Cronache
2011, luglio. A Laces ancora con 'lui': Fujimoto sensei
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Di Marco D'Amico.
Spero che siate indulgenti come lettori perchè è la prima volta che mi cimento in una cronaca di uno stage, di solito preferisco stendere una serie di dettagliati appunti su ogni tecnica.
Questo genere di appunti sono sempre rivolti solo alla mia persona, invece una cronaca generale per chi va scritta? Per chi c'era? Be' lasciatemelo dire, chi c'era se lo ricorderà per sempre, eventi come questo non si dimenticano.
Per chi non c'era? se non c'eravate, ma dove eravate? É questa la domanda che mi sono posto un sacco di volte, ma solo voi potete rispondere. E allora via!!!
Cominciamo dal maestro: tutti sanno quale sia attualmente la sua condizione, molti temevano, anzi speravano, che si risparmiasse un po'. E invece lezione ogni mattina e anche gli ultimi tre pomeriggi, non mi resta che riportare le parole di un amico : "Aho' se stava bene non ci arrivavamo alla fine dello stage!". Con lui si sono alternati nei pomeriggi dei primi giorni i maestri Foglietta, Travaglini e Cardia.
L'anno scorso il maestro aveva posto molto attenzione alla tecnica di shihonage, lavorandolo in varie forme da aihanmi, quest'anno si è concentrato su ikkyo, partendo quasi sempre da katatetori aihanmi, e ricercando quella condizione nelle forme di attacco più avanzate.
Sappiamo tutti che la tecnica di ikkyo è un contenitore di diverse forme e il maestro ha preferito un lavoro di allungamento e di "chiamata" del corpo di uke fino allo squilibrio, così da ridurre al minimo il contrasto con aite (il partner) e l'impiego della forza.
Si sono riproposti in modo naturale anche gli altri temi del lavoro didattico del maestro Fujimoto: l'attenzione al lavoro di uke, l'esecuzione come studio del movimento che sia di beneficio per entrambi i ruoli di tori ed uke, la pulizia e l'estetica del gesto che ne conservi la valenza marziale.
Ho già accennato all'uso minimo della forza, ma cosa si vuole intendere? il maestro ha posto la sua attenzione sulla condizione di rilassatezza, soprattutto delle spalle, in modo che il nucleo della nostra forza scenda fino al suo luogo naturale, il nostro centro, spingendosi fino ad un paragone con le kombu, le alghe marine, che saldamente attaccate al fondale ondeggiano liberamente con le estremità.
Questa condizione delle spalle può essere mantenuta più facilmente se le braccia seguono il modo indicato dal taglio della spada o dell'uso del kokyuho, da qui un lungo e sistematico lavoro è stato svolto durante lo stage su ikkyo undo e sullo shihogiri, sia nella forma omote che nella forma ura.
In ogni tecnica è stato evidenziata la condizione di debolezza derivante dall'alzare i gomiti, anche in altre forme di budo "aprire" l'ascella ha un connotato negativo, per esempio nel sumo si usa l'espressione "wakigaamai" (ascella dolce) per indicare un movimento scorretto e debole. "Wakiwoshimeru" (stringere-chiudere le ascelle) sono parole che dopo una settimana sono entrate nel vocabolario di tutti i partecipanti.
I primi giorni il maestro ha preferito lo spostamento nell'ura di uke, basti pensare che solo sabato katatetori gyakuhanmi ikkyo è stato eseguito spostandosi in quella zona mediante tre movimenti diversi: scivolamento diagonale, tenkan e tenkan più kaiten, in modo che la tecnica sia eseguita dove tori sia più al sicuro e il controllo sulla parte restante del corpo di uke facile.
Questa sensazione di sicurezza e controllo su uke deve però accrescersi in modo naturale con la pratica e la tecnica, così che tori si possa muovere liberamente in qualsiasi direzione, acquisendo il controllo non solo di aite ma anche dello spazio circostante, infatti negli ultimi giorni dello stage l'ikkyo da questa presa è stato eseguito anche con l'entrata nell'omote di uke seguito da tenkan.
Questa gradualità nell'insegnamento e nell'apprendimento è stato un altro tema importante. La didattica va impostata seguendo un ordine ben preciso, è stato portato come esempio le cadute: per i principianti si comincia con le ukemi rotolate indietro e in avanti, poi le kosaukemi (le "incrociate"), le yokoukemi, e con l'aumentare della sicurezza le proiezioni da kotegaeshi e shihonage, fino ad arrivare alle cadute da koshinage dove la sensazione di vuoto è più forte.
L'ordine con cui vengono proposte le tecniche in una lezione e nel corso dell'anno deve anche rispettare le affinità che queste hanno tra di loro: ikkyo-iriminage, nikyo-kotegaeshi, sankyo-shihonage.
Il compito dell'insegnante si carica di una grande responsabilità, egli deve infatti decifrare la logica che unisce le tecniche andando oltre la mera ripetizione coatta: "jutsukarahairu, rikarahairu", apprendere (letteralmente entrare) dalla tecnica pratica, cioè dalla ripetizione fisica, come è comune anche nel mondo animale, e invece apprendere dalla logica, con il raziocinio, agendo come il generale di un esercito.
Il maestro è tornato più e più volte sul tema dell'insegnamento, e ai responsabili di dojo sono arrivate critiche ben esplicite indipendentemente dal grado. E' stato sottolineato che un'insegnante ha il dovere di trasmettere senza trattenere ciò che apprende, e che questo lavoro non può essere svolto da solo, perché quando si riceve un insegnamento intensivo come avviene durante uno stage, è necessario anche il supporto di una parte dei propri allievi, così da poter digerire successivamente nel corso delle normali lezioni quello che si è appreso, altrimenti la frequentazione di uno stage si traduce in un semplice bollino (il maestro ha parlato di medagliette) di cui si fa collezione.
Nel rispetto di questa modalità lavorativa si sono svolte le lezioni pomeridiane del 2°,3° e 4° giorno.
Il maestro Roberto Foglietta ha ripreso e sviluppato le tecniche da katatetori gyakuhanmi e jodantsuki che erano state il tema portante delle lezioni di sabato e di domenica mattina.
Il maestro Roberto Travaglini ha sviluppato ulteriormente la tematica della gyakuhanmi ponendo l'accento sulla presa da katadori, che ha affrontato anche in suwariwaza.
Il maestro Emilio Cardia è tornato a lavorare le tecniche da shomenuchi introdotte martedì mattina proponendole in hanmihantachi.
Nella foto è lui a trovarsi in posizione tachiwaza, mentre sta mostrando il modo corretto di portare un attacco shomenuchi.
Nelle lezioni dei primi quattro giorni sono state sostanzialmente esplorate tecniche fondamentali come ikkyo, iriminage, kotegaeshi e shihonage su attacchi base come katatetori, katadori, jodantsuki e shomenuchi. Le variazioni dalla forma canonica emergevano naturalmente dal porre l'attenzione sull'allungamento dell'attacco di uke oltre la sua sfera di controllo.
Anche un lavoro avanzato come le kaeshiwaza (le "controtecniche") sono state proposte nella loro valenza di test ad una corretta esecuzione della tecnica. "Se la tecnica è corretta non esiste kaeshiwaza" nelle parole del maestro, che ha poi ancora sottolineato l'importanza del lavoro di uke, chi assume questo ruolo deve accettare in modo attivo la tecnica di tori, muovendosi in modo da ricreare continuamente una condizione di shizentai (letteralmente corpo naturale), in questo modo sarà poi possibile trovare le risorse per eseguire una kaeshiwaza.
L'insegnamento delle controtecniche avveniva un tempo in modo individuale, cioè o sensei le trasmetteva a quelli allievi che poi venivano mandati ad insegnare nelle scuole militari eccetera, che quindi non potevano permettersi di "sfigurare".
Nel caso di un uke più esperto di tori, non ci si dovrà opporre in maniera sciocca ma si dovrà offrire, pian piano sempre meno volontariamente, quella condizione che è l'elemento di studio della determinata tecnica, così che tori acquisisca la sensazione di una corretta esecuzione, per poterla poi cercare e ricreare nuovamente.
Questo è come si dovrebbe lavorare durante lo stage. Invece, gli esaminandi che si prolungano oltre l'orario, devono agire diversamente. Quello che hanno studiato deve essere già stato completamente assimilato, dovranno quindi ricercare il corretto ritmo e la sinergia tra di loro praticando intensamente.
di Paolo Bottoni
Certamente: gli esami non finiscono mai. Lo sapevamo già dalla cronaca di Laces 2010. Anche questanno dunque si sono svolte delle intense sessioni di esami, anche questanno di esami si è molto parlato, molto pensato. Molto temuto.
Il maestro Fujimoto aveva voluto precisare nei primi giorni che probabilmente non tutto sarebbe filato liscio come la volta precedente, quando la percentuale dei promossi aveva raggiunto un inedito, visto l'alto numero di candidati e l'importanza dei gradi cui si presentavano, 100%.
Non ho avuto l'impressione che la causa andasse ricercata in un aumentato rigore da parte del maestro, che anzi ha confidato in seguito di avere programmato un esito positivo per tutti i candidati, dovendo purtroppo rinunciare dopo aver scandagliato l'ambiente ed essersi fatto una prima idea - in fondo ci vuole poco - del loro livello di preparazione. Se l'esame dura molto infatti - e a Laces come di consueto il maestro ha voluto che fosse parte integrante delle lezioni e non solamente un momento separato - non è tanto per permettere all'esaminatore di rendersi conto del livello raggiunto dai candidati, ma per permettere a questi ultimi una piena consapevolezza di quanto raggiunto ma soprattutto di quanto ancora manca, se qualcosa manca loro. E nel corso della vita, lo dimostrano gli interminabili esami, qualcosa ci manca sempre per arrivare non diciamo alla perfezione ma perlomeno ad un senso di compiutezza.
Fujimoto sensei ha tenuto a precisare nel corso delle sue numerose quanto piacevoli digressioni che il difficile compito dell'esaminatore, mai esente da errori, viene da lui molto sentito e che non riesce a trovarlo agevole. Ma accetta il dovere di accertare e certificare se il praticante che si presenta davanti a lui sia in condizione di proseguire sul cammino o abbia bisogno di adattamenti, di integrazioni, di correzioni. E' questo fondamentalmente che il praticante gli chiede, ne sia consapevole o meno. Una risposta franca e trasparente è doverosa: lasciar continuare chi si trova sul percorso sbagliato, o non possiede l'attrezzatura necessaria per salire di livello, andrebbe contro il suo stesso interesse.
Nel corso del raduno è capitato sovente allo scrivente di confabulare con il maestro, sia con l'aria assorta di chi sta riflettendo sui massimi sistemi dell'universo sia con quella spensierata di chi sta semplicemente scambiando delle impressioni - apparentemente futili ma ricche di sapore - con un amico di vecchia data.
É certamente passata molta acqua sotto i ponti da quando il maestro ed io eravamo tra i più giovani "addetti ai lavori", adesso che lo siamo un po' di meno, e ci troviamo anzi ad essere spesso i soli a ricordare "quei tempi" il piacere di essere ancora assieme, a fare le stesse identiche cose e con lo stesso identico senso di gradevole tentativo di adempimento ai propri compiti diventa a volte incontenibile ed ha bisogno di essere esternato. O perlomeno non celato.
Questi colloqui, che erano a tutti visibili, ed i frequenti richiami del maestro ad esperienze passate di cui mi citava come attendibile testimone, hanno probabilmente sovrapposto alla mia modesta persona l'immagine di qualcuno che sia addentro ai segreti delle celesti sfere, con cui ci si possa di conseguenza aprire, confidare, alla ricerca di una risposta che è rimasta celata nonostante ogni ricerca.
Non è certamente così, il sottoscritto non possiede le chiavi del paradiso - e neppure quelle dell'inferno - ma non sarebbe giusto disattendere chi mostra fiducia nella propria persona, sarà quindi doveroso che io proponga delle ipotesi, nulla più, di risposta a queste domande.
Non potrò naturalmente rispondere o tentare di rispondere a tutto ed a tutti, ma voglio proporre alcuni "casi" clinici che trovo particolarmente significativi. Vorrei prima ricordare però, e la bella intervista rilasciata in Svizzera dal maestro alcuni anni fa lo spiegherà meglio di ogni mio lungo discorso, che lo studio e a pratica dell'aikido richiedono dedizione ed umiltà, e la rinuncia ad ogni forma di esibizionismo e spettacolo: si rende palese sul tatami, che ci si trovi nel corso di una lezione, di un esame e perfino di un embukai, quanto si è raggiunto. Nulla di più.
Fujimoto sensei non ha lasciato che alcuno dei partecipanti al raduno si sottraesse ad un intenso approfondimento: specialmente gli insegnanti.
Spesso sono stati chiamati anche loro a mostrare le esecuzioni di una tecnica o di un semplice ahisabaki, e ogni errore, ogni semplice imperfezione, è stata messa in evidenza.
Talvolta sono stati chiamati invece i loro allievi - che chiaramente presentavano i medesimi vizi formali e sostanziali - invitando il responsabile di dojo a identificare i problemi e correggerli sul momento.
Tra gli insegnanti chiamati alla prova, che hanno trovato tutti difficoltà ad adeguarsi alle richieste del maestro, uno in particolare è sembrato a volte perdersi un po' d'animo, considerarsi 'bocciato'. Grande è stata la sua sorpresa quando invece è apparso il suo nome nel quadro delle nomine apparso alla fine del raduno, e me ne ha chiesto la ragione.
Non posso certamente sostituirmi al maestro, posso solamente azzardare una ipotesi. Nel confermare che non si è trattato di una sorpresa, ero al corrente delle intenzioni del maestro, ipotizzerei che si sia trattato di un memento. Un ammonimento ad evitare cali di attenzione, di concentrazione, di tensione interiore - pur mantenendo adattabilità e rilassatezza mentale - nell'occasione in cui il conferimento di un grado superiore può dare invece una pericolosa sensazione di appagamento.
Un altro praticante, presentata la candidatura per la promozione ad un grado impegnativo, ha ugualmente avuto problemi a mostrare in pubblico una corretta esecuzione degli ashisabaki così come prescritti dal maestro, che chiamava avanti gli yudansha invitando i mudansha (gradi kyu) ad osservare.
Dopo avere finalmente memorizzato la corretta procedura, nel corso dell'esame è caduto di nuovo nello stesso errore, senza essere più in grado di correggersi anzi andando sempre più in confusione di fronte agli inflessibili richiami di Fujimoto sensei.
La sua autofiducia ne è stata incrinata, e la prosecuzione stessa dell'esame da lui messa con me in discussione. É indubbio che si sarebbe trattato di un errore, ma non è facile accertarlo ed accettarlo quando ci si trova nell'occhio del ciclone. Dobbiamo ammettere serenamente la possibilità dell'errore, e voglio qui ricordare quando citava il maestro Hosokawa a proposito di una delle sue maggiori figure di riferimento, il maestro di spada Nakayama Hakudo. Ogni mattina, sul levare del sole, eseguiva la serie completa dei kata: omori, chuden ed okuden. E sosteneva di non essere mai riuscito nel corso della sua vita, ad eseguirli correttamente. Il nostro candidato è stato quindi invitato a rialzarsi prontamente dalla sua caduta, a risalire immediatamente sul "cavallo" e riprendere il percorso. L'esame ha avuto esito positivo.
Un terzo candidato era molto giovane. Fujimoto sensei ha espresso perplessità sulla opportunità di ammetterlo all'esame e ha chiesto il ritiro della candidatura. Al termine del raduno il ragazzo, visibilmente emozionato, si è recato a salutare il maestro Fujimoto e poi - sorpresa - il sottoscritto.
Essendo stato informato del 'caso' e delle motivazioni che lo hanno portato ad essere tale, ho ritenuto doveroso trasmetterle, così come erano state comunicate a me. É umano e comprensibile che i giovani, le persone che sono maggiormente ricche dell'elemento più prezioso della vita umana - il tempo - abbiano al contrario la sensazione di non poter attendere, di dover fare tutto e subito.
Il maestro Fujimoto tuttavia, che ha in continuazione rammentato l'esigenza rigorosa di pensare ai giovani, di lasciare spazio ai giovani, ritiene che ad essi si debba richiedere un approfondito lavoro di base prima di lasciarli proseguire. Senza delle solide fondamenta si troveranno con gli anni a dover arrestare il loro cammino, a tornare indietro, forse a distruggere quanto già fatto e ricominciare daccapo.
Per quel ragazzo il maestro sperava un cammino lungo e positivo, e per questa ragione, non a scopo punitivo o in conseguenza di qualche errore di impostazione o di esecuzione, gli chiedeva di attendere. L'ho visto rasserenato dopo avere ascoltato questa breve spiegazione. Ne sono felice.
Un quarto ed ultimo candidato apparteneva al dojo del maestro. Che anche tra i suoi allievi più stretti ha dovuto accettare la necessità di giudizi negativi, che aveva sperato di non dover prendere in considerazioe. Ha spiegato ai praticanti che questo gli sarebbe forse costato la fiducia delle persone arrestate nel loro cammino, che forse le avrebbe perse. Ma accettava questo rischio, sperando tuttavia di mantenerne almeno uno. Che ha indicato a tutti, chiedendogli di impegnarsi a continuare, nonostante tutto.
Si tratta di una persona non giovane, che è ritornato all'aikido dopo un intervallo di molti, molti anni. E che effettivamente non è stato immediatamente in grado di accettare con serenità il giudizio, pur aderendo alla richiesta del maestro di non mollare.
Abbiamo voluto parlarne assieme. La mia opinione, su cui ho voluto insistere, è che Fujimoto sensei lo abbia ritenuto in grado di dare - e quindi di darsi - di più. Non si doveva accontentare, non doveva pensare di non essere in grado di dare nulla di più. Se avesse già raggiunto il suo limite allora non ci sarebbe stata ragione di ammonirlo, e certamente avrebbe avuto il suo grado, la sua 'medaglietta' per usare il termine scelto dal maestro.
Ma non si deve contentare di una medaglietta. Anche per lui - da lui - il maestro si attende di più. Gli dò appuntamento ai prossimi raduni: voglio ancora praticare con lui. E, naturalmente, anche con gli altri che sono stati richiamati e corretti nel corso del loro cammino.
E, in quanto a voi che leggete: scusatemi per il fuori programma, e buon keiko anche a voi.