Randori
Militarismo e marzialità
Militarismo e marzialità
Ugo Montevecchi
Dojo Aikidomus Rimini (Aikikai d'Italia)
Pensando che l’aikido - benché sia un'arte marziale - è nato per essere un percorso di crescita delle persone, mi sono ritrovato ad analizzare il significato dei termini “militarismo” e “marzialità”.
Già a sentirli pronunciare evocano sensazioni diverse. Il primo riporta alla mente perlopiù valori negativi: guerra, violenza, rigide gerarchie. Mentre il secondo, benché legato al primo da molte analogie, risulta essere di accezione più positiva evocando valori quali la fierezza, l’onore, lo spirito di sacrificio.
La mia esperienza legata al militarismo si limita al servizio di leva (quando ero giovane io lo si faceva!) e ricordo perfettamente il fatto che mi permise di comprendere il valore della parola militare. In uno dei primi giorni passati in caserma, tentando di giustificarmi con un sottufficiale per aver fatto non ricordo cosa, ho iniziato il mio discorso di scuse con le parole “Ma io pensavo che...”. Prontamente venni interrotto dal sottufficiale in questione con una frase che mi è rimasta scolpita nella memoria: “Tu devi fare solo quello che ti dicono. Non devi pensare!”.
Io non devo pensare? Immediatamente cominciai a farlo e in modo molto preoccupato. Avevo di fronte un imbecille arrogante semianalfabeta che mi diceva di non usare la mia testa perché la sua avrebbe partorito idee brillanti valide anche per me.
Pochi giorni prima, alla cerimonia di accoglienza, schierato l’intero battaglione sul grande piazzale ordinatamente diviso in nove compagnie, un ufficiale ci aveva categoricamente esposto i nostri doveri promettendoci però quale contropartita di trasformare noi, massa di acerbi ragazzi, in uomini!
A soli vent’anni avevamo certo la necessità di maturare, ma la mia riflessione fu che la rinuncia a pensare con la mia testa non mi avrebbe certo fatto crescere, mi avrebbe semmai portato nella direzione opposta.
Ora è ovvio che una mentalità del genere è l’unica possibile all’interno di un ambiente militare dove in ballo ci sono questioni molto serie come la difesa del territorio nazionale o l’intervento in caso di calamità naturali, ma è adatta ad un ambiente marziale che ha quale obiettivo l’evoluzione personale?
Il mio vocabolario spiega il termine “spirito marziale” con “spirito fiero e bellicoso”. Non usa termini come "acritico" e "accondiscendente". Rinunciare a pensare con la propria testa, al proprio giudizio critico, porta solo alla perdita della propria personalità, della propria unicità ed identità.
Bisogna stare molto attenti quando si riveste il ruolo di insegnante a non pretendere dai propri allievi un atteggiamento passivo che preveda solo obbedienza e comportamenti basati sulla fede, sulla presunta infallibilità del "maestro". Obbedire ciecamente equivale a spegnere il cervello, lasciare che qualcun altro pensi anche per noi: è troppo facile perché possa essere un percorso di crescita.
Ma allora i nobili samurai? Che per obbedienza erano capaci di togliersi la vita senza domandare neppure il motivo? Altri tempi, altra mentalità, altra cultura. Noi che facciamo aikido non siamo samurai, noi al massimo giochiamo ai samurai, poi ce ne torniamo a casa ad affrontare questioni per noi più serie tipo la precarietà del lavoro, il mutuo da pagare, i figli da educare, eccetera.
La cultura marziale - e quella marziale giapponese in particolare - ci può dare tantissimo: frugalità, lealtà, rispetto, spirito di sacrificio, ricerca della perfezione e tanti altri valori che via via si scoprono addentrandosi in questo mondo,. Ma attenzione a non fermarsi a semplicistiche letture. Manteniamo una mentalità aperta come praticanti e soprattutto come insegnanti.
Addomesticare gli allievi ad essere disciplinati soldatini disposti sempre e comunque a dire sissignore li porterà verso una involuzione. Per quanto ci riguarda il ricevere un consenso basato sulla fede potrà solo appagare la nostra ambizione e il nostro orgoglio. Un insegnante non a caso è definito “Responsabile di Dojo”, perché ha una responsabilità molto pesante, quella di essere guida e modello per altre persone. Ritengo che per rivestire degnamente questo ruolo sia molto più stimolante e produttivo restare aperti al confronto ed eventualmente alle critiche piuttosto che alzare scudi di presunzione.
Gli allievi nel dojo non sono una schiera votata all’obbedienza. Sono persone che ci accettano come guida e anche se è giusto che un maestro si prenda la responsabilità di dettare rigide regole all’interno del proprio dojo è anche vero che la sua leadership deve essere quotidianamente riconfermata e conquistata attraverso il merito, l’impegno, il rispetto e la dedizione verso i propri allievi.