Tecnica/Cultura
Aikidō e Amore
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Aikidō e Amore
Una ricerca sulle origini spirituali e teoriche alla base dell'Aikido
Chiara Bottelli, nipponista, si è laureata presso l'università degli Studi di Torino in Lingua e Cultura Giapponese con una tesi sulle relazioni fra Aikido e la nuova religione Ōmoto. Ha praticato aikido con il Maestro Fujimoto a Milano e ha vissuto a lungo in Giappone anche grazie a una borsa di studio della Comunità Europea. Organizza periodicamente viaggi in Giappone, dedicati soprattutto all'approfondimento degli aspetti culturali, non esclusa alla conoscenza delle istituzioni Ōmoto kyo.
Nonostante tutte le botte che mi sia presa nella mia breve ma intensa attività aikidoistica, ho sempre pensato che qualche fondo di verità potesse esserci, nell'affermazione del mio maestro che mi spronava a continuare. Non è tuttavia così semplice associare l'idea di amore, fratellanza e armonia universale a un'arte marziale, che per definizione esprime concetti totalmente opposti. E' stato così che alla fine dei miei studi di lingua e cultura giapponese, ho potuto approfondire questo aspetto nella tesi di laurea presso l'Università di Torino, avendo modo di ripercorrere le fasi della gestazione dell'aikidō e di esplorare il periodo storico, sociale e politico in cui questa ha avuto luogo.
Conosciamo bene la biografia del fondatore Ueshiba Morihei (植芝盛平, 1883-1969), ma che cosa succedeva in Giappone nel periodo della sua giovinezza, che cosa significa all'interno della cultura giapponese il rispetto per la natura, le pratiche sciamaniche, gli esercizi di purificazione, gli stati di allucinazione... Che cosa sono le Nuove Religioni che proliferano in questo periodo per contrapporsi a una situazione politica violenta e imperialista. Sono tutti quesiti che ci portano a capire come il giovane Ueshiba abbia potuto trovare nei principi ispiratori dell'Ōmoto, le basi spirituali sulle quali fondare la disciplina che stava creando.
Infatti, a differenza di altre arti marziali giapponesi come jūdō (柔道), karate (空手) e kendō (剣道), che focalizzano l'attenzione sugli aspetti agonistici e sul combattimento, l'aikidō (合気道) si presenta come un'arte marziale che paradossalmente rifiuta l'idea di scontro: nasce e si sviluppa accompagnato da un ricco apparato di contenuti spirituali e dottrinali associati a una precisa visione del mondo che possono renderlo in parte assimilabile a una religione. Il nucleo centrale dei suoi insegnamenti tecnici consiste di una serie di movimenti di attacco e difesa derivate dagli antichi modelli del budō (武道), ma questi, più che a sopraffare un avversario tendono a stabilire un rapporto di equilibrio armonico tra l'individuo e il mondo nel suo insieme, attraverso la dinamica di energia che si sviluppa nell'atto del confronto fisico, e al complessivo miglioramento di se stessi e della propria consapevolezza.
Secondo la mia tesi, tali caratteristiche derivano direttamente dall'esperienza elaborata dal fondatore dell'aikidō, Ueshiba Morihei (植芝盛平, 1883-1969), che, nel corso degli anni Venti del secolo scorso, opera in stretto contatto con Deguchi Onisaburō (出口王仁三郎, 1873-1948), co-fondatore e attivo promotore di una nuova religione detta Ōmotokyō (大本教), fondata dalla figura carismatica di Deguchi Nao (出口なお, 1837-1918), povera e analfabeta, portatrice di una rivelazione divina. I principi ispiratori dell'Ōmoto, cioè la ricerca di una armonia universale che permetta all'uomo di vivere in pace e fratellanza con se stesso e tutti i suoi simili, si riversano nella visione di Ueshiba diventando il fondamento spirituale della sua disciplina.
Anche alla base dell'aikidō si colloca una rivelazione divina che Ueshiba esperimenta nel 1925 e in seguito a questo episodio la sua figura acquista crescente carisma agli occhi dei seguaci tanto da venir deificato dopo la morte. Ueshiba è dunque un attivo seguace della nuova religione e annuncia la propria dottrina come frutto di una rivelazione divina, proprio con le stesse modalità che caratterizzano i leader carismatici alla testa delle Nuove Religioni.
Nel primo capitolo si analizza il panorama religioso giapponese tra la fine dell'epoca Tokugawa e l'inizio dell'epoca Meiji (1853-1912). Il periodo storico preso in esame coincide con la data del 1853, che segna l'apertura del Giappone ai commerci con i paesi occidentali dopo secoli d'isolamento, premessa diretta alla definitiva crisi dello shogunato Tokugawa e alla restaurazione Meiji. Esso è caratterizzato da alcuni fenomeni che chiamano in causa gli aspetti religiosi della società. Dopo la fase di eclissi dell'epoca Tokugawa, si assiste alla restaurazione di un potere imperiale forte che basa la propria autorità sulla rifondazione delle origini religiose, che giustificano la discendenza divina dell'imperatore. Lo Shintō diventa, seppur in modo non ufficiale, religione di stato mentre le scuole buddhiste, invece, perdono l'appoggio e la benevolenza dei centri di potere e vengono boicottate in quanto potrebbero indebolire la centralità del potere imperiale e costituire un ostacolo per la politica d'apertura del Paese.
Parallelamente si fanno strada movimenti che tendono al recupero e alla rivalutazione di culti antichi e delle pratiche sciamaniche nelle campagne: si tratta di minoranze critiche rispetto all'ortodossia imperiale, che reagiscono agli squilibri provocati dalla rapida modernizzazione della società. Sono i nuovi gruppi religiosi che esprimono le inevitabili tensioni suscitate dal nuovo ordine politico, le cosiddette shinshūkyō, ossia Nuove Religioni (新宗教) che propongono diverse modalità di adattamento ai cambiamenti socio economici in atto. Il termine Nuove Religioni, tuttavia, non è del tutto appropriato, poiché ognuno di questi movimenti si costituiva di elementi presi da una o più religioni preesistenti.
Una pluralità di tradizioni religiose caratterizza infatti il contesto religioso e culturale in Giappone fin dalle sue origini. È peculiare della storia della religione giapponese la coesistenza di numerosi culti diversi come lo Shintō, il Buddhismo, il Confucianesimo. Ogni individuo, piuttosto che appartenere esclusivamente a una di queste, è consapevolmente legato a più di una tradizione. Ad eccezione del Jōdo Shinshū e della tradizione di Nichiren, da cui deriva una delle più potenti fra le Nuove Religioni, la Sōka Gakkai, nessuna delle scuole giapponesi storiche rivendica l'assoluta verità o l'esclusione delle altre scuole. Per comprendere il fenomeno dell'emergere delle Nuove Religioni, è necessario riconoscere il contesto religioso e sociale del Giappone alla fine del periodo Tokugawa, quando le prime Nuove Religioni cominciano ad affacciarsi sul panorama culturale. Alla fine del periodo Tokugawa infatti, i moti contadini, che invocano l'urgenza di riforme sociali con forme di protesta spontanee (eejanaika, エエジャナイカ) annunciano già i primi movimenti religiosi a tendenza profetica.
Le Nuove Religioni della prima fase eserciteranno la funzione di rifugio per la popolazione alla quale il nascente capitalismo aveva distrutto i riferimenti tradizionali. Sono le classi sociali più basse di contadini e operai a soffrire della rapida industrializzazione e del nuovo sistema capitalistico e proprio da queste classi provengono molti dei fondatori di Nuove Religioni: sono anch'essi emarginati che possono condividere le privazioni e le sofferenze dei loro seguaci. Una delle caratteristiche comuni alle prime Nuove Religioni è l'aspetto messianico. Il fondatore, o come spesso accade, la fondatrice, è una figura carismatica, considerata un essere divino o semi-divino, in diretto contatto con la divinità per le verità rivelate che diffonde. Egli promette la soluzione a tutti i problemi attraverso la fede e il culto; pratica riti di esorcismi o profezie. In risposta a una situazione di crisi (frustrazione individuale o collettiva) ci si rivolge ai miti antichi, per ricercare soluzioni ai temi della salvezza e della speranza. Anche Deguchi Nao, fondatrice dell'Ōmotokyō, a metà del percorso fra il paradiso originale e l'istaurazione di un regno ideale, profetizzerà la distruzione, "la grande pulizia del mondo" (yonaoshi 世直し) necessaria per la realizzazione del regno dei kami.
Nao, sebbene dapprima si considerasse solo come uno strumento passivo, mediatrice del kami "Ushitora no konjin" (長の金神) e permettesse a Onisaburō di manipolare il suo messaggio, fu grazie al suo kamigakari (神懸かり, possessione dello spirito) che acquisì la sicurezza necessaria per esprimere le istanze che il dio le comunicava e per sfidare gli sforzi di Onisaburō volti a mantenere l' Ōmotokyō entro i confini delle religioni approvate dal governo. I fondatori delle Nuove Religioni intrattengono un rapporto stretto con le religioni popolari attraverso le pratiche sciamaniche e le credenze legate ai kami viventi o ikigami (生き神) fra cui si identificano i fondatori stessi.
Si approfondisce sempre nel primo capitolo il concetto di kami, di kamigakari e delle pratiche sciamaniche in uso nelle campagne. Una speciale attenzione viene data alle pratiche di purificazione ed esercizi ascetici: più interessanti ai fini della nostra ricerca sono quelle indispensabili per l'acquisizione della forza fisica che Ueshiba praticava nei monti della regione di Kumano. Sono le pratiche legate alle abluzioni in acqua ghiacciata da effettuarsi sotto il salto di gelide cascate di montagna.
Rimanere sotto una cascata d'acqua, preferibilmente fra le due e le tre di notte e durante il periodo invernale, era considerato un metodo infallibile per acquisire forza. Si tratta del misogi (禊), uno dei riti di purificazione fondamentali dello Shintō.In mancanza di una cascata nelle vicinanze, si pratica il mizugori (水垢離), che consiste nel gettarsi addosso secchiate di acqua fredda .
Un'idea molto importante dello Shintō è che rafforzare il corpo purifichi la mente. Molte pratiche che sembrerebbero autodistruttive sono espressioni di questa credenza. Gli asceti della montagna dello shugendō si dedicavano a questa pratica oltre a esercizi ascetici occulti per ottenere poteri sovrumani sugli spiriti. Sia Deguchi che Ueshiba intraprendono nel corso della loro vita, ritiri ascetici nelle montagne e la pratica di misogi ricopre un ruolo fondamentale nella loro educazione spirituale. Il mondo ascetico attinge inoltre fortemente dalle formule magiche (mantra) del buddhismo esoterico, e alle antiche concezioni cosmogoniche dei suoni occulti (kotodama). La recitazione di certi suoni contenenti poteri magici può guarire malati, allontanare i demoni, procurare la pioggia, o far concepire bambini. Inoltre se recitate per lunghi periodi in condizioni ascetiche di purificazione con digiuni o acqua fredda, le stesse parole possono dare forza alla persona che le pronuncia.