Tecnica/Cultura

Programmare l'arte

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Quanto segue non è la risposta ad alcuni articoli recentemente pubblicati che parlano del programma di esami adottato dall'Aikikai d'Italia, ma ne tiene comunque conto. Ne tiene conto perché lì sono state fornite ricostruzioni e spiegazioni che partendo da una mancata conoscenza dei fatti portano a conclusioni incongrue. Ma non vi risponde: perché la nascita di questo articolo e le sue motivazioni seguono una logica diversa: dare semplicemente testimonianza ai praticanti, da parte di testimoni diretti, di quanto avvenuto in passato.

 

 

 

L'esigenza di testimoniare è nata in tempi pressoché coincidenti nell'autore di questo scritto e in Yoji Fujimoto sensei, scomparso il 20 febbraio 2012. E non - o non solamente - perché una infausta diagnosi faceva temere quanto poi sarebbe successo di lì a non molto.

Tento di ricostruire il senso del suo pensiero, difficilmente esprimibile letteralmente poiché le discussioni si sono protratte per diverso tempo, e avremmo desiderato che si prolungassero per sempre, ma hanno seguito perlopiù modalità non facilmente trasmissibili. Furono composte essenzialmente di taciti assensi e di coincidenze ed armonie di stati d'animo, tralasciando tutto quanto potesse dare il sospetto di carta da bollo.

Era ferma convinzione di Fujimoto sensei che il compito dei maestri fosse di accompagnare i loro discepoli lungo la via, per poi farsi da parte al momento opportuno per permettere o addirittura provocare se necessario una ulteriore crescita che non fosse più dipendente da fattori esterni. Nemmeno quelli più graditi o ricercati, come la disponibilità di un maestro che indicasse passo passo la via da seguire.

Questo non significava ovviamente scomparire dalla vita dei propri discepoli, ma disegnare per se stessi un ruolo diverso, forse ancora più importante ma meno legato alla trasmissione materiale di nozioni tecniche. Additava ad esempio il sistema in uso nell'Hombu Dojo, ove gli shihan arrivati ad una determinata età abbandonano gran parte dei loro incarichi e delle loro attribuzioni, divenendo parte di quello che con parole moderne attinte dal mondo degli affari definiremmo un team di consulenti esterni, ma che nel mondo della tradizione chiameremmo Consiglio degli Anziani. Permettono così, e solo così è possibile permettere, la crescita di nuovi shihan che prendano il loro posto nel momento più opportuno per maturare, senza costringerli ad attese controproducenti per volontà di conservare il proprio potere.

Fujimoto sensei, anchegli Hombu Dojo shihan, è giunto in Italia all'età di 23 anni (Hosokawa sensei a 32), e immediatamente ha rivestito ruoli di grande responsabilità. Arrivato non lontano dalla età in cui si rende necessario trasmettere ad altri la propria missione venne dolorosamente colpito dalla vicenda di Hosokawa sensei, costretto come altri insegnanti prima e dopo di lui ad abbandonare in circostanze drammatiche l'insegnamento dell'aikido. Decise allora di programmare la sua successione, e trovandosi all'inizio di uno dei cicli umani settennali descritti dalle tradizioni ancestrali (non solo giapponesi) ne fissò la conclusione per l'inizio del ciclo successivo, non appena superata la fase critica che coincide con la fine di ogni ciclo. Questa sua intenzione di assumere un ruolo diverso, che mi permetto di definire più alto, non era stata compresa da tutti, e ci fu chi pensò trattarsi di un proposito di abbandono. Purtroppo le previsioni più pessimistiche di Fujimoto si dimostrarono pienamente fondate quando gli venne diagnosticata una malattia che lasciava scarsi margini di speranza.

Il nostro riavvicinamento fu di poco anteriore. Non c'era mai stata una separazione volontaria, diciamo che i casi della vita ci avevano portato ad agire su territori differenti, ma in occasione della mia richiesta di un approfondimento sulle modalità di ricezione dei diplomi dell'Hombu Dojo Fujimoto manifestò il piacere di poter parlare di argomenti importanti, da trasmettere ai più giovani, assieme a una persona con cui aveva condiviso gran parte del cammino. Restò tacitamente inteso che ci saremmo cercati più spesso ed avremmo trovato il modo di scambiarci opinioni sul modo migliore per comunicare quanto più possibile di quello che ci era stato insegnato, per poi poter serenamente fare un passo indietro.

Chi lo ha seguito ha sicuramente notato l'intensità con cui Fujimoto ha voluto trasmettere i suoi ultimi insegnamenti, ed alcuni hanno anzi fatto notare - scherzosamente, quasi ad esorcizzare i timori che ognuno nutriva dentro di se -  che se non fosse stato in precarie condizioni di salute nessuno sarebbe tornato vivo dai suoi seminari.

D'altra parte in questi ultimi due anni il tempo era diventato prezioso più dell'oro, sia per chi trasmetteva il sapere sia per chi voleva riceverlo, ma il maestro ha accettato il suo destino con grande serenità, senza nulla celare e continuando incessantemente ad incitare chi gli stava intorno, con la sua ben nota inflessibilità ma anche con grande buonumore e con estremo garbo. I soli momenti in cui mi ha confidato di essere dispiaciuto furono quando veniva colto dal timore che le persone da lui maggiormente spronate e talvolta rimproverate, che erano quelle a cui teneva particolarmente, non comprendessero le sue motivazioni.

Personalmente credo che il comportamento solare del maestro abbia dissipato i dubbi di ognuno, se e quando c'erano.

Ha voluto dare tutto di se stesso fino alla fine. Il suo ultimo seminario si è tenuto nel novembre 2011, e potete leggerne altrove la cronaca.

Ripropongo qui una foto: quella che ferma l'attimo in cui Fujimoto sensei ha dovuto interrompere il suo insegnamento materiale. L'ultima tecnica mostrata, sorridendo come di consueto, durante quell'ultimo seminario.

Va ricordato comunque che anche nel successivo seminario di dicembre, pur impossibiltato a dare lezione e visibilmente sofferente, il maestro ha voluto essere presente sul tatami per consegnare i diplomi di grado dan e sostenere di persona le sessioni di esame.

La mia funzione fu a volte quella di stimolo per il suo insegnamento; talvolta il maestro si riallacciava ai nostri comuni ricordi chiedendomi conferme, precisazioni o pubbliche testimonianze. Talvolta ero io a a richiedere chiarimenti sulle origini- o sulle motivazioni almeno - di questo o quello, a volte ricevetti sue richieste di suggerimenti su come affrontare questo o quell'argomento.

Senza quasi che ce ne accorgessimo, se non dagli sguardi un po' stupiti degli altri, accadde che le sempre più frequenti chiamate mi obbligassero a spostarmi spesso dal lato kamiza, accanto al maestro, per essere sempre a portata di mano. Spero che nessuno se ne sia avuto a male.

Uno degli argomenti che stavano maggiormente a cuore a Fujmoto sensei, e che sento di conseguenza di dover trasmettere anche a chi non ha assistito ai suoi seminari, è quello della nascita del Programma di Esami dell'Aikikai d'Italia.

Non è sicuro che ve ne saranno altri: ove avvertissi il rischio di travisare il pensiero del maestro preferirò piuttosto tacere.

 


Le pagine ormai ingiallite del Programma degli Esami dell'Aikikai d'Italia edizione Novembre 1975, la prima che mi capitò di vedere in quanto mi iscrissi ai corsi di aikido del Dojo Centrale di Roma il 26 ottobre 1974, riportano nella prefazione un succinto riassunto della evoluzione del programma stesso:

La presente è la quarta edizione del programma di esami redatto dal Maestro e Shihan Hiroshi Tada, Direttore Didattico dell'Associazione di Cultura Tradizionale Giapponese.

Le prime edizioni dei programmi di esame del 1964 e 1966 segnarono nel tempo sia le tappe della sempre maggiore diffusione dell'Aikido in Italia, sia il progresso tecnico degli aikidoka.

L'edizione del 1968, che è stata in vigore fino ad oggi, presentò un programma di esami organicamente ristrutturato e tecnicamente completo, la cui validità ha avuto i più ampi e lusinghieri consensi a livello internazionale. Tanto che il predetto programma è stato adottato da numerose Aikikai d'Europa e costituisce, attraverso la linea di pensiero e di studio del Maestro Tada, un legame ideale fra gli aikidoka di altre nazioni.

...

Tali modifiche riguardano principalmente gli esami degli yudansha, perché, proprio quando si è raggiunta una buona conoscenza tecnica dell'Aikido, è necessario completarla con lo studio dell'Aikido nel suo aspetto spirituale senza del quale non è possibile alcune vero progresso sulla "via".

Che il maestro Tada abbia ritenuto gli yudansha italiani ed europei maturi per tale nuovo corso di studi non può che essere motivo di giusta soddisfazione, ma deve essere anche sprone ed incitamento per lo studio futuro.

Va detto immediatamente che questo documento riporta informazioni inesatte, ferma restando la buona fede del compianto Segretario Nazionale dell'epoca, Stefano Serpieri, che deve avere ricevuto informazioni fuorvianti o essere stato tradito dalla memoria. Andando per punti:

  • Essendo il maestro Tada arrivato in Italia nell'ottobre del 1964 appare difficile che già quell'anno fosse pronto e disponibile un programma di esami vero e proprio
  • La fondazione della Accademia Nazionale Italiana di Aikido (prima denominazione dell'associazione) risale al 1970: 6 anni dopo
  • Non ho mai visto alcuna traccia di questa prima edizione nell'archivio dell'Aikikai d'Italia, di cui sono stato depositario dal 1978 per oltre 10 anni, in qualità di collaboratore prima e di Segretario Nazionale poi
  • Non avevo visto alcuna traccia di questa prima edizione nel 1965 quando presidiavo una volta a settimana la segreteria del Ueshiba Morihei Dojo, e nemmeno quando nel 1967 collaborai per alcuni mesi con Tada sensei per mettere il Dojo Centrale di via Eleniana in condizioni di iniziare le attività, trasferendo tra l'altro tutti i suoi incartamenti.

Ove si dimostra che anche i documenti d'epoca possono riportare errori, e che ogni informazione va verificata con cura prima di trovarle posto in un ragionamento globale e proporre di trarne delle conclusioni.

E' probabile che in coincidenza con i primi seminari sul territorio nazionale, che cominciarono ad intensificarsi nel 1968, il maestro Tada distribuisse dei programmi di allenamento, che sfociarono poi in un vero programma di esame, copiati con sistemi artigianali. Non esistevano all'epoca fotocopiatrici e la scarsa tiratura difficilmente avrebbe giustificato l'uso di un ciclostile, il sistema che veniva usato all'epoca per riprodurre dattiloscritti.

Naturalmente la richiesta crebbe immediatamente giustificando qualcosa di più "ufficiale": Questo programma, di cui disponiamo grazie alla cortesia del maestro Nunzio Sabatino risale probabilmente al 1968 (Tada sensei vi risulta ancora 7. dan, venne nominato 8. dan nel 1969). Nell'intestazione non appare l'Aikikai d'Italia, ancora di là da venire, ma un generico Aikido Italiano e alcune perle come shomenuci testimoniano il livello pionieristico di allora, i vistosi errori tipografici il carattere informale del documento sicuramente non sottoposto alla revisione di Tada sensei nonostante la scritta in calce indichi che fu da lui redatto.

Di sicuro l'archivio dell'Aikikai d'Italia custodiva nel 1978 solamente tre edizioni del Programma di Esami. Erano assolutamente identiche come formato e molto simili nelle scritte. Il Programma, chiamato in gergo "il libretto",  era considerato materiale didattico non tassabile ed era quindi in vendita: a 500 lire (25 cent). E assicuro che andava a ruba, si ristampava in media ogni due anni, 

Non ho più alcun esemplare di quella che considero la prima edizione, salvo rinvenirne una copia dimenticata chissà dove. L'ultima la consegnai pochi anni fa a Tada sensei che stava preparando la nuova edizione (2009). La copertina era bianca e non recava indicazioni della data, il programma molto simile a quello del foglio di origine ignota degli anni 60.

La seconda edizione, sempre senza data, ha (aveva, come vedete dalla foto...) la copertina celeste e la scritta Associazione di Cultura Tradizionale Giapponese.

Questo prova che non ci fu una "edizione del 1968, che è stata in vigore fino ad oggi" (Novembre 1975).

Risale infatti a non prima del 1972, anno in cui una proposta di legge suggerita dal Coni (che non venne però mai approvata in parlamento) impose un cambiamento di ragione sociale eliminandone la parola Accademia che doveva diventare prerogativa esclusiva degli enti riconosciuti se non addirittura inglobati nel CONI.

La denominazione precedente, che continuò per qualche tempo ad essere utilizzata in posizioni che non dessero troppo nell'occhio, è visibile nella copertina: Accademia Nazionale Italiana di Aikido.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ad ulteriore conferma consultiamo Aikido 1972 n. 3, dove Giovanni Granone scriveva nell'editoriale intitolato Il colore della cintura in cui parlava di una allarmante sindrome di perdita dell'obiettività che:

... ha subito recentemente alterne fasi di regressione e di recrudescenza, dovute principalmente a due fattori contrastanti ma ugualmente,, anche se in diverso modo, traumatizzanti: la pubblicazione da parte dell'Aikikai d'Italia del nuovo programma di esami che risulta notevolmente ampliato e a prima vista assai più difficoltoso ... nonché la possibilità, recentemente palesatasi, di raggiungere lo scopo al di fuori dell'Aikikai con poco sforzo ed irrisoria facilità.

Ove si dimostra anche che la materia degli esami e dei gradi ha sempre attirato - perlomeno in Italia - discussioni; e grossomodo sempre per le medesime ragioni.

Tentiamo a questo punto di fare una ragionevole ipotesi di ricostruzione delle varie edizioni del Programma di Esami dell'Aikikai d'Italia.

  • La prima edizione. Copertina bianca; risale probabilmente al 1970, anno di fondazione dell'Aikikai, raccogliendo verosimilmente in forma ufficiale quanto fino ad allora distribuito brevi manu da Tada sensei e ristampato informalmente.
  • La seconda edizione. Copertina celeste;  risale indubbiamente al 1972 ed è rimasta in vigore fino al novembre 1975: Ha apportato rispetto alla precedente notevoli ampliamenti e il programma venne ritenuto più difficoltoso.
  • La terza edizione: Copertina gialla: risale al novembre 1975 e nella prefazione si precisa che contiene le modifiche necessarie a sviluppare una più completa ed armonica conoscenza dell'aikido ma anche cheTali modifiche riguardano principalmente gli esami degli yudansha. Su questa edizione e sulle successive non è necessario approfondire.
  • La quarta edizione. Copertina nera: risale al 1986/87, ma pubblicata nel 1988, e la curai di persona, seguendo naturalmente alla lettera le indicazioni dei maestri Hosokawa e Fujimoto con i quali ero in contatto costante, mentre loro riferivano quotidianamente a Tada sensei con la abituale telefonata di mezzanotte dalla segreteria (in coincidenza con le 7 della mattina a Tokyo).
  • La quinta edizione. Copertina bianca con bordo viola, risalente al 2009 e tuttora in vigore, con modifiche alla tempistica introdotte nel settembre 2012. Ma non so nemmeno se sia stata prevista una edizione a stampa: gli interessati, insegnanti e candidati, la scaricano direttamente in pdf dal sito Aikikai. I tempi cambiano...

Torniamo ora a parlare della prima edizione ufficiale, quella per intenderci con la copertina bianca. Fu questa che venne presentata nel 1972 dal maestro Tada agli altri shihan presenti al raduno internazionale estivo, per raccogliere le loro opinioni, osservazioni, proposte.

Fujimoto sensei, da poco arrivato in Italia, era presente e ha voluto prima della sua scomparsa rievocare questo storico episodio. Partecipavano al seminario i maestri Tamura (Francia), Asai (Germania), Chiba (Inghilterra), Kitaura (Spagna). Apprezzarono il testo e decisero di adottare anche loro come programma ufficiale quello che sarebbe uscito fuori dal lavoro di affinamento sul programma dell'Aikikai d'Italia.

Immediatamente dopo venne pubblicata in Italia la nuova versione (celeste) del Programma. Quello di cui abbiamo parlato e che in Aikido 1972 n. 3 veniva definito: "notevolmente ampliato e a prima vista assai più difficoltoso".

Frutto del lavoro del maestro Tada, certamente. Ma anche del lavoro e del parere concorde - potremmo dire unanime - dei maggiori rappresentanti dell'Hombu Dojo in Europa.

Via via altre organizzazioni nazionali riconosciute dall'Hombu Dojo pubblicarono i loro programmi, sempre sulla base di quello italiano. Che fu il primo vero e proprio Programma di Esami di aikido. Il primo al  mondo. E che forse sarebbe più appropriato definire Programma Didattico in quanto l'elenco delle tecniche che si ritengono essenziali per il superamento dei progressivi livelli di apprendimento non esaurisce la sua funzione nel momento dell'esame, ma condiziona ed indirizza quotidianamente il lavoro di ogni insegnante e di ogni praticante. Ed in quanto tale va sottratto, secondo lo scrivente, a discussioni di tipo assembleare e ne va lasciata la responsabilità ad una autorità didattica superiore.

Tornando a questo excursus storico, per vie a me sconosciute - probabilmente Fujimoto sensei ne era al corrente ma non ritenemmo che le modalità di trasmissione avessero importanza quindi non ne parlammo mai - il programma italiano giunse all'Hombu Dojo.

L'ipotesi più verosimile è che il "libretto celeste", o forse il "giallo"  sia stato semplicemente mostrato e messo a disposizione da Tada sensei, che era all'epoca insegnante titolare presso l'Hombu Dojo. L'Hombu, che non aveva mai ritenuto necessario in precedenza dotarsi di un Programma di Esami, decise di adottarlo.

Come si vede è una storia relativamente semplice anche se sorprendente (ma le migliori sorprese sono molto spesso quelle più semplici).

 


 

E veniamo finalmente, ma brevemente, a Lo Strano Caso dell’Invenzione del 6°Kyu. Il titolo corrisponde ad un articolo, non più disponibile all'indirizzo web originario ma forse ancora reperibile in rete.

Vi si chiedeva il perché della invenzione a posteriori da parte dell'Aikikai d'Italia e di una manciata di altre organizzazioni del grado di 6° kyu, il primo degli esami di grado kyu che occorre superare prima di accedere agli esami per i gradi dan. Come è noto infatti i gradi kyu sono a scalare, al contrario di quelli dan, quindi il 6. (o 5.) è il grado iniziale ed il 1. quello finale più elevato

Tale esame non è previsto nel programma originale dell'Hombu Dojo che comincia direttamente dal quinto kyu. Ci troveremmo di fronte a una invenzione definibile come:

l'emblema di un atteggiamento generale diffuso e sistemico. Conseguenza di questo atteggiamento è che per ottenere lo stesso grado Dan, certificato con lo stesso diploma, emesso dallo stesso ente, l’Aikikai Hombu Dojo, italiani, inglesi e americani che lavorano sotto le rispettive organizzazioni nazionali Aikikai riconosciute, devono metterci alcuni anni in più di tutti gli altri. 

Si vorrebbe quindi denunciare l'invenzione, da parte dell'Aikikai d'Italia e di poche altre organizzazioni, di quanto visibile a lato: l'esame di passaggio al 6. kyu, che l'Hombu Dojo non aveva mai previsto, e  che imponeva al praticante 20 ore e due mesi supplementari di pratica prima di raggiungere la cintura nera. Il tutto viene considerato deleterio e frutto solamente dell'atteggiamento diffuso e sistematico di cui sopra.

Come detto non ho intenzione di contestare queste affermazioni:  non esistendo il fatto concreto cui si vorrebbero appoggiare cade anzi non è mai esistita la necessità di contestarle anzi nemmeno di discuterne. 

Chiunque potrebbe verificare in pochi attimi tornando alla pagina precedente che il 6. kyu era previsto anche nel programma dell'Aikikai di Francia, in una edizione risalente a quando non era ancora diviso in due diverse associazioni, diaspora verificatasi negli anni 90. Ma per comodità del lettore ripetiamo l'immagine anche qui.

L'esame per il 6. kyu viene menzionato sulla copertina.

Ma non figura all'interno:  è evidentemente in quel periodo, all'incirca alla fine degli anni 80 - manca la data anche qui e devo affidarmi ai miei ricordi - che venne tolto. Dimenticando però di aggiornare la copertina.

 

 

 

Ma andiamo oltre quella copertina ed esaminiamo un altro programma d'epoca. Quello della ACBA, associazione belga che precedette l'attuale divisione, dovuta alla legge federale e non a contrasti interni, in associazione francofona (AFA) e neerlandofona (VAV).

Eccolo, il famigerato esame di 6. kyu inventato (e letteralmente è non vero ma verissimo) dall'Aikikai d'Italia.

Le differenze o analogie tra i due programmi ognuno le valuterà da solo, e il lettore mi perdonerà se mi astengo dall'infliggergli i numerosi altri esempi che vado ritrovando via via, accatastati nel corso di molti anni in un polveroso e disordinato archivio.

 

 

 

Pubblico solamente una pagina del bellissimo testo Aikido del maestro Nobuyoshi Tamura, edizione 1977, che è estremamente raro e quindi non accessibile ai più. Ma per fortuna dispongo di una copia.

Non solo l'esame di 6. kyu vi appare, ma le tecniche richieste e i tempi previsti sono ancora quelli originari, quelli fissati nei concistori organizzati durante i seminari dell'Aikikai d'Italia agli inizi degli anni 70 e di cui abbiamo parlato nelle pagine precedenti.

Questo esame non venne mai tuttavia, è questa la spiegazione del mistero, previsto dall'Hombu Dojo. Stiamo parlando di una struttura unica al mondo in cui operavano i maggiori insegnanti viventi, in cui era possibile praticare intensamente ad alto livello tutti i giorni, fin dal primo mattino e fino a tarda sera. E' comprensibile anzi è inevitabile attendersi che avesse un metro di misura differente.

Aveva pertanto ritenuto fin dal primo momento, pur adeguandosi alla proposta adottando un proprio Programma di Esame che riprendeva molto fedelmente quello "italiano", che non era necessario inserire il 6. kyu nella peculiare progressione didatttica dell'Hombu Dojo.

Non è una novità che l'Hombu Dojo abbia parametri differenti dalla media, e non è uno scandalo, e a quei tempi ancora meno. Quando là si alternavano personalità come Kisshomaru Ueshiba, Rinjiro Shirata, Kisaburo Osawa ed altri della medesima caratura, per tacere dello stesso Hiroshi Tada, al Dojo Centrale di Roma, che pure avrebbe potuto reggere dignitosamente il confronto come numero di ore settimanali di lezione, e diretto da un insegnante accreditato dell'Hombu Dojo, Hideki Hosokawa, insegnava 3 volte a settimana il sottoscritto, sia pure al corso bambini, forte del suo grado di 5. kyu. Si trattava insomma di un humus completamente differente, non era immaginabile pretendere lo stesso metro di giudizio dell'Hombu Dojo ove il livello tecnico medio degli insegnanti e dei praticanti non era assolutamete  paragonabile.

Nel corso degli anni seguenti la maggior parte delle associazioni legate all'Hombu Dojo ne ha seguito l'esempio eliminando quel semplice esame preliminare. Vista l'estrema stringatezza del programma stesso penso nessuno abbia difficoltà ad accettarlo come tale (semplice preliminare) e a ridurre il problema se problema è alle sue - modestissime - proporzioni.

E' incontestabile in ogni caso che diverse associazioni decisero a posteriori di togliere dal proprio programma l'esame di 6. kyu (o non vennero nemmeno mai a conoscenza della possibilità di adottarlo)  e non fu l'Aikikai d'Italia ad introdurlo misteriosamente e per fini non chiari nè realistici, vista la pochezza della invenzione.

Perché lasciarlo? Perché toglierlo? Sulle opportunità dell'una o dell'altra scelta è certamente lecito discutere. Ma non è l'argomento che mi interessa di più in questo momento. Dico subito non solo che per me si potrebbe tranquillamente togliere. Ma che della stessa opinione era Fujimoto sensei, ritenendo i tempi sufficientemente cambiati rispetto a tanti anni fa: non ho quindi alcuna barricata ideologica da difendere.

Ma preferirei piuttosto inquadrare meglio il contesto, non solo storico, in cui andrebbe inserita la materia di cui si vorrebbe discutere: la programmazione e certificazione del percorso compiuto all'interno di una disciplina artistica, culturale e marziale.

Ha senso discutere dell'utilità o meno di un singolo esame finché non si sia riflettutto seriamente sulla natura e sugli scopi del sistema di esami? E ha senso paragonare semplicemente i tempi prescritti in questo o quell'altro metodo  senza riflettere non solo sul perché di tali differenze temporali ma nemmeno sulle differenze strutturali tra i vari metodi e sulle ragioni che vi sono dietro?

Abbandonando definitivamente ogni sterile polemica sul 6. kyu, prendiamo ad esempio, ma solo come spunto per una riflessione di carattere più generale, l'attuale  programma di esami dell'Hombu Dojo. Prescrive meno di un anno solare di pratica per il raggiungimento dello yudansha: 300 giorni di pratica dal momento in cui si è iniziato. Va certamente ricordato che si tratta di un limite, non di un obbligo e nemmeno di una situazione media: è un limite invalicabile.

Quale serio insegnante europeo si sente di garantire lo yudansha ai suoi allievi in 300 giorni? Sappiamo benissimo che sono pochi i fortunati mortali che possono disporre di un corso almeno trisettimanale. Mosche bianche quelli che possono garantire l'orario pieno. Se ci limitiamo a paragonare i tempi certamente scopriamo che nell'attuale Programma di Esami dell'Aikikai d'Italia occorrono 11 mesi di pratica per potersi presentare all'esame di 3. kyu mentre in tempo minore all'Hombu Dojo programmano di portare il praticante allo yudansha.

Ma non è questo il punto, lasciamo stare i paragoni con realtà differenti: è realistico, è congruo, programmare in Italia di far arrivare i praticanti al grado di 3. kyu in poco meno di un anno, allo yudansha in 3/4 anni? Il vero problema se è così potrebbe essere che in Italia non esista un Hombu Dojo, non che all'Hombu Dojo abbiano metodi di pratica e di valutazione differenti.

Per quanto mi riguarda la risposta è sì: questi tempi sono realistici ed adeguati. Naturalmente il semplice monosillabo non solo è insufficiente a esporne le ragioni, ma nemmeno a spiegarne la logica che le lega. Occorre una riflessione che scenda a profondità maggiori. Premetto che sono stati recentemente ridotti i tempi, suppongo per tener conto di casi particolari ma soprattutto per riportarli alla loro funzione di limite non superabile piuttosto che punto di riferimento uguale per tutti.

Che cosa vuol dire per noi 3. kyu o 1. dan? Quali conoscenze tecniche, morali, culturali chiediamo al praticante prima di potergli confermare che è pronto per il passo successivo? Se non sappiamo questo, nessun giudizio di congruità sui tempi o su altro è possibile.

Innanzitutto dobbiamo renderci conto che oggigiorno chiediamo al praticante che si presenta all'esame molto di più che in passato: io ricordo distintamente candidati alle soglie dello yudansha che avevano ancora difficoltà con le mae ukemi. E' pensabile al giorno d'oggi? Sono rinunciabili le verifiche che chiediamo oggigiorno ad ogni passaggio di tappa? Io credo di no. E' normale ed è auspicabile che ai praticanti di oggi si chieda molto di più di quanto veniva chiesto a noi pionieri in passato. E per questa ragione, nonostante arrivino in tempi minori e con relativa facilità alle tappe tecniche dove noi faticosamente arrancavamo a lungo, non solo i tempi di esame non si sono accorciati, ma la precedente revisione del Programma di Esame dell'Aikikai d'Italia li aveva anzi allungati e quella attuale agevola maggiormente il percorso iniziale ma per i gradi kyu superiori pur riducendo i tempi mantiene invariate le ore di allenamento prescritte.

Trovo questo sistema compatibile con la mia visione personale del percorso del praticante. Credo che l'insegnante debba portare i suoi allievi passo dopo passo ad essere indipendenti nel loro cammino, sottoponendoli man mano a verifiche sul campo che permettano di rendersi conto del cammino percorso e di avere una idea di quello ancora da percorrere, di toccare con mano gli errori compiuti e i progressi raggiunti, di togliere dal proprio bagaglio quello che non va, di sostituirlo con quanto invece necessario.

Se questo è il fine della cerimonia dell'esame, interessa di meno sapere se convenzionalmente, nell'attestato che contrassegna e certifica il superamento di questa o quella tappa, ci debba essere scritto 6. kyu o 6. dan. Fermo restando che è necessario per altre ragioni, non è particolarmente utile ai fini dell'insegnamento fissare per regolamento quanto tempo occorra per indossare l'hakama.

Volendo potremmo in un attimo dare ascolto ad alcune accorate richieste: va bene, esame di yudansha dopo 300 giorni di pratica. Ma cambierà qualcosa in quella persona ricevendo un pezzo di carta con scritto 1. dan invece del probabile 3. kyu cui lo condannerebbe il sistema attuale? Farebbe un passo avanti nella gerarchia cartacea. Ma che altro?

Un altra richiesta frequente è quella di un percorso gerarchico certo ed omogeneo per tutti, a prescindere da metodi ed associazioni. Lo chiedono da varie parti e certo, si può: ma rischia di essere una partita di giro che lascia il bilancio invariato.

Mi sto riferendo evidentemente, non per criticare o peggio per proporre ennesime soluzioni ma piuttosto per innescare riflessioni sui metodi di lavoro, alla ricorrente richiesta che si ripete ogni tot anni di un programma di esami super partes, addiritttura statale. Vorrei osservare che ove questo avviene, in Francia tanto per non far nomi, si tratta - sempre a mio avviso - dell'inserimento di un elemento estraneo nel corpo dell'aikido. E che non ha dato eccellenti risultati visto che parte da molto molto lontano (accanto la proposta di introduzione, sempre dal libro Aikido di Tamura sensei, 1977) e che non trova ancora un assetto definitivo, come dimostra la proliferazione di verbali, di comunicazioni, precisazioni, chiarimenti e suggerimenti da parte della Commissione Gradi Unificata.

Il metodo francese di omologazione è ben noto: la bouillabaisse deve essere la stessa sia nei migliori ristoranti di Parigi che nelle più remote taverne della Guascogna, e pazienza se in Provenza, da dove proviene in realtà, si faceva in tuttaltro modo. Sappiamo tutti che in Italia la mentalità e i metodi sono diversi: le differenze e non solo regionali sono infinite, la pizza ognuno la fa come crede e a nessuno viene in mente di voler ridurre o eliminare le incongruenze, e meno che mai per decreto, poiché le differenze vengono considerate ricchezze culturali e lo stato si ritiene che debba occuparsi dei fatti suoi e a volte visti i tempi che corrono nemmeno di quelli.

Ritornando al nostro tema principale: quale è il metodo migliore per la programmazione dell'arte dell'aikido? Il francese, o l'italiano? Chiaramente nessuno dei due, visto che stiamo parlando dell'insegnamento di una disciplina marziale giapponese. Un'arte relativamente recente ma che si appoggia su metodi e principi millenari che si intendono mantenere integri nonostante il trascorrere del tempo. Il metodo migliore lo abbiamo in casa: non dobbiamo andare a cercare all'esterno improbabili soluzioni, che siano manageriali o legislative.

E senza mai dimenticare che l'aikido è innanzitutto un'arte, ed in quanto tale contiene in se qualcosa di non esprimibile, non commensurabile, non misurabile con il timbro di stato, il bilancino del farmacista o il registratore di cassa. E che si tratta di una disciplina di impronta marziale ed il guerriero, o chi ambisce a potersi considerare tale, è soprattutto chi è capace di affrontare a cuor leggero l'imprevisto e lo sconosciuto, non chi reclama certezze prima di impegnarsi e chiede un ritorno sicuro e quantificabile in anticipo dei propri investimenti. E questo dovrebbe ben saperlo ogni praticante di aikido e a maggior ragione dovrebbero saperlo insegnanti e dirigenti didattici, qualunque sia la forma organizzativa cui si è adeguata la loro associazione. Tenendo conto certamente delle norme statali, della cultura locale e di quanto altro.

Riprendo da un recente comunicato della FFAB, una delle due organizzazioni francesi, ove si parla della partecipazione ai seminari di preparazione per i gradi di Alto Livello, a firma Claude Pellerin. Spero che non sia un ostacolo insormontabile lasciarlo in francese, questo evita ogni possibile distorsione dovuta alla traduzione

Le grade d’Aikido correspond à un niveau de pratique qui s’inscrit dans une progression. L’examen d’un grade ne peut se limiter à la seule prise en compte d’un test de performance sportive réalisé sur 10 ou 15 minutes, il se doit de prendre en compte l’ensemble de l’individu dans sa démarche afin de confirmer le niveau atteint, et cela d’autant plus pour le grade Haut Niveau. Le stage Haut Niveau dans sa durée permet cette démarche, de plus le passage dans le Dojo Shumeikan offre à chacun, à travers ce temps vécu :

  • Le contact avec un traditionnel qui rapproche de l’essentiel,
  • la possibilité d’un retour sur soi,
  • l’ouverture aux autres et le regard sur d’autres approches et d’autres recherches.

Ci sono obiezioni?

Faccio osservare che lo stesso Pellerin, responsabile della Commissione Alti Gradi della FFAB ci sta dicendo in pratica che non è sufficiente il test di performance sportivo realizzato su 10 o 15 minuti previsto dalle norme statali ed unificato. Per valutare appieno la maturità di un candidato sono necessari anche altri parametri. E non sono rinunciabili.

E qui, augurandomi che queste riflessioni possano offrire qualche stimolo, se non essere di ausilio, a chi onestamente e seriamente intende riflettere sull'arduo problema della programmazione dell'arte (quasi un ircocervo), ma tenendo sempre presente cosa pensava di queste problematiche chi ne sapeva non solo più di me ma più di tutti, mi congedo.

Accanto al suo amabile sorriso o sensei teneva sempre pronto il fiero cipiglio dell'uomo d'arte.

Ricordiamoci quindi giustamente di accendere il cervello ogni tanto e facciamoci qualche seria riflessione. Ma soprattutto saliamo regolarmente sul tatami per praticare, prima che il suo divertimento si trasformi a nostre spese in salutare arrabbiatura.

 

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