Testi

Yamamoto Tsunetomo: Hagakure

Hagakure
Il libro segreto dei samurai
Oscar Mondandori. 2001

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Passano gli anni, ma le cose non sembrano cambiare. Se è vero, e lo è, che l'Hagakure può racchiudere i segreti della cultura samurai, è altrettanto vero che di questo passo sono destinati a rimanere segreti: stiamo parlando infatti di un testo composto di 11 corposi capitoli e una introduzione (Conversazione leggera nell'oscurità della notte, talvolta messa alla fine), ridotto in questa edizione ma anche in tutte le altre in maniera inaccettabile.

Le scarne 180 pagine circa riservate al testo, in formato ovviamente tascabile come è tipico della collana Oscar, sono svogliatamente riempite nel modo che vedete. Sarebbe molto più corretto indicare chiaramente che si tratta di una selezione di brani e non dell'edizione integrale.

E' comunque un bene che perlomeno si sia preferito tradurre dal giapponese piuttosto che ritradurre di nuovo una versione inglese o francese, come si era fatto fin troppo spesso in passato, ma siamo ancora molto molto lontani dal poter essere soddisfatti.

L'Hagakure viene attribuito a Tsunetomo Yamamoto (1659-1719), samurai di alto rango del feudo di Saga (nella antica provincia di Hizen, nell'estremo sud del Giappone). In realtà venne redatto da Tashiro Tsuramoto, suo discepolo, che ne trascrisse le conversazioni tenute presso il monastero di Kurotsuchibaru ove Tsunetomo si era ritirato prendendo il nome di Jochô Yamamoto.

Il ritiro dalla vita mondana di Yamamoto fu dovuto alla morte del suo signore Nabeshime Mitsushige (1632-1700) che interdisse formalmente ai suoi fedeli di seguirlo nella morte col suicidio rituale (jushi).

Fu solo negli ultimi anni di vita che Yamamoto iniziò a esporre in una serie di conversazioni i precetti morali trasmessigli da alcuni personaggi chiave della sua vita, come il monaco Tannen e il consigliere militare Ishida Ittei ma soprattutto dai signori della dinastia Nabeshima: Naoshige (1537-1619), famoso quanto valoroso generale vissuto in un'epoca sanguinaria, che con una sanguinaria incursione notturna guidò 4000 samurai a distruggere l'esercito degli Otomo forte di 60000 soldati, il figlio Katsuhige (1580-1657) ed infine il nipote Mitsushige, cui toccò in sorte di governare sul nascere della "pax Tokugawa" che pose fine per oltre 200 anni alle lotte intestine.

Come si vede quindi ci troviamo di fronte ad un'opera che cela molto di più di quanto possa sembrare ad un esame superficiale, e non pensata per la pubblicazione che anzi Tsunetomo aveva proibito: rimase retaggio esclusivo della famiglia Nabeshima fino all'inizio dell'epoca Meiji (1868), ma fu pubblicato solo all'inizio del 1900 divenendo immediatamente una delle opere più conosciute - e controverse - della cultura samurai. Il titolo completo, Hagakure Kikigaki Koho, in cui ha significa foglia e kure dal verbo kakureru nascosto, vuole significare Insegnamenti nascosti tra le foglie, ossia raccolti oralmente, ma anche nascosti dietro una diversa apparenza. Che non è facile decifrare anche perché esistono 4 divergenti trascrizioni dell'Hagakure dal giapponese antico a quello moderno.

Quello che colpisce alla lettura è l'apparente semplicità, diremmo quasi banalità, di molti precetti, che sembrano ispirati più da un solido buon senso, quasi quello di un contadino legato ai problemi pratici più che alle speculazioni fisolofiche, che preferisce oltrepassare richiamandosi piuttosto a pochi quanto saldi principi. Eppure sappiamo bene come nelle situazioni di conflitto, nei momenti in cui si è veramente messi alla prova, non è importante fare cose straordinarie, è anzi essenziale mantenere la presenza a se stessi e fare quello semplicemente quello che ci siamo preparati a fare nel corso della nostra vita "normale"

Come di consueto, per una una migliore valutazione dell'opera, è bene citarne alcuni brani. Abbiamo scelto uno che per quanto sia solo il secondo del libro meriterebbe di esserne l'incipit.

Ho scoperto che la via del samurai è la morte (1). Quando sopraggiunge una crisi, davanti al dilemma fra la vita e la morte, è necessario scegliere subito la seconda. Non è difficile: basta semplicemente armarsi di coraggio e agire. Alcuni dicono che morire senza aver portato a termine la propria missione equivale a morire invano. Questa è una logica dei mercanti gonfi di orgoglio che tiranneggiano Osaka ed è solo un calcolo fallace, un'imitazione grottesca dell'etica del samurai.

E' quasi impossibile compiere una scelta ponderata in una situazione in cui le possibilità di vita e di morte si equivalgono. Noi tutti amiamo la vita ed è naturale che troviamo sempre delle buone ragioni per continuare a vivere. Colui che sceglie di farlo, pur avendo fallito nel suo scopo, incorre nel disprezzo ed è al tempo stesso un vigliacco ed un perdente. Chi muore senza avere portato a termine la sua missione muore da fanatico, in modo vano, ma non disonorevole. Questa è la via del samurai.

L'essenza del bushidô è prepararsi alla morte, mattina e sera, in ogni momento della giornata. Quando un samurai è sempre pronto a morire, padroneggia la via.

(1) in altre edizioni si legge "risiede nella morte"; si potrebbe pensare che sia una differenza da poco, ma a noi non sembra così.


 

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