Cronache
2024, dicembre: Il nihontô dentro di noi - Sul luogo del delitto
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Si sa che perlomeno nella letteratura di genere i detective ritornano spesso sul luogo del delitto, ricontrollando quanto già ricontrollato, rivedendo quanto già visto, alla ricerca di quanto possa essere sfuggito. E va da sé che – sempre in letteratura – la loro ricerca è spesso premiata.
Anche il praticante di aikido torna regolarmente sui luoghi dei suoi innocenti delitti, a rimuginare su quell'ikkyo o quel sankyo non completamente digeriti. E l'insegnante? Certo, torna anche lui sui luoghi dei suoi numerosi delitti, regolarmente e con metodo. Ed eccoci quindi a parlare dell'ultimo cimine commesso dal sottoscritto. Una conferenza sul nihontō, la spada giapponese.
E' noto che le prime domande che si pone il detective vertono sul “cui prodest”, sulle motivazioni ossia del delitto: sul perché. E già... perché? Perché una conferenza sulla spada giapponese (nihontō, ricordiamolo, ossia quelle lame che un po' approssimativamente tutti conoscono col nome di katana?
La katana - atteniamoci ancora a questa semplificazione senza scendere troppo nel sottile – viene giustamente ammirata ed elevata a simbolo delle virtù marziali del popolo giapponese, cui noi oggi ci ispiriamo ma per combattere un unico nemico, il più insidioso: quello che si annida dentro noi stessi.
Ma rimane a volte lontana, quasi un oggetto intangibile costretto dentro una vetrina: un oggetto verso cui si porta il dovuto rispetto, cui si tributa come detto una incondizionata ammirazione ma comunque non raggiungibile, potendo di solito solamente vederlo incollando il naso a una vetrina, ma contegnoso e impenetrabile anche quando lo potessimo toccare con mano e ,perfino, quando fossimo chiamati al suo utilizzo pratico.
Ma non è realmente così, e la mia conferenza ha tentato di far toccare con mano a chi l'ha seguita, naturalmente con l'ausilio della lezione pratica del giorno seguente, che la katana non è un irraggiungibile miraggio. Ognuno di noi può anzi deve “averla”. Il più delle volte addirittura la possiede già, è dentro le nostre mani, fa parte del nostro corpo, è fedele compagna lungo la nostra strada. Ma è bene esserne coscienti. Anzi, necessario.
Chi ha avuto il privilegio di utilizzare una spada sa che il suo modo di utilizzare il corpo, le mani, lo sguardo, l'atteggiamento mentale, ne verrà irreversibilmente segnato. Continuerà sempre ad agire utilizzando per i suoi scopi una lama virtuale.
Una maggiore conoscenza delle origini oltre millenarie della katana, del suo significato simbolico, del suo uso pratico, aiuta a scoprire il tegatana, la mano-spada che ci aiuta con il suo taglio a separare ciò che va conservato da ciò che va lasciato, a comprenderlo, a viverlo.
Chi ha avuto il privilegio – ma anche il doveroso carico di responsabilità – che comporta l'impugnare una katana, o anche la sua reincarnazione in legno di quercia, il bokken o bokutō, si può rendere conto di come venga indotto in maniera naturale, potremmo dire dolce, ad assumere una corretta postura.
Un corretto te-no-uchi (modalità di impugnatura della katana) induce automaticamente a una corretta postura dell'intero corpo umano, e si può anche avvertire , immediatamente e non con l'ausilio del ragionamento ma attraverso la sensibilità del nostro corpo e del nostro animo, attraversando il ki, della necessità imperiosa di muoversi in armonia con la katana, con il nostro corpo, con quello della controparte, con l'atmosfera che ci circonda, con l'universo intero.
Ma le tecniche? No: occorre ripeterlo, non ha importanza acquisire qualche superflua nozione in più, riempirsi di orgoglio perché si sa o si crede di sapere la “tecnica segreta”. L'aikido, come tante altre arti, forse le migliori, non si affina aggiungendo ingredienti a ingredienti. Ma togliendo ogni cosa superflua finché rimanga solamente il nulla, il vuoto: mentale, fisico, nozionistico.
E – provare non guasta – quando misteriosamente si verifica uno di questi rarissimi quanto felici momenti, si dovrebbe tentare di gettare uno sguardo di sottecchi alla immagine del Fondatore che è sempre presente nei nostri dojō. Si avrà probabilmente l'impressione (ma sarà solo un'impressione?) di vederlo impercettibilmente sorridere.