Classici

I classici della letteratura giapponese suonano familiari a molti (il Kojiki, il Genji Monogatari) ma sono pochi quelli che hanno avuto occasione di leggerli essendo rare le traduzioni nella nostra lingua, spesso di seconda mano in quanto ricavate dalle edizioni inglesi o francesi, e spesso pesantemente condensate.

Quindi non sempre sarà possibile proporre opere nelle loro versioni integrali, ma per fortuna qualcosa sta cambiando anche qui, l'offerta si fa interessante. Dovremo ancora spesso ricorrere ad edizioni inglesi o francesi, e l'impegno richiesto per accostarsi a questi classici non è dappoco.

Dovrete avere ancora un po' di pazienza per vedere questa sezione popolata di titoli; ma abbiate anche fiducia!

 

Kikuchi Yosai (1781-1878): Murasaki Shikibu, autrice del Genji Monogatari

Kojiki: il racconto degli antichi eventi

Kojiki: Un racconto di antichi eventi
Marsilio, 2006

 

Sul finire del VII secolo l'imperatore Tenmu affidò al nobile Yasumaro la raccolta e la revisione dei documenti in cui era tramandata la storia del Giappone e della famiglia imperiale. Non è possibile avere ulteriori informazioni su questi testi, sicuramente redatti in lingua cinese poiché non esisteva in Giappone un sistema di scrittura. L'opera di redazione si avvalse della consulenza del cortigiano Are, sicuramente dotato di grandi capacità mnemoniche e che si dedicò alla raccolta dei racconti affidati esclusivamente alla tradizione orale.

Dopo un periodo di interruzione durato alcuni decenni, dovuto presumibilmente alle incerte vicende della successione al trono, il lavoro venne ripreso su ordine della imperatrice Genmei alcuni decenni dopo, nel quarto anno dell'era Wado ossia intorno al 711 a.D., e redatto in lingua giapponese costituendo il primo testo in assoluto in questa lingua.

I problemi di interpretazione del testo sono molteplici: nel corso dell'opera vengono utilizzati principalmente due differenti metodi di redazione. Il primo adotta nella scrittura ideogrammi cinesi di significato corrispondente ai termini giapponese, lasciando irrisolto il problema della loro pronuncia. Nel corso del tempo infattii alcuni ideogrammi adottarono la pronuncia giapponese, altri la cinese, altri ancora conservarono entrambe le possibilità. Il secondo sistema si rendeva necessario per la trascrizione dei poemi e delle canzoni, in cui la pronuncia non era modificabile: vennero utilizzati, astraendo dal loro significato, ideogrammi cinesi dallo stesso suono. Lo stesso Yasumaro riconosce che questo metodo appesantisce notevolmente il testo: gli ideogrammi cinesi hanno suono sillabico pur racchiudendo generalmente il significato di una intera parola di senso compiuto, quindi laddove un testo cinese utilizzerebbe un singolo ideogramma la traduzione fonetica in giapponese ne richiede due, tre o più.

Strutturalmente l'opera tratta di tre distinte tematiche: l'era degli dei, che corrisponde alla nascita del Giappone, quella degli eroi sovrumani e leggendari, e quella più propriamente storica che si prolunga fino ai tempi dell'imperatore Jomei, padre di Tenmu, rinunciando evidentemente a trattare i casi del "presente".

Come spesso succede per i testi che trattano delle origini, paradossalmente la parte che ci fornisce le maggiori informazioni non è quella storica ma quella che tratta della cosmogonia, degli dei e degli eroi leggendari perché ci restituisce una immagine fedele della psicologia, della filosofia e della teologia di un popolo, dei suoi principi morali e delle linee guida della sua condotta. Le opere di tipo annalistico tipiche dei  primi stadi di ogni cultura lasciano invece solo aridi elenchi di nomi e di fatti, completamente avulsi dal loro contesto.

Per dare un termine di paragone basti paragonare i libri Ab urbe condita dello storico Tito Livio, che trattano agli inizi dell'era volgare la storia di Roma. Livio dimostra nel corso della sua opera di essere uno storico non solo accurato e scientifico, rivalutato dalle recenti scoperte archeologiche che hanno superando definitivamente le obiezioni dei critici del tardo ottocento, ma anche ispirato e capace di leggere tra le righe della storia. Eppure le sue cronache dell'epoca protostorica non possono avere alcun valore documentale: dei discendenti di Enea, la cui dinastia portò alla nascita di Roma, non può darci che un monotono elenco, prevenendo il lettore della impossibilità di dire alcunché di definitivo su epoche talmente lontane.

Quindi del Kojiki è interessante studiare soprattutto la prima parte, quella mitica, non dissimile nei concetti da analoghe cosmogonie di altre culture, per noi occidentali soprattutto quella del greco Esiodo, che ebbe notevoli e durature ripercussioni ed infliuenze non solo sulla religione ma anche come abbiamo detto sulla morale e sullo stile di vita del Giappone tradizionale. Così la introduce Yasumaro:

Ci fu un tempo confuso in cui qualcosa iniziò  a prendere una consistenza, ma ancora così indistinta, anonima, e inerte, che nessuno potrebbe descriverla. Poi il cielo e la terra si cominciarono a separare e primi a generarsi furono tre esseri misteriosi. Apparve la distinzione fra femmina e maschio e una sacra coppia generò una moltitudine di creature. Dopo la visita al regno invisibile il sole e la luna spuntarono dal lavacro degli occhi e vari esseri sacri spuntarono da abluzioni nell'acqua del mare. Le primissime origini rimangono dunque oscure ma insegnamenti antichi ci parlano di quando nacquero terre e isole e i sapienti del passato ci illuminano sulla nascita degli esseri sommi e degli uomini. Così sappiamo dello specchio che venne appeso, delle gemme sputate fuori da cui iniziò il succedersi di centinaia di principi, della spada masticata e dell'uccisione del drago, della presenza di miriadi di esseri sacri, del regno placato grazie alle loro decisioni presso il quieto fiume del cielo e alla sfida sulla spiaggia.

Prosegue dopo, ed è inevitabile l'ennesimo parallelo con analoghe affermazioni leggibili nelle prime opere storiche della nostra civiltà, con quanto ordinatogli dal principe Tenmu:

"Ho saputo che gli annali dinastici e le antichissime storie in possesso delle varie famiglie non sono più conformi a verità. Molte falsità vi si sono accumulate. Se gli errori non vengono corretti subito rovineranno ben presto il significato dei testi che trasmettono i principi fondamentali del nostro regno. Sarà bene dunque rivedere gli annali dinastici e controllare le storie antiche per eliminare gli errori e stabilire la verità da trasmettere ai posteri."

Terminata l'introduzione, in cui fa menzione della funzione di archivio vivente affidata al giovane Are della famiglia Hiyeda, "capace di leggere a prima vista [cosa evidentemente fuori dell'ordinario n.d.r.] e di tenere a mente anche il minimo fruscio", Yasumaro inizia la narrazione della nascita del Giappone e poi della famiglia imperiale.

Furono all'inizio tre esseri misteriosi, solitari ed invisibili a spuntare nelle pianure del sommo cielo, fra terre informi "come grasso sull'acqua e alla deriva come meduse": Amenominakanushi, Takamimusuhi e Kamumusuhi. Da loro nacquero sette generazioni divine, fino ad arrivare a quella cui appartennero il dio Izanaki e la dea Izanami. La loro unione fu dapprima infelice, avendo violato le regole protocollari nel loro primo incontro, e diedero vita ad un bambino deforme, che venne abbandonato all corrente del fiume su un battello di giunchi, e un'isola senza forma. Eseguendo il corretto protocollo si unirono di nuovo e generarono otto isole tra cui quella di Yamato "grande e dalle ricche messi, che chiamiamo anche il principe degli opulenti e celestiali autunni": dopo aver generato le principali otto isole del Giappone vennero in seguito alla luce sei isole minori; ma era venuto oramai iltempo di generare dopo le terre anche degli esseri sacri che le popolassero.

Izanami partorì 35 esseri sacri prima di morire dando alla luce il dio del fuoco Yagihayawo, noto anche come Kagutsuchi. Izanaki in preda all'ira estrasse la spada chiamata Ame no wohabari o Itsu no wohabari "lunga una decina di spanne", descrizione stereotipa che troveremo spesso nel Kojiki, ed uccise Kagutsuchi. Dal sangue caduto sulle rocce, da quello rimasto sulla lama e dal corpo del dio Kagutsuchi nacquero numerosi altri esseri sacri.

Il mito prosegue dopo la morte della dea Izanami con la discesa agli inferi di Izanaki alla ricerca della sua sposa celeste, un episodio che richiama inevitabilmente alla mente analoghe discese agli inferi della mitologia greca, primo fra tutti il mito immortale di Orfeo ed Euridice. Anche Izanaki deve sottostare ad una condizione per poter riportare la sposa nel mondo dei vivi, quella di non guardarla per nessuna ragione, ma anche Izanaki fallirà. Izanami rimarrà la dea delle acque ocra, la dea delle potenze infere, ed ogni giorno strapperà alla vita 1000 uomini, ma Izanami ne farà venire alla luce 1500 e così la stirpe degli uomini si accrescerà.

Dalla purificazione rituale di Izanami al ritorno dal suo viaggio tra le potenze sotterranee nacquero altri dei, tra cui Amaterasu "grande sovrana e sacra"  e Susanowo "maestoso, rude e svelto", dalla cui mistica unione discenderebbero i primi principi del Giappone e la famiglia imperiale. Anche l'unione tra Susanowo ed Amaterasu fu contrastata, rappresentando in questo modo le varie energie divergenti, che attraverso momenti di conflitto ed altri di convergenza danno origine a tutte le cose del creato. Non mancano numerose altre "avventure" erotiche del dio Susanowo nel corso delle sue imprese, da cui nacquero dei ed eroi. Naturalmente questi miti non vanno interpretati alla lettera e racchiudono in se profondi significati simbolici, che purtroppo spesso a noi sfuggono e che ci aiuterebbero altrimenti a conoscere e prevedere gli esiti dell'incontro di energie differenti.

In questo ciclo di leggende sulle gesta di Susanowo e Amaterasu si innesta la creazione dei tre oggetti sacri della famiglia imperiale: Kusanagi, la grande spada falcia erba che Susanowo rinvenne nela coda del drago ad otto teste per poi farne dono ad Amaterasu, lo specchio Yata no Kagami ed il gioiello Yasakani no Magatami utilizzati dalla dea Ama no Uzume per attirare Amaterasu, dea del sole, dalla caverna in cui si era ritirata per un dissidio con Susanowo lasciando il mondo nelle tenebre. L'eroe Ninigi no Mikoto discendente di Amaterasu portò con se questi oggetti nella sua spedizione per pacificare il Giappone. Dal primo imperatore Jimnu i tre oggetti sacri che non possono essere visti da altri occhi, vennero trasmessi ai discendenti.

Terminata la parte leggendaria dell'opera, come si è detto inizia quella protostorica che preferiamo lasciare fuori da questa prima analisi in quanto di difficile fruibilità per il lettore medio occidentale.

Nihon Ryôiki. Cronache soprannaturali e straordinarie del Giappone

Kyôkai: Nihon Ryôiki

Cronache soprannaturali e straordinarie del Giappone

Carocci, 2010

Con il contributo della Japan Foundation

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Durante il regno di Kanmu (737-806), il quarto giorno del nono mese del sesto anno Enryaku (788), il monaco Kyôkai turbato dalla realizzazione della sua incapacità di liberarsi dal fiume delle passioni e delle sofferenze umane, ha un sogno rivelatore.

Un monaco mendicante apparsogli nel sogno gli suggerisce di copiare un libro sacro, Passi fondamentali di tutti i Sutra, fornendogli la carta necessaria in quanto ne è sprovvisto. Sia pure incerto sul vero significato di quanto gli è apparso in sogno, Kyôkai ipotizza che ogni avvenimento abbia dei segni premonitori. L'essere umano ha quindi bisogno di osservare attentamente ogni fatto per decifrarne utili indicazioni per il futuro.

Nasce da questa sua ipotesi il Nihon Ryôiki, una raccolta di 116 brevissimi racconti allegorici a sfondo morale, esplicitamente richiamato dall'autore al termine di ognuno di essi. Composto di 3 volumi, il testo si chiude con il titolo per esteso e la firma dell'autore:
Nihonkoku genpô zen'aku ryôiki
Cronache soprannaturali e straordinarie del Giappone sulla retribuzione in vita per il bene o il male commessi
Scritto da Kyôkai, quarto rango ecclesiastico della Trasmissione della Luce, monaco del monastero Yakushi, sezione occidentale di Nara
Viene tradotto in italiano per la prima volta.
Il genere anedottico, più o meno legato a fini di ammonimento a perseguire la retta via, è fiorito praticamente in tutte le civiltà classiche. Basti ricordare per quella latina gli esempi maggiormente noti tra quelli fino a noi pervenuti, i Detti e fatti memorabili di Valerio Massimo, Le notti attiche di Aulo Gellio o, purtroppo gravemente mutilo, Le vite dei massimi condottieri di Cornelio Nepote.
In Giappone questo genere letterario prende vita all'inizio dell'VIII secolo e rimane fiorente per circa cinque secoli. Il primo esempio noto è proprio il Nihon Ryôiki, scritto in lingua cinese si pensa tra l'810 e l'823, e più tardi tradotto o adattato in giapponese per inserirne dei brani in opere posteriori. Essendo l'autore un ecclesiastico non occorre stupirsi più di tanto della insistenza degli ammonimenti morali, una costante nell'opera.
E, come per tutti i libri del genere, molti lettori si interrogano tanto sulla veridicità degli avvenimenti narrati quanto sulla verosimiglianza dei significati profetici o semplicemente morali loro attribuiti. Probabilmente non va ricercato là il valore di questi testi, che rimane immenso.
Non ha soverchia importanza conoscere se questi fatti siano effettivamente avvenuti: anche se frutto di immaginazione, quella cultura li ha ritenuti importanti, li ha additati come esempio, ha fatto in modo che la loro fama valicasse i millenni. Non dobbiamo quindi investigare in ogni singolo avvenimento quale sia stato il vero atteggiamento mentale dei protagonisti, ma piuttosto l'atteggiamento mentale dello scrittore che li ha selezionati e dei lettori che vi si sono accostati nel corso dei secoli.

Monaco buddista, Kyôkai scrive nel momento storico in cui il buddismo, arrivato già nei secoli precedenti attraverso i viaggi in Giappone di numerosi mistici cinesi e coreani, comincia ad affermarsi fino a divenire elemento fondamentale della cultura giapponese, convivendo ed integrandosi con la cultura shinto autoctona fino a costituirne secondo il pensiero di autorevoli commentatori la seconda faccia di un'unica medaglia.

In principio, i sutra buddhisti e i testi cinesi sono entrati in Giappone in due periodi, entrambe le volte portati per nave dal regno coreano di Baekje. I testi cinesi sono arrivati al tempo di sua altezza Homuda,che regnò dalla reggia di Toyoakira a Karushima. Le sacre scritture sono arrivate al tempo di sua altezza Kinmei, che governò dalla reggia Kanazashi a Shikishima. Tuttavia, coloro che studiano i classici disprezzano la Legge buddhista e coloro che leggono i sutra trascurano i classici. Gli stolti sono vinti dal dubbio e non credono al principio di retribuzione dei meriti. I saggi, invece, studiano i sutra e i classici e credono nella legge di causa ed effetto.

Questa è la tesi che Kyôkai va a dimostrare nel seguito con il suo lungo elenco di racconti, comunque come già detto brevi. Il libro ha poco più di 200 pagine ed è di piccolo formato. Umili popolani, ecclesiastici, dignitari e principi vi ottengono spesso immediatamente, ma talvolta anche nella successiva reincarnazione, il giusto ritorno delle loro azioni: una ricompensa od una punizione.

Appare talvolta sproporzionato il rapporto tra le singole azioni e le pesanti ritorsioni del fato, ma è una caratteristica che ritroviamo in ogni cultura quando i testi proponendosi di fornire al lettore esortazioni a seguire la retta via tendono spesso a calcare la mano.

E' tuttavia presente in Kyôkai una tendenza, lieve ma percettibile, a temperare con uno strato di umana tolleranza e sensibilità anche le sentenze della morale corrente.

Nel secondo racconto ad esempio troviamo un uomo che Prende in moglie una volpe e ne ha un figlio. Nella mitologia giapponese la volpe rappresenta delle forze non necessariamente malefiche ma sicuramente dominate da metodica comportamentali non accettabili e forse non comprensibili per l'essere umano. Sono frequentissime le storie in cui una volpe si impossessa di una donna per i suoi fini, trasformandola in un demonio, o si incarna addirittura nelle sembianze di una donna.

Un uomo della provincia di Mino messosi in viaggio in cerca di una moglie incontrò lungo il cammino una ragazza "bella e civettuola" e la prese immediatamente come sua compagna. Dopo qualche tempo alla coppia nacque un figlio, e qualche tempo dopo ancora nacque un cucciolo alla cagna di casa, che si dimostrò sempre ostile nei confronti della donna. Ella spaventata chiese di sopprimerlo; ma il marito si era affezionato al cucciolo e non volle accontentarla.

Durante la festa del nuovo anno però il cane si avventò contro la donna, che per la sorpresa e lo spavento si rifugiò nella stia dei polli trasformandosi in volpe. L'uomo, memore del loro amore e del figlio avutone, chiese allo spirito indemoniato di rimanere assieme ancora una notte. La donna volpe acconsentì, presentandosi all'uomo da cui stava per separarsi con uno splendido vestito bordato di rosso. Alla mattina, scomparve  per sempre.

L'uomo compose questi versi in suo ricordo:

Sono schiavo d'amore

per causa tua.

Mi sei apparsa per un istante,

come luce che si sprigiona da un gioiello,

e sei andata via.

Il figlio della coppia, Kitsune, dotato di forza e velocità leggendarie, divenne il capostipite della famiglia Kitsune no Atae di Mino.

Nihongi: dalla preistoria alla protostoria del Giappone

Nihongi
Chronicles of Japan from the Earliest Times to a.d. 697
Translated from the original Chinese and Japanese by W.G. Aston
Tuttle Publishing, 1972

 

Il Nihon Shoki (日本 書紀) o Nihongi (日本 紀), termini che si possono tradurre entrambi come Cronache del Giappone, costituisce assieme al Kojiki un complesso - cui si usa dare il nome di Kiki - che raccoglie le prime informazioni scritte sulla storia del Giappone. Entrambe le opere risalgono grossomodo al VII-VIII secolo d.C., ma presentano alcune importanti differenze.

Innanzitutto, dal punto di vista letterario va detto che il Kojiki è stato il primo tentativo di tramandare i fatti del Giappone utilizzando la lingua autoctona, per quanto utilizzando gli ideogrammi cinesi in quanto il giapponese era un idioma esclusivamente orale. Il Nihongi è invece interamente scritto in cinese, e numerose note furono accluse per aiutare il lettore giapponese dell'epoca nel percorso di lettura.

E' firmato dal principe Toneri, che dichiara di avere agito dietro ordine dell'imperatore completando intorno all' anno 720 trenta volumi ed un allegato, andato perduto, dedicato alla genealogia. Si pensa che si sia servito come fonti di opere più antiche perite in un incendio, due compilate dal principe Shotoku e che avevano il titolo di Tennoki e Kokki, ed il Soga no Umako. Nonché, quasi sicuramente, di tradizioni orali raccolte negli ambienti di corte e di di contributi esperti di lingua madre cinese, secondo le attendibili ipotesi avanzate dagli studiosi esaminando il linguaggio utilizzato nei differenti volumi.

Analogamente al Kojiki anche il Nihongi può essere diviso in un prima parte in cui si narrano le vicende degli dei ed una seconda, molto più cospicua, che raccoglie le tesimonianze sugli imperatori succedutisi a memoria d'uomo, dal mitico Jimmu fino all'imperatrice Jito.

Come per la maggior parte delle opere analoghe, basti pensare ai personaggi pluricentenari della Bibbia o ai sette re di Roma, gli studiosi rimangono molto dubbiosi sulla cronologia e tendono a ipotizzare che le durate delle vite o dei regni siano state dilatate. Per coprire in qualche modo periodi oscuri di cui poco o nulla si sapeva, o per retrodatare gli avvenimenti onde conferire loro un'aurea di lontananza temporale che li trasportasse ai confini del mito mantenendo una apparenza di cronaca.

Si pensa anche che alcuni leggendari imperatori di cui vengono riportate scarsissime notizie siano stati introdotti di sana pianta allo stesso scopo: una retrodatazione delle origini della dinastia imperiale, e dell' etnia autoctona, per nobilitare entrambe. Tornando a cercare analogie con la nostra storia potremmo parlare dei mitici re di Albalonga elencati nelle Origini del popolo romano di autore anonimo: un lungo elenco di nomi senza alcuna informazione rilevante, che alcuni studiosi pensano siano stati intercalati sul finire del I secolo a. C. per coprire esattamente il periodo ricorrente dall'arrivo di Enea nel Lazio alla fondazione di Roma, calcolando convenzionalmente in 25 anni, corrispondenti grossomodo ad una generazione umana, il periodo di ogni regno.

Sappiamo che le più recenti scoperte archeologiche hanno invece confermato non solo che i miti legati alla origine di Roma sono molto più antichi, ma che non poche delle saghe tramandate - ad esempio la dominazione o perlomeno la forte presenza etrusca nella roma primordiale, trovano riscontri inaspettati da nuove indagini che oltrepassano gli strati superficiali ove si erano fermati quasi sempre gli archeologi dell'800.

Anche nulla ci autorizza al momento a pensare che ci siano situazioni analoghe nella storia del Giappone, è certo tuttavia che se anche il Nihongi fosse semplicemebte una raccolta di leggende senza fondamenti storici sarebbe ugualmente di straordinaio interesse: perché ci rappresenta le origini del Giappone come immaginate e sognate dai giapponesi, e questo ci fornisce informazioni importantissime sulla forma mentis di quella civiltà.

Un'altra importante differenza tra il Kojiki ed il Nihongi è la mole delle due opere: mentre la prima è di dimensioni relativamente ridotte e si può studiare in tempi non troppo dilatati, il Nihongi ha dimensioni ragguardevoli.

Per giunta non è disponibie per quanto ne sappiamo alcuna edizione italiana, e una recensione più approfondita dell'opera - che andrà condotta sulla base del testo inglese - richiederà non poco tempo e forse si rivelerà in definitiva inutile: è possibile od utile ad esempio azzardare un riassunto od una recensione della Bibbia?

 

 

 

 

 

 

 

 

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