Randori
Il momento dell'esame
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Riapriamo, per l'ennesima volta, un vecchio tema di discorsi e polemiche: gli esami. Anzi: l'ESAME. Con tutte le maiuscole del caso. La mente va a frugare in tanti ricordi passati, la lingua comincia a prudere. All'improvviso prude anche la penna. La tastiera... Si sa, a certe impellenti necessità fisiologiche nessuno si può sottrarre: mi sta di nuovo scappando un articolo...
Negli anni 80 il Consiglio dell'Aikikai d'Italia era riunito in uno splendido giardino sulle colline di Fiesole. Motivi del contendere erano la creazione e regolamentazione di un Corpo Insegnanti Italiano, l'istituzione di appositi corsi per istruttori, eventualmente corredati di esami e diplomi. Il tutto doveva poi essere inserito nel Regolamento Didattico.
In un momento in cui la discussione sembrava perdersi in mille rivoli e non si veniva a capo di nulla qualcuno (il sottoscritto) chiese proprio al Direttore Didattico: "Ma in Giappone, maestro, come vi regolate?".
Il maestro Hiroshi Tada, fino allora un pò appartato dalla discussione, così senza pensarci troppo sopra, buttò lì: "Veramente in Giappone non ci si cura molto di esami, gradi e diplomi: se il maestro è bravo la gente viene, altrimenti...". Commentò il tutto con una risata divertita, poi cambiò espressione: ebbe l'aria di scusarsi timidamente per la stravaganza di cui davano prova i giapponesi.
Questo lungo preambolo per dire: se all'origine ed alle fonti della nostra arte esami e diplomi non hanno molta importanza perché ai nostri tempi si avverte invece la necessità di esami impegnativi che non solo richiedono di sudare sul tatami per ore ed ore per il superamento della prova vera e propria ma anche e soprattutto di mantenere un impegno serio e costante nel corso degli anni?
E col rischio di ritornare a casa, nonostante tutto, marchiati dalle stimmate del fallimento.
Me lo sono chiesto spesso anch'io, ed essendo stato in passato un "addetto ai lavori", ho avuto forse qualche occasione più di altri per ipotizzare delle risposte.
Che vengo ora a proporre, non come verbo divino (non ho ancora fatto l'esame!) ma come materia di discussione.