Tecnica/Cultura
L'arte della pace - Considerazioni finali
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Considerazioni finali
Sul pacifismo dell'Aikidō. Gli anni trascorsi da Ō Sensei sotto la guida spirituale di Onisaburo Deguchi, sommo sacerdote del tempio Omoto kyo, convinto assertore della pace e dell'amore verso il prossimo, nonché fondatore nel 1923 dell'Associazione per l'Amore e la Fratellanza Universale, hanno giocato di certo un ruolo decisivo nella ricerca del vero Budō e nell'elaborazione dell'Aikidō come Arte della Pace. Affermazioni quali: “L'Arte della Pace è il principio della non-resistenza” e, “Aikidō significa non uccidere. Nell'Aikidō cerchiamo di evitare del tutto l'assassinio, persino della persona più malvagia” sono titoli che, a buon diritto devono portare ad annoverare e a contemplare l'Aikidō tra le fila dei pacifisti. Esso non persegue il suo fine con marce e manifestazioni sporadiche, ma nella quotidianità delle tecniche e nella vita. Quando uke attacca, tori non impatta contro il suo attacco, se tira, entra con irimi, se spinge, si gira e lo fa entrare eseguendo tenkan. È allora che tori, ma anche uke, impara la potenza della forza debole della tecnica e dunque apprendono entrambi la prassi della non-resistenza, della non-contrapposizione, ovvero della non-violenza. Ed in fondo, nella vita reale di ciascuno di noi, vanificare la cattiva disposizione, il malanimo, la malvagia intenzionalità di chi in mille forme ci aggredisce, non costituisce forse un ethos confinante con quello del porgere l'altra guancia? Attenzione, non è lo stesso gesto materiale, ma è lo stesso gesto spirituale: nel porgere l'altra guancia, un dio, pur consapevole della sua infinita potenza, preferisce ricorrere ad un altro tipo di forza, quella debole dell'amore e vince, il fedele a usa volta chiama dio a sua forza e testimonianza, un aikidōka, vince con forza debole della tecnica.
Curioso, anche tra le forze dell'universo accade che la più debole, la forza gravitazionale, alla fine si dimostra la più potente. Questa è vera imitazione della natura. Come si comporta l'amore? “L'amore è come i raggi del sole, brilla a sinistra, a destra, in alto, in basso, davanti e dietro, inondando ogni cosa di luce”. E l'Occidente, come si è espresso a proposito dell'amore e della giustizia? Nello Antico Testamento leggiamo: “Vostro Padre, che è in cielo, fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni (Mt 5, 45). E tal è la natura dell'Amore che, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu presentagli anche l'altra (Mt 5,39; Lc 6,29). Siate dunque perfetti, così com'è perfetto il Padre vostro che è in cielo”(Mt 5, 48). In questi versetti risuona l'eco della cosiddetta regola d'oro della morale: ama il prossimo tuo come te stesso. Ed a proposito dell'ingiustizia, Socrate, rispondendo al suo interlocutore Polo, così si esprime: ”non vorrei né patirla né commetterla, ma, tra le due, se fossi costretto a scegliere, preferirei piuttosto patire che commettere ingiustizia”. (Platone, Opere Complete, Ed. Laterza 1988, Gorgia 468 c)
Sulla preminenza di “AI”. Oltre a tutto quanto è stato detto finora, si prendano questi aforismi di Ō Sensei. “L'Aikidō dovrebbe essere inteso solo come l'arte marziale dell'amore”. “La sua base è l'amore”. “Il vero significato del termine samurai è: colui che serve ed osserva il potere dell'amore”. Sulla scorta di essi possiamo ed anzi si rende doveroso fissare una diversa gerarchia tra i tre ideogrammi e monosillabi che formano la parola Aikidō di modo da mettere in risalto “AI”. Qui nasce la questione di una diversa traduzione dell'intera parola che andrebbe tradotta: via della potere (forza, spirito, energia) dell'amore (armonia, pace). Infatti, l'Aikidō è la Via di che cosa? È lo Spirito di che cosa? Se non dell'Armonia, dell'Amore, della Pace? Via, dunque arte, dunque tecnica con cui impariamo non solo e non tanto ad armonizzare, ad unire la mente e il corpo, ma soprattutto ad unire il mondo per fare di questo mondo, qui ed ora, un'unica famiglia.
La nostra missione. Nelle Opere e Giorni di Esiodo leggiamo: “Non fu unica invero la stirpe delle Contese, ma sulla terra ne esistono due, un animo del tutto contrario esse racchiudono. La prima infatti fa prosperare la guerra funesta e la lotta. La seconda, molto migliore per gli uomini, suole svegliare al lavoro l'ozio.
Ognuno infatti, volgendo lo sguardo ad un ricco, si affretta ad arare, ed a piantare il campo, ed a farsi bene una casa; così il vicino prende invidia del vicino che anela al benessere - buona è questa Contesa ai mortali! - ed il vasaio gareggia col vasaio, e l'artigiano con l'artigiano, ed il mendico gareggia col mendico, e l'aedo con l'aedo”. ( Esiodo, Opere, a cura di Aristide Colonna, UTET 2011, pp. 9-251, 11-26) L'Arte della Pace invero ci svela l'esistenza di una terza Contesa più eccelsa e più divina di quella che fa prosperare i commerci. Per mezzo di questa terza Contesa gli uomini mettono mano ad un Regno di Concordia gareggiando e superandosi vicendevolmente nelle opere di pace.
Nell'Aikidō, scrive Ō Sensei, “non ci sono gare e competizioni”, ma alla luce di tutto quanto è emerso durante questa nostra chiacchierata, non temiamo di contraddire il Suo pensiero quando diciamo che una gara è pur ammessa, ed è quella unica del reciproco rispetto e aiuto e benevolenza e altruismo, insomma dell'amore. È la Via dell'AIKI, della gentilezza o del non fare al prossimo ciò che non vorresti che il prossimo faccia a te. In queste azioni è auspicabile il reciproco superarsi. A questa gara bisogna esortare i giovani e noi impegnarci. Ah, che formidabile gara! Quanto difficile la vittoria! E quanto piacevole! Certo, quotidianamente registriamo che siamo altrimenti instancabilmente impegnati a superarci nell'offendere e danneggiare il prossimo ma, parola di Ō Sensei. “L'Arte della Pace non è semplice. È una lotta fino alla fine”.
Oriente ed Occidente. Generalizzando, c'è stato un tempo in cui, non incontrandosi che sporadicamente, l'Oriente ha pensato ciò che ha pensato l'Occidente e l'Occidente quel che ha pensato l'Oriente. Vi è stato un tempo successivo in cui i percorsi si sono separati e mentre l'Occidente imboccava la via della tecnica e della scienza, l'Oriente proseguiva sulla via dell'etica e della salvezza. Pur essendo questo uno schema molto approssimativo, che non tiene conto di molti altri elementi, indica abbastanza chiaramente la differenza tra Oriente ed Occidente. È passato altro tempo ancora ed Oriente ed Occidente si sono incontrati. L'Occidente, che nel frattempo aveva conquistato molti traguardi nella scienza e nella tecnica, incontrando l'Oriente ha come riscoperto quel che aveva tralasciato, abbandonato, dimenticato.
Questo è quel che è accaduto a tutti noi il giorno in cui abbiamo fatto la conoscenza dell'Aikidō ed ancora accade mentre ancora lo pratichiamo: si sono spalancate le porte del nostro passato. Per noi che pratichiamo Aikidō, l'Aikidō svolge una funzione di riscoperta e di riappropriazione e ritorno a noi stessi, un vero e proprio presidio della memoria contro l'oblio di parte di ciò che l'Occidente è stato ed ha pensato, proprio perché è stato pensato lo possiamo ancora pensare ed è questo che costituisce la prova e la positiva risposta al quesito iniziale attorno all'indagine se noi occidentali possediamo le categorie di pensiero, le prassi e la tradizione culturale che ci consentono di comprendere appieno la natura ed intima essenza e motivazione e finalità dell'Aikidō. Aikidō: un Ponte tra passato, presente e futuro, tra Oriente ed Occidente.
Un ringraziamento inderogabile. Desideriamo con sincero ardore e slancio ringraziare di cuore la Maestra Marta Ragozzino, per averci indicato ed insegnato la tecnica delle tecniche, quella suprema che tutte quante le contiene e che di tutte è origine, loro estrema sintesi, di tutte magnifica icona: la tecnica Zero, ovvero un Abbraccio. In questo semplice gesto c'è tutto quello che qui noi, con molte parole, ci siamo sforzati di raccontare, rappresentare ed esprime: "AI”. Così a noi è sembrato. L'abbiamo incontrata a Bari nella lezione per cinture nere, conclusiva dei festeggiamenti del quarantennale dell'Ente Morale. L'avessimo incontrata prima, è molto probabile che avremmo ritenuto superfluo sciorinare qui così tante parole o per meglio dire, in quel gesto è implicito ciò che in queste pagine si è cercato di esplicitare.
Un riconoscimento imprescindibile. Se “AI” è un altro nome per inclusione, per qualsiasi inclusione, allora al Maestro Pierpaolo Linciano del dojō Terra dei Messapi va un nostro inderogabile riconoscimento per averci indicato ed aperto una via di ulteriore applicazione dell'Aikidō. Egli ha infatti, elaborato e mostrato un Aikidō per coloro i quali hanno una disabilità agli arti inferiori.
Questo articolo è stato scritto per essere letto durante una conferenza, nell'ambito delle manifestazioni tenutesi a Bari nei giorni 27 e 28 gennaio 2018, per i quarant'anni della Personalità Giuridica della nostra bella Associazione, l'Aikikai d'Italia. Colgo perciò l'occasione per ringraziare tutti i partecipanti, tutti i maestri intervenuti e tutti coloro i quali, in primis il nostro vicepresidente Federico Traversa e Fabrizio Ruta, hanno saputo dispiegare appieno le proprie capacità organizzative affinché l'evento avesse successo come lo ha in effetti avuto.
Si ricordano e ringraziano per i loro contributi a braccio, nell'analisi e nella riflessione delle diverse sfaccettature dell'Aikidō, Luigi Gargiulo per il suo "Kotodama: la vitalità profonda dell'Aikidō di Ō Sensei" e Fabrizio Ruta per il suo "L'Aikidō nella vita, la vita nell'Aikidō,
Nota:
Avvertimento metodologico: per semplicità, praticità e al fine di rendere più fluida la lettura, nel riportare i passi, mi astengo dall'inserire i puntini di sospensione per indicare le parti non citate.
Antonio Lomonte
Responsabile del dōjō Bodai Shin di Acquaviva delle Fonti (BA)