possibile il trasporto sullo schermo dei tormenti e delle estasi di Utamaro.
Mizoguchi fu vicino al mondo di Utamaro sia attraverso le sue vicende personali, una sua sorella fu venduta come geisha per sovvenire alle necessità economiche della famiglia, sia come inclinazioni: abbandonò la scuola prematuramente per entrare nell'Isitituto per la Ricerca sulla Pittura Occidentale e prima di dedicarsi al cinema lavorò come disegnatore per il periodico Matha Shinpo.
La sua carriera di regista è precocissima, diresse la prima opera a 24 anni ma purtroppo quasi nulla rimane dei circa 50 film girati negli anni 20 del secolo XX. Le sue opere iniziarono ad avere notevole successo nei tardi anni 30 e negli anni 40. Negli anni 50 ottenne per 3 volte di seguito il Leone d'argento alla Mostra del Cinema di Venezia, con Oharu donna galante, I racconti della luna pallida di agosto e L'intendente Sansho. Fu stroncato dalla leucemia nel 1956, a 58 anni.
Utamaro o meguru gonin no onna è del 1946, e fin dalla prima sequenza rivela le ragioni della ammirazione manifestata da pubblico, critica e colleghi nei confronti di Mizoguchi. La sua esasperata ricerca della perfezione formale arriva a riportare sullo schermo non solo rappresentazioni fedelii ma formali di un mondo che non è più: ne conserva ancora il profumo.
La processione iniziale ci viene mostrata, anche se brevemente, in tempo reale, senza alcuna concessione al linguaggio sbrigativo e sintetico del mondo del cinema.
Nella splendida stagione della fioritura dei ciliegi, la processione si muove: i gesti lenti e l'incedere solenne dei partecipanti, che seguono rigide procedure a noi non comprensibili eppure chiaramente legate a scopi precisi, i loro abbigliamenti ed accessori inusuali ma portati con la formale naturalezza del celebrante di un rito antico, vengono resi con una maestria che nessuno ha mai avuto prima di Mizoguchi, che probabilmente nessuno avrà mai più.
Utamaro non appare immediatamente: appaiono alcune delle donne da lui amate raffigurandole, come Oshin (Kiniko Shiratao), dal fisico di lottatrice eppure colma di un fascino che solo Utamaro riuscirà a cogliere e rappresentare.
E' accanto a lei l'editore Tsutaya Juzaburo, il primo che colse l'immenso talento di Utamaro e gli diede fiducia, ospitandolo nella sia casa oltre che farne la figura di riferimento della sua casa editrice,
Appaiono delle figure di contorno, lo sfondo teatrale che serve a dare maggiore risalto al primattore.
Come l'irruento samurai Eisaki Seinosuke, discepolo della scuola di pittura di Kano che Utamaro ha pubblicamente rinnegato e criticato.
Cerca l'artista per ridurlo alla ragione con la sua spada., entrando minaccioso nei locali dove è abituale la sua presenza, ma nessuno per il momento sembra sapere dove trovarlo.
Tutti parlano di Utamaro, tutti vivono del suo riflesso. Lui apparità solo quando Mizoguchi ha portato al massimo la tensione dell'attesa del protagonista assoluto, annunciato già nel titolo eppure inspiegabilmente in ritardo. Vengono in mente le attese snervanti cui Miyamoto Musashi sottoponeva in suoi antagonisti prima dei duelli.
Ed è in effetti con una serie di duelli che si presenterà agli spettatori Kitagawa Utamaro (sobriamente ma magistralmente interpretato da Minosuke Bandô).
Eisaki continua a cercarlo, sempre più minaccioso, nei luoghi di paicere del quartiere Yoshikawa dove Utamaro amava trascorrere il tempo cercandovi ispirazione per la sua arte.
Ma nemmeno Tsutaya sa dirgli dove rintracciare l'artista, che insegue percorsi aperti solo a lui, ove trarre spunti per le sue opere.
Finalmente lo trova: è chiaro che vorrebbe risolvere la questione con la sua lama ma Utamaro, pur accettando la tenzone, si riserva il diritto di scegliere l'arma: si confronteranno sul terreno dell'arte, e ad Eisaki spetta il primo colpo: traccia ad inchiostro, tecnica che non ammette esitazioni e ripensamenti, su un grande foglio di carta, il ritratto della dea della misericordia.
Compiaciuto, e contemporaneamente aggressivo, arrogante, porge la sua opera all'attenzione dei presenti.
Utamaro, sorridente, osserva che manca ancora qualcosa; con pochi rapidi tocchi - che Mizoguchi ovviamente accenna solo senza osare di mostrare all'opera la mano del maestro - dona all'opera, manieristica e fredda anche se formalmente ineccepibile, un soffio di linfa vitale.
Eisaki è attonito. Vinto. Catturato.
Ben presto abbandonerà anchegli la scuola di Kano divenendo un devoto di Utamaro.
Ma Utamaro al momento non lo degna più nemmeno di uno sguardo, lo lascia al suo stupore ed invita gli amici a proseguire quella piacevole notte in altri luoghi.
Il successivo duello ha per oggetto una sfida artistica che si compie sul corpo della cortigiana Takasode (Toshiko Iizuka).
Ha desiderio di farsi apporre un tatuaggio, ma l'artista da lei incaricato non osa: ha timore di manipolare quel corpo, desiderato o invidiato da chiunque.
Teme sopratutto di toglierle inavvertitamente con un intervento maldestro anche un briciolo delle sue attrative, e sopraffatto da questo timore decide di abbandonare l'impresa.
Utamaro raccogglie la sfida: è una sfida con se stesso, ed allo stesso tempo un omaggio: un omaggio alla beltà.
Si offre di tracciare sul corpo di Takasode il disegno che poi servirà da traccia nell'esecuzione del tatuaggio.
La sua offerta viene accolta con entusiasmo, Takasode comprende che è motivata da ammirazione e rispetto.
L'atteggiamento di Utamaro è quello della persona perfettamente consapevole della misteriosa potenza che attira reciprocamente uomo e donna e non insensibile ad essa, ma assolutamente puro nella sua aperta, sincera, trasparente ammirazione.
Si mette all'opera, con gioiosa concentrazione.
Sceglie come soggetto Kintaro, il mitico samurai Sakata Kintoki, fedele seguace del principe Minamoto Yorimitsu, che nelle leggende popolari è raffigurato come un bambino dalla forza prodisiosa, nutrito ed allevato da una maga benefica delle montagne (yama uba).
Secondo alcune versioni costei era in realtà la sua vera madre, la principessa Yaegiri che si era ritirata tra aspre montagne dopo la sconfitta del suo clan e la morte in battaglia del marito.
Secondo altre infine Kintaro era stato concepito dalle montagne dopo che questi fatti erano avvenuti, figlio di un fulmine scagliato da un drago verso la madre.
Comunque sia, al termine dell'impegnativo lavoro di tatuaggio - Utamaro ha terminato la sua opera rapidamente come al solito - ogni volta che sorriderà Takasode, sorrideranno sul suo corpo anche Kintaro e la madre Yaegiri.
Quando sarà lieta danzeranno per lei Kintaro e Yaegiri, quando sarà triste piangeranno per lei.